. Eric Sardinas

Eric Sardinas, blues ad alto volume
www.ericsardinas.com

Powerful blues with Eric Sardinas and his faithful, unique guitar

Blues sì, ma di grande impatto sonoro. Eric Sardinas è tornato in Italia per gli appuntamenti invernali legati a Pistoia Blues, una serie di concerti sul palco del Melòs per la rassegna Blues in Club. Sardinas suona esclusivamente una chitarra Dobro (generalmente usata in chiave acustica) elettrificata, e con lo slide tra le dita. Dotato una grande tecnica, Sardinas è molto conosciuto tra i frequentatori dei festival blues di Stati Uniti ed Europa e lo scorso anno ha fatto parte della band ufficiale che accompagnava Steve Vai nel tour mondiale. Con lui sono giunti in Italia Lewell Price (basso) e Patrick Caccianiga (batteria). Un paese, il nostro, che ormai Sardinas conosce bene.
«Si, mi piace molto il vostro pubblico e l’entusiasmo che trovo nei concerti in Italia. Ho già partecipato due volte a Pistoia Blues e nonostante questo sono emozionato nel trovarmi di fronte lo stesso tipo di pubblico in un club».
Come mai la scelta di esibirsi con un trio?
«Io amo molto le sonorità di tanti strumenti, l’armonica, l’organo hammond, le tastiere, i fiati. Ci sono tanti colori che si possono aggiungere a una band e al suo modo di eseguire la musica. Sono uno che ha ascoltato tanti brani. Però penso che per la mia musica, dopo essere passato per le radici del blues, la prassi acustica, il repertorio del Delta, sia necessario scegliere questi tipo di formazione. Un modo per affrontare la musica in modo diretto, essenziale, che sappia tornare alle radici quando necessario. Il trio in fondo è un modo di esprimere il meglio di me stesso per quanto sia possibile».



In pratica per un frontman come lei si tratta di una sfida..
«Sono d’accordo. Per me rappresenta il modo migliore per affrontare il pubblico»
Lei si è affermato in un genere che ha molti maestri, c’è qualcuno in particolare a cui si è ispirato?
«Certo, tanti personaggi hanno contribuito a farmi crescere. Dipende anche a quale decade ci possiamo riferire. A partire da quelli del Delta blues tradizionale, che mi hanno dato ispirazione all’inizio come Charlie Patton e Bukka White. Poi a è partire da T. Bone Walker per quanto riguarda i sessanta Bo Didley e Chuck Berry che sono stati molto innovativi come suono e come stile. Poi non posso dimenticare personaggi come John Lee Hooker e Elmore James, l’autentico suono elettrico di Chicago. E se ci muoviamo nei settanta penso anche a chitarristi come Rory Gallagher e Jimi Hendrix, la cui figura è stata indubbiamente innovativa».



Lei scrive molta musica propria, ma il blues è un genere con brani famosi molto amati dal pubblico. Quali scelte compie?
«Mi piace molto comporre brani e proporre la mia musica, è la cosa che preferisco. Però può capitare talvolta che ci sia qualche classico che mi piace reinterpretare in modo personale, come ad esempio brani di Elmore James. Ci sono tante belle canzoni che fanno parte della mia storia e di autori che hanno fatto la storia. E questo, oltre a essere apprezzato dal pubblico, fa piacere anche a me».

Michele Manzotti

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