.

The Legendary Shake Shakers

The Legendary Shake Shakers

JD Wilkes pare innocuo. Mi è stato descritto dal PR della casa discografico come un pazzo, una cavallo allo stato brado, un tifoso la cui squadra del cuore vive costantemente sommersa dai soprusi arbitrali. Scorrendo le sue note biografiche mi aveva però colpito la provenienza dello smilzo e tiroideo JD: il Kentucky.

Il Kentucky è un luogo geograficamente e storicamente piuttosto sfortunato sin dalla guerra di seccessione, a cui Wilkes fa spesso riferimento nei suoi testi. E’ uno stato cronicamente depresso, anche meteorologicamente parlando, e non ha mai retto l’autorevolezza degli altri stati Dixie come il Mississippi e la rigogliosa Georgia. L’unica possibilità di costruirsi una strada per la salvezza è restare vicini alle Chiese in quanto community, centri sostitutivi addirittura del council locale, arricchite dai lasciti di famiglie patriarcali di discendenza europea e dalle elemosine dei ricchi, quelle che in America si chiamano più signorilmente donation (detraibili dalle tasse, se la cosa vi interessa…).

La premessa è necessaria per spiegare come un apparente timorato di dio dal fare dimesso se pur entusiasta possa tramutarsi sul palcoscenico in una bestia, in un hooligans del rock & roll.



Ecco perché nel corso del nostro incontro durante la recente tournée europea che i quattro americani tenuto come apertura di Robert Plant & The Strange Sensation , JD Wilkes ha passato una buona mezzora evitando sistematicamente di parlare con l’intervistatore della band che guida, The Legendary Shake Shakers, come se la sua vita all’interno della formazione, non avesse niente a che vedere con quella da bravo ed articolato redneck del duemila.

I temi della conversazione denotavano altresì una sottile frattura fra la vita quotidiana di un giovane americano suburbano medio e quella del suo alterego, il rocker postpunk dal carattere labirintiaco e distruttivo, andando via via a tratteggiare la fisionomia di una terza figura, quella dello psicotico maniacale arrivato, strisciando e rantolando, allo sportello d’ascolto quotidiano.

E come con tutti gli psicotici maniacali del music busness tu non puoi che lasciarli parlare, tentando di indirizzarli su un percorso che possa fornire a te giornalista indicazioni su cosa si cela dietro l’artista, il personaggio. Perché ciò possa accadere ci vuole un terreno comune. E per JD Wilkes di The Legendary Shake Shakers quel terreno si chiama Gospel. Si comincia così con le storie “da caminetto”, quelle poi che da caminetto non sono più, ma generano credenze e leggende popolari.

Ed ecoo venire lentamente venire allo scoperto il vero JD Wilkes

“Mi hanno sempre affascinato questi personaggi che tentavano di mischiare peccato e santità nella loro persona. E questo è il segreto della musica di The Legendary Shake Shakers, restare fedeli alla tradizione nel nome del rinnovamento e tutto a tempo di rock & roll”.

Fino a qui il discorso di JD non fa una piega se non fosse per quegli occhi rossi di sangue che non si fermano mai e per quelle mani scheletriche che sembrano quelle di certi personaggi dei film dell’orrore.

Ma è quando l’armonicista cantante del quartetto si mette a parlare di un certo Father Herrera che la storia assume toni preoccupanti.

“ Hai mai sentito parlare di Father Herrera ? – mi stuzzica JD spintonamdomi verso il tavolo del catering – senti la sua storia…”.

E parte: “ Eravamo intorno alla fine degli anni sessanta quando a casa mia comincio a sentir parlare di un certo Father Herrera. Mia madre lo descriveva come un tipo “economical “ pareva si accontentasse di poco; le cronache di Shrevenport, Louisiana, non lontano dal mio paese, lo descrivevano come “ un vagabondo “. Nella contea locale era arrivato come un fulmine a ciel sereno ma nessuno sapeva esattamente chi fosse né da dove arrivasse. Certo che - lo ricordo bene, ero piccolo ma ho ancora il tono della sua voce, lento e basso, costante come un siluro nelle orecchie - una sera accendiamo WDIA (la stazione dei neri che trasmetteva da Memphis) e lo sentiamo salmodiare accompagnato da una musica pazzesca. Per me fu una illuminazione!”, esclama a voce alta Wilkes mentre gli occhi paiono uscirli dalle orbite e la vena giugolare esplodere. E continua “ Inizia a raccogliere soldi un po’ da tutti, organizza cene e preghiere collettive prendendo in gestione palestre, addirittura un negozio di ferramenta. Consola le persone sole, in special modo le vedove. Nel 1970 è diventato talemente potente e famoso da convincere la Stax a pubblicare un album con i suoi Gospel insieme a un fantomatico Trio Esp ( l’album verrà messo in commercio dalla sussidiaria Enteprise e resta ad oggi suo unico album, naturalmente, fuori catalogo e oggetto di culto fra gli estimatori dei cosiddetti Rock & Roll Sermons n.d.r)”.

JD Wilkes è inarrestabile a questo punto. Sulla porta ci sono gli altri ragazzi del gruppo che fanno capannello e restano ammutoliti ad ascoltarlo.

“Acquisto quel disco e comincio ad ascoltarlo giorno e notte, giorno e notte, giorno e notte e capisco che io devo diventare come Father Herrera, che la musica e le parole sono un solo corpo…”:

JD Wilkes stremato si ferma per un attimo, si toglie gli occhiali, ci soffia dentro, li pulisce con le dita e li rinforca,

Riparte:

“… Poi Father Herrera scompare, dall’oggi al domani. Nessuno ha più sue notizie. Il mistero si trasforma in una No Fly Zone, Un triangolo delle Bermuda dell’anima (!?!)… quando viene ritrovato, il 6 Agosto 1973, colpito da 11 coltellate, al ciglio di una strada periferica di Sain Louis Obispo, a nord di Los Angeles, è ancora vivo, respira appena.”.

Pausa.

“ … Indossa una pelliccia bianca, sotto solo uno slip leopardato e stivali di pitone, non proprio un abbigliamento da estate!. –esclama Wilkes -. Ha con se due pistole, un agenda con più di 7000 indirizzi e i contratti di 9 conti bancari in altrettanti stati d’America, 3 passaporti e una borsa con 23.000 immagini ( flyer pronuncia JD ) della Madonna. Riesce a pronunciare solo le seguenti parole “ I Feel Like a Sex Machine “ poi a seguito di un enorme rutto, spira.”

Silenzio.

I colleghi del gruppo se ne vanno in silenzio, mestamente mentre, più lontano il chiasso dei cancelli aperti raggiunge il retro palco.

Davanti a storie del genere non sai se chi te le racconta ci fa o ci è ma è chiaro che la curiosità incalza.

Allora, non puoi che mandare a memoria “Believe” l’album che i quattro suonano stasera, un disco che è un energico frullato di blues, country e roots, dove tutto ruota intorno alla voce di J. D. che riesce a far convivere la sua anima “tradizionalista” con gli impulsi quasi punk – Jello Biafra dei Dead Kennedys è tra i suoi fan - . Le canzoni del gruppo sono – anche dal vivo – tutte simili a se stesse machissenefrega; hanno tutte la chitarra che guida le danze insieme alla voce, spesso distorta, di J. D. ben supportati da un basso e batteria scoppiettante.

Basta questo perché uno come Robert Plant si accorga di loro ?

“Avvenne tutto a SXSW, ad Austin, nella primavera del 2005 – dice JD Wilkes, ancora visibilmente provato dalla storia di Father Herrera-. Plant ci vide e ci fece i complimenti. Un giorno d’estate mentre ero nel campo con il mio trattore, mi arriva una telefonata ed è lui in persona che ci invita ad aprire la sua tournée mondiale. Solo pochi giorni fa ho avuto il coraggio di chiederli perché aveva scelto noi e la risposta ancora mi onora – dice JD alzandosi in piedi – “perché – ha affermato Plant - voi siete completamente pazzi” ( “because you guys are totally nuts!”)

Percy, il nomignolo di Plant dagli esordi con i Led Zeppelin, ha ragione. Il ritmo del disco è infatti da cardiopalma come d'altronde sono le esibizioni live della band, e si consiglia vivamente l’ascolto alle persone non deboli di cuore e desiderose di scaricare l’adrenalina saltellando qua e la per la loro casa dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro sbraitando ‘Where’s The Devil… When You Need Him?’, ‘Piss And Vinegar’ (una sorta di Tom Waits R’n’B) e ‘Help Me’ di dixoniana memoria.

Non mi resta, quindi, che uscire nei corridoi del backstage per chiedere conferma e fare un veloce double check con Plant in persona…

“Robert, are these guys so good?”
“Ernesto, these guys are Fucking Great “

Ernesto de Pascale

tutte le recensioni

Home - Il Popolo del Blues

NEWSLETTER

.
.
eXTReMe Tracker