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TOM WAITS: "Alice" e "Blood Money"



Quando Tom Waits debuttò alcune delle nuove canzoni oggi contenute nei due album in uscita, "Alice", e "Blood Money", sul palcoscenico del teatro Comunale, in quei tre concerti che restano indelebili nella storia della musica a Firenze, i suoi fans più sfegatati si persero in ricerche e illazioni. Tom non fece, in fin dei conti, altro se non quello a cui sono abituati a fare I grandi artisti e cioè considerare le canzoni parte del grande patchwork della vita intercambiabili a seconda dell'umore del momento. Ecco perchè questi dischi, dai toni a volte così spigolosi,onirici o improvvisamente epici, sono solo l'inquadratura di una cinepresa supplementare che ci svela altre luci e ombre del grande artista. Siamo davanti a un evento perche Waits si concede così poco raramente e dal 1999, da quel "Mule Variatins" presentato qui dal vivo, le sue notizie erano diventate poche e frammentate, interrotte solo dalla partecipazione a un album con sue canzoni, "Wicked Grin", dell'amico John Hammond e alla colonna sonora del film Big bad Love. Oggi, in questi due album Waits ha voluto riconfermare quell'amore sfegato per il vecchio continente, per i luoghi antichi e poco illuminati, ma ha portato quel mondo qui conosciuto e respirato in qualche vicolo di New Orleans mentre in lontananaza si odono I suoni di un a cerimonia tradizionale locale. Ecco allora che America e vecchio continente diventano un tutt'uno in due album, e dei due "Blood Money" brilla per libertà espressiva, carichi di piccoli altarini del profano e del sacro.

Dalle prime note di "Misery is the river of the world", un brano destinato a diventare un classico del suo reperotorio Waits torna a impersonificare l'immagine del predicatore in esilio, del difensore di ciò che è giusto nel nome dei peccati da lui stesso commessi. E così si passa attraverso una carrellata di personaggi che paiono usciti dalla pellicola de "L'infernale Quinlan" di Orson Wells. Rimbalzano le pelli dei bonghi, strani strumenti producono rumori sinistri e solo il contrabasso di Larry Taylor tiene tutto ancorato al fuoco dell'inferno waitsiano.Il quale anche per queste due opere si è fatto aiutare dalla moglie Kathleen Brennan per raccontare I fantasmi della sua notte.

Tante le emozioni: qui e la è una musica che pare nata quando la televisione ancora non esisteva-come nella dolce "Coney Island Baby"-e la radio gracchiava, una raccolta di persone stese al suolo dai ricordi, come in"All the World is Green",che si è trascinata verso Ovest con quel poco che aveva o definitivamente abbandonata dal Signore come in"God's away for business", a un certo punto appare lo spettro di Louis Armstrong in "a good ma's hard to find". Ogni tanto quadretti strumentali dalle accorte sfumature timbriche e ritmiche permettono all'attore prinicpale un necessario cambio d'abito.

In "Alice"("mia moglie è la mia Alice nel paese delle meraviglie") invece esotismo, fantasia, insanità e risentimento si mischiano nell'mondo subliminale della psiche di un uomo distrutto dagli eventi estremi. Eppure, pare il messaggio di Waits, nonostante abbia toccato il punto più basso deve essere ancora vissuta, quasi a voler continuare a scavare più giù. "Alice", a differenza di "Blood Money",è una opera con canzoni vecchie di dieci anni e qaulcosa manca di immediatezza, viste le originarie necessità di Wilson.Ma parliamo di sfumature in un altro grande disco che il nostro ha voluto coraggiosamente gettare nel collettivo quasi per sfida . Come già a Firenze e da tanto tempo altrove Tom e dai tempi del suo esordio del 1973 dimostra ancora la grandezza dei contenuti e la necessità di storie reali per potesi presentare davanti a un pubblico dando loro veramente qualcosa.

Con "Alice" e "Blood Money"ancora una volta Waits sceglie di mettere in scena la vita andando ancora più a scavare nel fondo. Quel che produce è una magma di parole e musica difficilmente superabile. Il circo della vita è tornato in città!

Ernesto De Pascale

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