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Da Bata al Marquee

Conobbi Ernesto nei primi mesi del 1973, forse anche alla fine del 1972. Fu un incontro tutto tranne che casuale: io, ed Ernesto in misura perfino maggiore, frequentavamo con assiduità i concerti di musica rock tra Firenze e Viareggio, ossia Space Electronic e Piper 2000, ma anche Teatro Astoria. Quelle erano le nostre palestre d’ardimento, i luoghi dove la nostra passione per la musica crebbe in modo esponenziale e dove conoscemmo altri ragazzi che avevano la stessa passione per la musica Rock del tempo, coi suoi risvolti sociali e politici, dal Flower Power dei Jefferson Airplane e dei Grateful Dead, al Jazz Rock impegnato dei Matching Mole, il modernismo dei Pink Floyd, i gruppi italiani che cercavano di farsi largo in un contesto internazionale. Ma il luogo del confronto quotidiano era un negozio di dischi, la Sala Disco, in una di quelle tipiche viuzze fiorentine che riportano immediatamente ai tempi di Dante. Lì si dibatteva, a volte con animosità mischiata all’ironia, dell’ultimo concerto dei Soft Machine, il nuovo disco dei Roxy Music, le chitarre di Garcia, il mitico B-3 di Jack Bruce, le groupies, San Francisco, il Fillmore e l’influenza delle droghe in tutto questo mondo. Che futuro avrebbero avuto i Blind Faith, gruppo effimero come pochi altri? Dopo Picture at an Exibition cosa avrebbero inciso gl’Emerson, Lake and Palmer? Tra un compito di latino e uno di matematica, la puntata al Sala Disco, era un evento indispensabile del quotidiano. Eravamo in diversi, non c’è bisogno di nominarne nessuno, quelli che c’erano si riconosceranno in queste parole. La domenica pomeriggio, pioggia, sole o vento, i medesimi, uno più uno meno, si ritrovavano appollaiati sulla ringhiera di fronte a Bata in piazza Stazione.

Pane e musica. Ernesto ed io provammo il colpo gobbo appena quindicenni: andammo a Londra nel settembre 1973, seppur accompagnati da un adulto. Ernesto avrebbe potuto raccontarvi quella esperienza quasi ora per ora, io invece ricordo solo qualcosa, qualcosa come il Marquee, e un gruppo rock-blues travolgente seppur in declino, Chicken Shack, e un festival, quello del Crystal Palace Bowl come se ne vedevano ancora pochi: con James Taylor, Beck, Bogart and Appice (trio eccezionale), Lou Reed, Tony Joe White, Backdoor ... altra roba, insomma. Ora non vorrei tediare il lettore, soprattutto quello casuale, con questi racconti, ma Ernesto avrebbe potuto menzionare, con profusione di dettagli, concerti e dischi, aneddoti e storie vere. Enciclopedico. L’epopea delle radio private, Radio A, Radio Firenze Centro, Radio Luna, che abbiamo vissuto insieme, io in modo più modesto fu probabilmente il momento nel quale Ernesto trovò la sua strada, quella che l’avrebbe portato a Radio Stereo Notte, a lavorare in tante trasmissioni di successo – Il Popolo del Blues ha un bacino di 30 milioni d’ascoltatori – ma soprattutto a diventare un giornalista musicale, forse musicologo è l’espressione più esatta, a 360 gradi. Musicista, scrittore, giornalista: un artista globale. Dalle cabine del Sala Disco alla radio nazionale, Roma, ai viaggi in Inghilterra e negli Stati Uniti, alla passione per la Francia, portata a paragone come un livello raggiungibile ma mai raggiunto. Senza dimenticare l’amicizia – e il riconoscimento di uno status - di innumerevoli artisti, italiani e stranieri.

Nonostante la sua esposizione internazionale, Ernesto era profondamente fiorentino, profondamente intriso in questa scomoda sensazione di vivere in una delle culle della civiltà mondiale sentendosi in qualche modo inadeguato, nell’inadeguatezza generale sconfinante con la cialtroneria. Combatteva dunque tutto ciô che sembrasse provinciale, locale, sciovinista, e anche su questo fronte eravamo insieme. “Quelli con il filo di grasso del prosciutto tra i denti” era la sua espressione per definire certi gruppi di persone. Ma quanti ricordi dal “vinaino”, altra istituzione fiorentina, o la pizza di routine dai Briganti, altro luogo scelto dell’Ernestiade.

Salto di palo in frasca, non ho parlato dei Lightshine, gruppo del quale Ernesto è stato anima e cuore per tanti anni, ma altri potranno dire di più di quello che so io. Non ho parlato della caccia al disco, una sensazione che solo chi l’ha praticata conosce, che ci portava a prendere il pulman – anzi la Sita – il Greyhound de noiantri – per andare a Viareggio, ma anche Bologna, a rastrellare vinile. Non posso parlare con conoscenza di causa del periodo 1982-1994 perchè i casi della vita ci separarono, lui a Roma, io altrove. Le tournée come pianista e cantante, una anche abbastanza recente. Raccorcio e semplifico per non dilungarmi troppo, ma altri potranno ricordare quei tempi se vorranno.

Con l’inizio dell’avventura del Popolo del Blues, Ernesto pensò anche a me come collaboratore e gliene sarò eternamente grato. Si fidava, bontà sua, ciecamente dei miei giudizi, che sapeva ponderati e mai spregiativi nonostante entrambi si cercasse di non incoraggiare la presunzione tipica del debuttante allo sbaraglio, attitudine comune di tanti bluesmen dell’ultim’ora. Anche qui altri sono più competenti di me per parlarne, ma Ernesto ha promosso e aiutato tanti musicisti, alcuni totalmente sconosciuti, altri seppelliti in un passato glorioso – Fairport Convention e John Martin tra i tanti - ma polveroso. Esemplare la passione, sfociata in un disco, per Oliver Nelson, cosiccome le serie sul Blues Italiano e sul Funk in Italia. Mitici i suoi incontri da Feltrinelli, i concerti al Teatro del Sale, Porretta, il Trasimeno, Torrita e molto, ma davvero molto, altro. Nei momenti più grigi ha anche aiutato tanti amici con una presenza costante, quasi quotidiana, nella quale la musica faceva parte degl’affari correnti. Io sono tra quelli.

Potrei continuare, ma i ricordi del passato s’affievoliscono nel ricordo dell’amicizia: per 10 anni Ernesto era di casa a casa mia, io lo stesso a casa sua. In soffitta o in interrato, sempre musica, piani per il futuro, speranze e sogni. Molti di questi sogni, Ernesto li ha realizzati e questo mi sembra, a prescindere, un dato molto positivo di una vita. Certo la perdita d’Ernesto per gl’amici intimi e il “gruppo storico” lascia un vuoto incolmabile – niente rispetto al dolore di Laura e Antonella – ma anche la Musica, quella con la emme maiuscola, ha perso un uomo di grande spessore intellettuale e umano. In questo paese e altrove.

Luca Lupoli




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