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Giornalismo indipendente e radio libere: Raffaele Palumbo

IL PASSATO

1.) Ti presenti al pubblico de Il Popolo del Blues e fai una breve cronistoria dei "turning point" della tua vita?

Sono nato a Napoli quasi 35 anni fa. Qui mi sono laureato. Sono stato un paio d'anni a Milano e poi ho scelto di venire a vivere a Firenze, dove ho conseguito un Dottorato di ricerca. Ho iniziato a lavorare come giornalista free lance negli anni delle guerre in ex Jugoslavia. Ho lavorato come giornalista radiofonico a Napoli, Milano e Firenze. Sono a “Controradio” da 10 anni. Da più di cinque ne sono direttore. E da quasi quattro, sono direttore anche del mensile della radio "Rosso Fiorentino". Ho collaborato con quotidiani e settimanali italiani come Il Manifesto, Il Diario, L’Espresso, La Nazione, Punto Com. Sono stato regista per il terzo canale della Radio Rai. Ho pubblicato il libro-inchiesta sulla prostituzione "La tua città sulla strada" (Ecp, 1998), poi – con Francesco Papafava – il reportage sul patrimonio artistico kosovaro "Nelle braci del Kosovo", infine "Prima scrivere" (Mediascape). Insegno dal 1996 scrittura creativa al Master in comunicazione e media dell’Università di Firenze. Presso la stessa Università – corso di laurea in Media e giornalismo - ho insegnato negli ultimi 8 anni, Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico, Teorie e tecniche del linguaggio radiofonico e scrittura creativa. Ho insegnato infine Teorie e tecniche del linguaggio radiofonico presso il corso di laurea in Teorie della Comunicazione (Facoltà di Scienza della Formazione, Università di Firenze). Sono stato tra gli autori della Garzantina (Enciclopedia Garzanti) della Radio.


2.) Abbraciare il giornalismo radiofonico piuttosto che la carta stampata è stata una scelta per Raffaele Palumbo?

No, la radio ha scelto me. Ho passato la mia vita professionale ad inseguire la carta stampata, mentre contemporaneamente la radio mi inseguiva. "La scrittura è il tuo destino, non lo hai scelto tu", scriveva Buzzati. E - per me - la scrittura è tutto. Anche se... primo, non potrei mai fare a meno della radio; poi, devo dire che - essendo per la narrazione centrale nella vita - non concepisco i mezzi di comunicazione come esclusivi. Mi ritrovo spesso a scrivere, così come ultimamente ho finito un corto girato in Super 8 ad Auschwitz.

3.) Volevi fare il giornalista ?

Volevo fare il narratore. Volevo raccontare storie. Mi sono ritrovato a fare questo mestiere, diciamo così, naturalmente. E' l'unico che ho fatto e che ho iniziato a fare da subito, in radio, a Napoli, a 15 anni.

Il PRESENTE

1.) Puoi definire Controradio con un verso di una canzone?

Mi dispiace, anche perché potrà sembrare presuntuso, ma è troppo difficile. O almeno a me non riesce.


2.) Cosa è cambiato negli ultimi dieci anni? Da quando sei arrivato a Contororadio, insomma?

E' cambiato moltissimo. Soprattutto perché sono cambiati i tempi e perché c'è stato un naturale ricambio generazionale. Le attività si sono moltiplicate, come si è approfondito il rapporto con il territorio. Il mensile, il sito internet, la rinascita del rock contest, il video minuto fatto in contemporanea su 3 città italiane, la produzione di cd, Station to Station, ma soprattutto una ritrovata e per certi versi inedita presenza e autorevolezza sul territorio. Ecco, queste cose 10 anni fa erano impensabili. I cinque anni precedenti al 2001 sono stati anni di terribile e indimenticabile stagnazione. Complice anche una stagnazione politica e culturale a tutti i livelli. Dall'annus orribilis di Genova, del nine-eleven, della vittoria di Berlusconi, quella storia che qualcuno voleva morta, si è rimessa in moto alla grande. Sono stati gli anni del movimento e dei girotondi, delle nuove br e dei cortei con 3 milioni di persone, sono stati gli anni di Moretti, Cofferati, Michele Santoro. Ogni settimana c'era una nuova iniziativa capace di attirare un pubblico che si dava fino ad allora per disperso. La radio c'è stata. Sempre. Questi ultimi cinque anni sono stati sfinenti, ma soprattutto entusiasmanti.

3.) Nel mondo radiofonico in generale (e/o in particolare) siamo davvero passati dalla radio dei "programmi" alla radio dei "giornalisti"?

Per certi versi purtroppo sì. Questo denota meno gioco di squadra, a tutti i livelli. Un programma è un prodotto estremamente complesso e articolato. E' il frutto di un gruppo che lavora insieme e lavora bene. E che è capace - e si pone come obiettivo - di gestire e governare una roba complessa e che magari vuole anche essere innovativa. Il resto è individualismo. E la radio è come un gruppo rock. Se ciascuno suona per i fatti suoi per far vedere quanto è bravo, addio.

4.) Ciò che resta in onda - oltre al giornalismo e all'informazione - può essere solo "flusso" con conduttori/ vigili urbani? Se non lo è quale caratteristica - al di là dei contenuti musicali - deve avere una stazione radio indipendente?

Quello che dicevo prima. Il gioco di una squadra fatta di persone che pensano, e pensano un progetto comune e condiviso. Non a gestire l'attuale, a smistare, ad affrontare quella materia straordinaria che è la realtà come un problema, una pratica su cui mettere un timbro, e anche questa è fatta. La metafora del vigile urbano che non vede l'ora di finire e tornare a casa è purtroppo perfetta in questo senso.


5.) Ci puoi parlare e indicare come vedi l'interazione: realtà locale, realtà nazionale, radiofonia?

Il successo di una emittente come Controradio sta proprio nell'aver fatto dialogare - con il supporto radiofonico e una forte partecipazione degli ascoltatori - il livello locale e quello nazionale. Questo dal punto di vista dell'emissione radiofonica. Dal punto di vista dell'interazione nazionale-locale nel sistema radiofonico italiano la questione è diversa. Andiamo sempre di più verso un progressivo impoverimento (o comunque forte omologazione) del sistema radiofonico locale. A vantaggio dei grandi network, sempre più concentrati, autoreferenziali e impegnati ad imitarsi a vicenda. Tranne poche eccezioni, s'intende

6.) Ultimamente si è sentito parlare spesso di "faziosità giornalistica": vuoi far luce sul termine, spiegarne le radice, se ve ne sono, e darci una tua opinione?
Il dibattito sulla "faziosità giornalistica" è stato il colpo di grazia, l'ultima mazzata ad un mestiere che è stato ucciso. Il "giornalismo" che fa comodo ai gruppi editoriali, alle imprese, alla politica, è un non-giornalismo di vigili urbani, di par condicio, di nessuna assunzione di responsabilità. Il giornalismo è fazioso per definizione. Il giornalismo oggettivo non esiste. Il giornalista è un soggetto, non un oggetto. Che per fare il suo mestiere deve assumersi la responsabilità di raccontare - con professionalità e onestà - quel piccolo pezzettino di realtà che vede. Il giornalismo di oggi prederebbe di mettere a confronto Rudolf Hoss e Primo Levi e dare così - senza responsabilità del giornalista divenuto inutile - la parola alternativamente ai due. Così - dice - il pubblico si può fare un'idea...

7.) Si dovrebbe allora forse parlare di "faziosità radiofonica" ogni qualvolta si suona una canzone?
Certamente! Perché no?

8.) Negli ultimi quattro anni hai diretto una importante operazione di stampa indipendente a favore della radio, "Rosso Fiorentino ", affiliata a Controradio? Cosa è andato e cosa non è andato bene?

E' stata una grande esperienza. Folle, entusiasmante, capace di dare molto prima di tutto a noi che lo abbiamo messo in piedi e fatto camminare. Però le cose non sono andate nella direzione sperata

9.) Perchè?

Perché fare un giornale costa tanti soldi. Perché fare un giornale mentre si fa anche una radio complessa come la nostra è straordinariamente impegnativo. Perché ci rivolgiamo ad un pubblico già saturo di proposte editoriali. Perché c'è stato soprattutto da parte nostra un forte deficit di governo del prodotto. A tutti i livelli. Nasciamo con una impostazione specifica, che riguarda la nostra provenienza come radio libera. Ma commettiamo ingenuità nel nostro cercare di mantenere un'identità facendola vivere uguale a se stessa, in questi anni. Dove si parla invece di azienda, di strategie, di mission, di piano industriale! La coniugazione di questi due aspetti dovrebbe dar vita a qualcosa di diverso. Non si può portare il collettivo degli anni '70 a convivere con un modello aziendalista. Bisogna - olivettianamente - dar vita ad un cosa terza, diversa, nuova, originale, attuale. Ecco cosa mi è mancato in questi anni. La volontà e la capacità di dar vita ad un modello - come realtà editoriale indipendente - veramente orginale e innovativo
E invece?
E invece ci siamo ritrovati nelle burocrazie, nei veti incrociati, nell'uso strumentale dei due modelli a cui facevo cenno - quello assembleare e quello aziendale - a seconda delle convenienze. Una pastoia, dove una cuffia rotta rischiava di mandare tutto in tilt, attraverso, li ho contati, il coinvolgimento di 8 persone diverse per capire come fare a sostituirla o ad aggiustarla. Tutto questo ha reso il mio ruolo, come direttore senza un preciso mandato e precisi confini e precisi strumenti operativi, estremamente difficile. Ne usciremo? Io sono estremamente fiducioso.
 

10.) Fuori i nomi e la tua idea di stampa indipendente del 2006!

Marco Travaglio, Peter Gomez, Gianni Barbacetto, Michele Gambino, Leo Sisti, Enrico Deaglio, Alessandro Robecchi, Gianni Minà, Beppe Grillo.


ESPERIENZA E VISIONI

1.) Quali sono stati i tuoi grandi maestri e quali vedi siano i grandi nomi nuovi del giornalismo?
Prima di tutto Tiziano Terzani. E poi soprattutto i grandi inviati di guerra. Primi fra tutti Bernardo Valli ed Ettore Mo. Per le novità, bisogna pescare nella risposta alla precedente domanda, se di novità si tratta.

2.) Il tuo modello radiofonico?

Un misto di Controradio, Radio 24 e Radio3. Ovvero fare cultura e fare qualità, informazione, musica e "intrattenimento". Documentari e leggerezza. Approfondimenti e paesaggi sonori. Ma. E qui c'è un ma. Cercando in tutti i modi di mantenere un panorama completo. Questo è il grande deficit. Qui non stiamo parlando di controinformazione o di controcultura. Ma della capacità di restituire un panorama - di musiche, di cultura, di informazioni - che sia il più completo possibile. E per fare questo ci vuole grande indipendenza e autonomia. Ma per fare questo ci vogliono grandi professionalità e investimenti importanti

3.) Mi elenchi per favore la tua squadra giornalistica "modello"? Il tuo " dream team "?

Quella elencata sopra e le riflessioni seguenti rimandano in qualche modo alle caratteristiche che deve avere il mio dream team. Proprio perché - per riprendere un termine desueto - o funziona il collettivo - oggi usa dire "la squadra" - o non funziona niente. La qualità diventa episodica. Ci vuole follia e memoria. Documenti e spregiudicatezza. Grande deontologia e talento. Ci vuole professionalità. E la consapevolezza profonda e responsabile che avere oggi tra le mani uno strumento come una radio, e una radio come Controradio, è una cosa grandiosa. Ed è una cosa non ordinaria che bisognerebbe meritarsi. Oggi la cosa di cui sento più la mancanza è possibilità di essere circondato interamente da "professionisti dal cuore buono". Questo sì che è un sogno.
 
RADIO FECCIA O RADIO KABUL

1.) In questi anni di giornalismo radiofonico hai mai sentito di vivere "life during wartime"come canta David Byrne in un celebre brano dei Talking Heads?

Sì, decisamente sì. Ed è stato ed è terribile. E' stato uno shock, perché la mia generazione non è stata preparata a questo. Ci hanno raccontato che con la caduta del muro di Berlino tutto sarebbe tornato a posto, la storia sarebbe finita e avremmo tutti vissuto - almeno noi occidentali - nel migliore dei mondi possibili. Il mondo oggi è un inferno e noi continuiamo a fare finta di niente. Il che è ancora più angosciante. Ricordo esattamente dov'ero quando mi chiamarono al telefono, era domenica, autunno 2001. Hanno attaccato l'Afghanistan, siamo in guerra, mi disse una voce al telefono.

THE FUTURE IS NOW
2.) Puoi descriverci lo scenario post elettorale, chiunque sia il vincitore?

In Italia manca una classe dirigente all'altezza di questo nome. Mancano i luoghi d'eccellenza dove si formano le professionalitè e le intellettualità della classe dirigente. E manca ricambio generazionale. Dieci anni fa assistevamo agli scontri tra Berlusconi e Prodi, e oggi pure. Se dovesse vincere Berlusconi - cosa che escludo - il disastro di questi ultimi cinque anni diventerà strutturale. Se vincerà l'Unione, beh ho la netta sensazione che qualche lezione dalla precedente esperienza l'abbiano imparata.


I AM YOU ARE ME

3.) Puoi indicarci la canzone che ti rappresenta meglio oggidì?

Quando penso con orgoglio e insieme disperazione a quello che potremmo essere penso spesso a La storia siamo noi, di De Gregori. Mi rimanda ad una umanità a cui spero di appartenere.

LE ULTIME PAROLE FAMOSE

1.) Ci scrivi il tuo "Miglior lancio"? quello di cui vai più fiero?

"Sergio aveva cinque anni quando si sentì rivolgere la frase: chi vuole tornare dalla mamma faccia un passo avanti. Era la selezione per gli esperimenti di Mengele. Quando si capì che quegli esperimenti stavano per avere fine, e con essi il Terzo Reich, quei bambini vennero uccisi. Uno alla volta. Impiccati ad un gancio inchiodato nel muro, e tirati per i piedi, perché troppo leggeri per morire soffocati dal loro peso. Oggi, il 27 gennaio del 2005, i sopravvissuti tacciono. Oggi, parlano i morti”. [da una corrispondenza per Popolare Network]

LETTERE DAL DIRETTORE

1.) Cosa consiglieresti a chi intraprende la carriera giornalistica oggi?

Prima di tutto di pensarci due volte. In seconda battuta di non imparare imitando i colleghi. Poi gli direi di essere umile, di leggere, di studiare, di avere una curiosità morbosa e di non fidarsi mai di nessuno fino in fondo. Di tenere un archivio e tenere memoria delle cose di cui si occupa. Un giornalismo senza memoria, non è giornalismo. E - infine - di non essere accondiscendente. Un famoso giornalista statunitense diceva: "il giornalismo è il racconto di un fatto che nel momento in cui viene messo per iscritto farà incazzare qualcuno. Tutto il resto, è pubblicità


Firenze, 27 marzo 2006

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