. Marco Paolini e I Mercanti Di Liquore - Song n°32 – Concerto Variabile


Marco Paolini e I Mercanti Di Liquore - Song n°32 – Concerto Variabile
Teatro Garibaldi, Santa Maria Capua Vetere 11 marzo 2006

A great concert where music, poetry and theatre made a truely painting of Italian social and politic scene.

Che il connubio artistico tra Marco Paolini e i Mercanti di Liquore, nascondesse qualcosa di speciale ce ne eravamo accorti ascoltando quel piccolo gioiello che è stato Sputi, che si temeva fosse solo una piccola meteora, la conferma però del loro stato di grazia di artisti in continuo movimento ci è venuta dallo splendido spettacolo Song n°32 – Concerto Variabile, che stanno portando in scena in tutta Italia e che è andato in scena nella bella cornice del Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere, considerato un San Carlo minore ma dallo stesso fascino, sabato 11 gennaio. Rispetto al disco, Sputi, Marco Paolini, sembra meno attore e più cantautore così come i Mercanti sembrano aver compreso a pieno tutte le loro qualità non lesinando momenti di grande lirismo strumentale. I Mercanti, chitarra, basso e fisarmonica, ora guidano per mano Paolini nelle sue istrioniche performance vocali ora ne sottolineano i monologhi con un commento sonoro essenziale e diretto. Certo gli occhi sono tutti per Paolini, che riesce sin da subito a rapire il pubblico con la sua immensa verve affabulatoria e con le sue capacità evocative, ma i Mercanti lungo tutto lo spettacolo si ritagliano uno spazio loro come nel caso della bellissima Lombardia, eseguita in una versione che ci riconduce alle migliori pagine di Storie D’Italia dei Gang. Non mancano inoltre brani dall’ultimo lavoro in studio dei Mercanti di Liquore, Che Cosa Te Ne Fai Di Un Titolo e un brano inedito che anticipa il loro prossimo disco, Live in Dada. L’importanza artistica però di questo spettacolo, in cui teatro e canzone vanno a braccetto e si confondono tra poesie musicate di Dino Campana tratte dai Canti Orfici (la commovente Vele), filastrocche di Gianni Rodari Rodari (Re Federico, La tradotta, I mari della luna)e scritti di Erri De Luca (Il Prigioniero Ante e Sputi) è il tratto sociale che nasconde, ovvero la riscoperta dell’acqua come elemento più puro per la nostra vita. Dall’acqua parte il racconto, dall’acqua si evolve e fino ad universalizzarne il suo valore sociale per sfociare poi una versione corale de La Guerra Di Piero, che chiude una serata magnifica.


Salvatore Esposito


Intervista a Marco Paolini e a Lorenzo Monguzzi de “I Mercanti di Liquore”

Prima che vada in scena lo spettacolo, riusciamo ad incontrare Marco Paolini e Lorenzo Monguzzi, con loro abbiamo avuto modo di parlare dello spettacolo, delle loro ispirazioni ma soprattutto di confrontarci con la loro smisurata passione per la musica e le tradizioni.

Come è nato il rapporto artistico con i Mercanti di Liquore?
Marco Paolini: E’ una cosa che è nata sul palco di Milano per una celebrazione del 25 aprile, per La Festa Della Liberazione. Ci siamo annusati e io ho sentito un bel feeling con loro. Quando ci siamo trovati al lavoro insieme abbiamo capito che si potevano fare delle belle cose.

Quanto pensi sia stato determinante il tuo apporto a questo spettacolo?
Marco Paolini: Mi è difficile spiegarlo perché in effetti abbiamo lavorato molto insieme. Io penso di aver scelto qualche testo, buttato d’istinto delle idee ma ovviamente io sono un analfabeta musicalmente, un autodidatta. Vado fino a dove mi porta l’istinto, poi aspetto che loro facciano delle ipotesi e aspetto che tutto si completi insieme a loro. Casomai loro inventano e io scelgo tra diverse melodie, e questo accade anche durante le prove mentre lavoriamo su alcune cose. A volte le cose vengono da sole ed è molto più facile. Per altre invece richiedono più tempo.

State portando in tour questo spettacolo da molto tempo ormai, è tuttavia un work in progress continuo puoi fare un bilancio?
Lorenzo Monguzzi: Dal mio punto di vista è sicuramente sorprendente. Non dico che non ci aspettavamo un così grande successo perché lavorare con Marco Paolini, fa presumere avrà una certa visibilità, data la sua bravura e la sua notorietà. La cosa che mi ha stupito è come lo spettacolo si sia evoluto, passando da una sorta di teatro con canzoni a qualcosa di sempre più musicale. Tutto è sempre circondato da musica, si fa canzone vera e propria, ogni tanto serve solo ad accompagnare dei racconti, a fornire una sorta di tappeto sonoro, la maggior parte delle volte occupa una posizione dominante. La sorpresa per noi è stato sicuramente, vedere Marco così interessato a fare musica, ad entrare il più possibile nella musica.

Da teatro con canzoni così siete passati ad un modello molto vicino al teatro-canzone di gaberiana memoria…
Lorenzo Monguzzi: Certo, nello spettacolo non manca anche qualche accenno ed in particolare, c’è una suggestione che ci sta arrivando di recente, infatti, ci stiamo accorgendo che quando fai un percorso prima o poi ti ritrovi senza volerlo di fronte ad un illustre predecessore. Il riferimento al Teatro Canzone di Gaber, non è stato un punto di partenza per noi. All’inizio pensavamo più ad una sorta di Canzoniere con delle radici più nella filastrocca, nei Cantastorie, nei Cantacronache, quindi il tutto più indirizzato verso forme di musica popolare. Poi naturalmente prendendoci gusto nel fare questo spettacolo, ci siamo accorti che Gaber si avvicinava molto come una sorta di riferimento improvviso. Ci siamo accorti che alcune delle sue cose potevano essere interessanti come modello e in questo momento stiamo pensando di provare ad inserire qualcosa di Gaber nello spettacolo. Sembra un po’ presuntuoso questo però non saprei trovare un qualcosa per spiegare bene lo svolgimento dello spettacolo, perché si è trattato di qualcosa di veramente nuovo. E’ per questo che quando mi chiedono di spiegare lo spettacolo vado un po’ nel panico, perché non riesco a fare collegamenti con qualcosa che ho visto in passato. Quindi come nel caso di Gaber può avere delle strutture riconducibili a qualcosa del passato ma nella sostanza, come modo di proporsi e di sviluppare lo spettacolo, è qualcosa di assolutamente nuovo, di anarchico. Come dice Marco all’inizio, tutto è tenuto insieme dallo sputo. Lo spettacolo non ha una drammaturgia, non ha dei percorsi obbligati. Le canzoni sono tenute insieme da alcuni monologhi di Marco che fanno un po’ da collagene.

…un po’ come faceva uno dei vostri modelli principali: Fabrizio De Andrè?
Lorenzo Monguzzi: Quello per quanto mi riguarda De Andrè, è uno dei maestri di riferimento più grande. Andiamo orgogliosi del nostro passato come interpreti del suo repertorio. Le suggestioni sono le stesse. Da Fabrizio questo spettacolo ha preso senza dubbio la musicalità della parola, che è una cosa molto affascinante nella sua produzione. E quindi De Andrè è senza dubbio il momento più alto di questa alchimia tra noi e Marco. Andando a scavare nel passato è bello scoprire esempi meno “nobili” che possono ispirare come Ivan Graziani, un personaggio diversissimo da De Andrè ma che è stato assolutamente sottovalutato. Come lui molti cantautori di musica leggera hanno toccato vertici di grande genialità, mischiando la parola con la musica. Ciò non ha bisogno di una provocazione alta o politica.

…Basta pensare al Nuovo Canzoniere Italiano o ai Cantacronache, da cui penso voi deriviate idealmente…
Lorenzo Monguzzi: Più che derivare io direi che lì ci sono le nostre fondamenta, su cui abbiamo cercato di costruire qualcosa di nuovo. Marco mi ha insegnato che non bisogna mai celebrare, o ricamare su qualcosa che è già esistita ma trarne un insegnamento importante per cercare di fare cose nuove. Bisogna cercare di avere un po’ di follia, un po’ di presunzione, e molto coraggio e andare ad esplorare territori nuovi. La canzone è un rimescolare le carte, certo ma già fare questo è una piccola novità. La canzone italiana è un po’ riproporre la stessa minestra sempre, ogni volta riscaldata

Prima hai parlato di contatto tra parola e musica, voi siete riusciti a musicare testi di Gianni Rodari, Erri De Luca, Mario Rigoni Stern, riuscendo ad amalgamare il tutto con brani inediti. Qual è stato il lavoro concettuale alla base di tutto?
Lorenzo Monguzzi: Quello che ti dicevo all’inzio. Il lavoro è nato insieme con Marco, che aveva già fatto alcuni lavori sulla poesia dialettale e una cosa che sicuramente, non è una novità, ma per certi lo è stato, l’idea di mettere in musica la parola scritta presente solo sui libri o nei libri di testo. Abbiamo fatto un lavoro inverso, la parola ha condizionato la musica. Penso a Dino Campana, di cui abbiamo tratto una poesia dai Canti Orfici per un nostro brano, e siamo partiti proprio dalla musicalità delle parole che solamente un poeta sa fare in quel modo. Ci siamo accorti che queste parole suggerivano non una ma tantissime musiche, da tutte queste musiche abbiamo scelto quelle che ci sembravano più coerenti. E’ stato come riportare a galla una musicalità che già c’è in questi brani. In realtà la cosa che mi ha sorpreso, è che ci abbiamo messo pochissimo tempo a fare tutto, di solito ci si impiega molto a scrivere un brano, invece qui è stata così forte la suggestione di questi testi che buttar giu cose semplici però ispirate, faceva venire voglia di aggiungerci qualcosa su aggiungerci una melodia, un passaggio strumentale. Era come avere dei microcosmi dove dovevamo solo avere la sensibilità di entrare e aggiungere del nostro. E’ stato molto divertente, un lavoro più di istinto che di altro.

E’ di questi giorni la notizia che in Campania è nato un movimento per la difesa dell’acqua come bene pubblico da non privatizzare. Come vi sentite nel portare in scena una tematica così attuale per la nostra regione?
Marco Paolini: Abbiamo seguito la battaglia della Campania per l’acqua di cui è stato portavoce anche Alex Infascelli, con il quale sono stato molto vicino in passato. Abbiamo seguito tutto. E’ stato bellissimo seguire l’evoluzione di questa lotta della gente e anche vedere come all’interno di amministrazioni di centro-sinistra si sia dovuto ridiscutere scelte sbagliate. Non bisogna dare per scontato che i piani dei manager, che servono per fare quadrare i bilanci, vadano bene per tutti e siano l’unica soluzione. Ci sono scelte lunga durata dietro a certi movimenti politici. Scegliere di non fare una cosa non significa non trovare una soluzione. La gestione pubblica dell’acqua non credo significhi automaticamente, il contenimento dello spreco dell’acqua che esce da ogni buco in una rete-colabrodo. Credo sia il farsi carico di una diversa soluzione. Non credo che la battaglia finisca quando si ha la certezza che non aumenti il costo sulla bolletta. Ciò comunque porta a consumare una risorsa. La soluzione viene dal basso, come quella maestra di Napoli che invitava i bambini a bere l’acqua dei rubinetti. Siamo troppo protetti, abbiamo bisogno di introdurre degli anticorpi nel nostro corpo. Siamo troppo sterilizzati. Certo quella è una forzatura, però è fatta allegramente con presupposti culturali profondi, giusti. Ciò ti apre il cuore.

Da qui si può desumere il succo originario dello spettacolo…ovvero ritornare alla purezza dell’acqua, alle origini di ogni cosa.
Marco Paolini: Ridare appeal alle cose è un modo per farle sentire, la soluzione dovrebbe essere corale. Certo quando ne parlano le maestre, se ne interessano le amministrazioni locali e su un palco se ne canta, tutto assume una chiarezza differente.

Concludendo, so che avete un disco in uscita, Live In Dada, Lorenzo, puoi parlarcene?
Lorenzo Monguzzi: Ho perso un po’ i contatti, essendo fuori casa da qualche settimana, oltretutto non è un disco nuovo ma un live, con un inedito che facciamo in questo spettacolo. La cosa interessante è che insieme al disco, c’è un DVD. Non l’abbiamo ancora messo in vendita perché stiamo aspettando dall’etichetta le copie della prima tiratura. Non è uno di quei live assolutamente fighi, curatissimi. Tutt’altro. Ma è un live a cui teniamo molto, in quanto è stato registrato in un posto dove suoniamo spesso, al Dada Pub, un locale dell’interland milanese. Una specie di Drug Store, dove le condizioni tecniche non erano il massimo. Gente spippatissima che fa un frastuono pazzesco. Ci piaceva però fotografare un momento che richiamasse le scene e le situazioni in cui noi siamo cresciuti, ovvero quei pub che una volta erano fumosi e affollati e che oggi sono solo affollati da diventare invivibili quando si fanno i concerti. Posti in cui conta quanto sei disposto a sudare e a faticare per farti sentire più che celebrare il mito della personalità o altro. Queste cose ti formano, ti danno la direzione, che alla fine non puoi più lasciare. Nel momento in cui abbiamo deciso di fare un live, abbiamo deciso che doveva essere inciso là e con queste caratteristiche. Il Dvd, la cui regia è di un regista che ha lavorato anche con Marco, è la cronaca di questa serata, non la riprende ma ne racconta alcuni momenti importanti.

Salvatore Esposito

Foto di Salvatore Esposito

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