. The Little Willies - The Little Willies

The Little Willies - The Little Willies
(EMI)


Good songs, skillful musicianships, nothing new but great music from Norah Jones, Richard Julian, Jim Campilongo and a bunch of others local newyorkers

I “Piccoli Porcellini” fanno la cosa giusta. Amano la stessa musica di una volta, suonano ascoltandosi, senza mai accavallarsi. Loro hanno un luogo dove da sempre, amano rifugiarsi, il piccolo The Living Room, club di Ludlow st. dove hanno mosso i primi passi, forgiando il loro stile cantautorale soffice e soffiato. Non è difficile, allora, capire perché quest’album suoni così bene, in modo così unito.
Norah Jones con gli amici newyorchesi Richard Julian, Lee Alexander e Dan Rieser e l’italo americano Jim Campilongo hanno passato solo tre giorni in studio per realizzare il disco che, forse meglio di certi propri lavori solisti, di più li rappresenta. Partendo dalla fruizione di un gusto comune, quel blues misto a country che fuori d’America è così difficile spiegare e non dimenticandosi delle proprie qualità compositive, hanno fermato l’attimo in 13 composizioni di cui quattro originali.
Il valore aggiunto di quest’album, la cui caratteristica principale è una sottile vena Hillybilly (quello stile in voga negli anni trenta che mischiava blues, country e swing), è la presenza dello straordinario chitarrista Jim Campilongo che i lettori de il Popolo del Blues conoscono da tempi non sospetti, da quando, nel 2000, ci fece conoscere, di persona, a San Francisco, la sua straordinaria agilità armonica e le sue qualità ritmiche e melodiche.
Jim, che viaggia su una frequenza tutta sua, quando interviene mette subito in chiaro che c’è vita oltre quel rilassato ed agiato calore intellettuale che viene a volte contestato a certe canzoni di Norah Jones e Richard Julian. Ci pensa lui a dare a queste canzoni uno straordinario twist come nel caso della antica “Tenesse Stud”( qualcuno se la ricorderà suonata dai Grateful Dead negli anni settanta) che Campilongo anima con uno strumentale che deve molto al compianti Roy Buchanan e Danny Gatton, due anime perse del rock & roll, e che cambia la canzone come un calzino. Curioso il brano finale, “Lou Reed”, dedica semiseria a una icona immarcescibile della Grande Mela.

Ernesto de Pascale

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