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Blue Rose Records Speciale II

Questo secondo speciale dedicato alla Blue Rose Records, che segue quello pubblicato a luglio, analizza alcune interessanti nuove produzioni di questa attivissima etichetta tedesca, che con coraggio prosegue il suo cammino attraverso il roots rock e l’alternative-country.

Susan Coswill: Just Believe It
www.susancowsill.com


Il nome di Susan Cowsill non dirà certo molto ai più, ma senza dubbio è una delle più brillanti realtà della Blue Rose Records. Complice una lunghissima carriera iniziata quasi in tenera età, la Coswill con Just Believe It, giunge al suo debutto discografico con un invidiabile bagaglio di esperienza che si svela ascoltando le sue canzoni. Sin dalle prime note di Wawona Morning, che introduce questo disco, il disco svela continuamente piccole perle che colpiscono al cuore. La voce tenue e sognante di Susan si sposa molto bene con l’impianto rock degli arrangiamenti, come dimostra la seconda traccia Palm Of My Hands, che vede ai cori Vicki Peterson e Adam Duritz. Non mancano episodi dai travolgenti tratti folk-rock come la title track, dove mandolino e violino si danno battaglia alla grande, o brani dal potente impianto rock come I Know You Know o ancora intense ballate elettriche come Nanny's Song e White Light, che ci riportano alla mente i migliori lavori di Lucinda Williams. Di non meno interesse è anche la cover di Sandy Denny, Who Knows Where The Time Goes, interpretata e arrangiata magistralmente da Susan. Una nota di colore, tra un brano e l’altro compaiono alcuni brevi frammenti che tracciano lungo il disco una sorta di filo rosso, Winona Afternoon, in cui la voce di Susan è supportata dai soli banjo e violino, Winona Twilight, uno strumentale per solo piano e Wawona Night, cantata quasi a cappella in un’atmosfera quasi onirica. Just Believe It è da annoverare come uno dei migliori album d’esordio dell’anno e Susan Coswill va tenuta d’occhio perché nel prossimo futuro ci regalerà sicuramente nuove sorprese.


The Silos: When The Telephone Rings
www.thesilos.net


Il mondo del rock, è spesso cattivo, e Walter Salas-Humara dei Silos, ne sa qualcosa. Attivi sin dagli anni ottanta nella scena alternative-country degli States, questa band non ha mai raccolto il successo che avrebbe meritato, un po’ per scelte sbagliate dal punto di vista commerciale, un po’ i frequenti cambi di formazione. When The Telephone Rings, questo il titolo della loro episodio discografico, arriva a mettere in chiaro le cose, i Silos hanno talento da vendere e soprattutto tanto rock n’ roll da regalare a coloro che si avvicinano ai loro dischi. Questo disco che dovrebbe consacrarli definitivamente vede i Silos, nella loro ultima formazione in trio con Salas Humara alla voce e alla chitarra, Drew Glackin al basso e Konrad Meissner alla batteria coadiuvati in alcuni brani da alcuni talentuosi collaboratori esterni come Richard Lloyd e Jason Victor alle chitarre e Mary Rowell al violino. Certo i Silos con questo disco non inventano nulla, anzi ricalcano per certi versi Steve Earle, ma non si può negare che alcune intuizioni di questo disco risultino particolarmente piacevoli. E’ il caso dell’iniziale The Only Love, dotata di una melodia ad uncino su cui si innesta un duetto di in dubbio fascino, del rock travolgente di Innocent o ancora delle incursioni nel pop rock d’alta classe di 15 Days e Don’t Wanna Know. Non aspettatevi però che esplodino prima o poi, certi dischi, seppur pieni di talento finiscono nel dimenticatoio.


Mic Harrison: Pallbearer's Shoes
www.micharrison.com


Se cercate un disco pop-rock dalla melodia facile, eccone giusto un esempio. Pallbearer’s Shoes, il nuovo lavoro di Mic Harrison, sviluppa le istanze musicali che il cantautore del Tennessee aveva già espresso con i V-Roys, la band nella quale ha militato con l'amico Scott Miller per lungo tempo incidendo anche tre dischi per la E Squared di Steve Earle. Non è un caso dunque che di ex V-Roys qui ne troviamo ben due Paxton Sellers al basso e il già citato Scott Miller ospite in Journey's End. Il disco, ben supportato dalla produzione di Don Coffey (che suona anche la batteria), si muove lungo un percorso power pop che svela non pochi tratti interessanti. Sin dai tre brani iniziali Something To Let You Down, Shake Your Faith e Still Standing si comprende come Mic Harrison abbia lavorato molto sui brani più movimentati che senza dubbio sono la colonna portante di questo disco. Tuttavia non manca qualche punto debole come la falso beatlesiana Madame, che sconfina in una melodia abbastanza scontata, e che posta prima del brano meglio riuscito del disco Journey's End, un boogie rovente guidato da un piano travolgente, finisce per sfigurare del tutto. Sul finale il disco sembra farsi più interessante spostando l’asse verso alcuni brani pop-folk come Back to Knoxville e All at Once ma è un lieve fuoco di paglia che si spegne subito dopo per riaccendersi con River City Bluff, brano dai tratti rock n’ roll dal sangue blu.


Arthur Dodge & The Horsefeathers: Room #4
www.arthurdodge.com


L’etichetta di rocker di provincia non dispiacerà ad Arthur Dodge, fine songrwriter di Lawrence, Kansas, giunto con questo nuovo disco, dal titolo Room #4 alla piena maturità artistica. Dopo anni passati rincorrendo ora il country-rock ora il rock dai toni southern, con questo nuovo disco Dodge abbraccia un songwriting raffinato che si sposa molto bene con il suo cammino artistico regalandoci un pugno di canzoni di grande effetto. Il fatto di avere alle spalle una band consolidata come gli Horsefeathers è senza dubbio significativo infatti, il cantautore del Kansas riesce a dare un impronta ben delineata ai suoi brani che si snodano attraverso sia arrangiamenti bluesy dai toni notturni sia attraverso spunti rock che ricordano i migliori episodi di Neil Young & Crazy Horse. Il disco svela così una lunga serie di brani interessanti di cui vale la pena citare Creature of the Night, una ballata notturna degna del miglior Randy Newman alla cui voce quella di Dodge si può ben rapportare, gli scatti energici di Carry Me e la vellutata Hung On. Non manca inoltre qualche richiamo al passato come dimostra il country-rock rurale di Let My Reach Exeed My Grasp o qualche incursione nella ballad per cuori spezzati come le conclusive Wormhole e Tell, che suggellano un disco interessantissimo.


Iain Matthews: Zumbach’s Coat
www.iainmatthews.com


Iain Matthews appartiene a quella schiera dei grandi sconosciuti che hanno fatto la storia del rock, avendo fatto parte prima della formazione del periodo d’oro dei Fairport Convention, poi essendo in
numerosi dischi in veste di collaboratore (in particolare quella recentissima con Elliott Murphy nell’ottimo La Terre Comune) ed infine avendo realizzato una serie di dischi che lo hanno visto anche per un one shot in testa alle classifiche americane con la sua versione di Woodstock di Joni Mitchell. Il suo nuovo lavoro Zumbach’s Coat, non può essere che la conferma del suo talento compositivo, infatti ci mostra una serie di brani rock dai tratti decisi che allo stesso tempo svelano arrangiamenti eleganti e raffinati come dimostra la fascinosa Blind Faith. Il fascino al primo ascolto a volte però è ingannevole, e tanta perfezione finisce per nascondere la reale qualità dei brani come nel caso di Contract. L’ascolto è senza dubbio piacevolissimo ma col tempo Zumbach’s Coat si svela come un prodotto fine a se stesso le cui canzoni, seppur qualitativamente molto buone, tendono a ripiegarsi su se stesse e a non lasciare il segno. Non è giusto sparare a zero e demolire tutto, siamo di fronte ad un disco senza dubbio di alto livello, ma da Matthews ci saremmo aspettati qualche guizzo in più, qualche incursione verso il folk o qualche spunto della sua genialità.

AA.VV. Blue Rose Collection 11
www.bluerose-records.com

Per concludere lo speciale, vorrei dedicare qualche riga a Collection 11, nuovo ed impedibile episodio di questa interessante serie che riepiloga anno per anno tutte le produzioni discografiche di questa etichetta tedesca. Questo undicesimo volume, fa il punto sulle uscite discografiche del 2004 e non può che impressionare la liste dei nomi importanti. Spiccano infatti Chris Cacavas, June Carter Cash The Flatlanders, Driver By Trucks, Say Zuzu, Elliot Murphy, Nitty Gritty Dirt Band e Jay Farrarr, tutti presenti con un brano tratto dal loro ultimo disco. Certo non mancano i classici nomi minori ma pur sempre interessantissimi come Ad Vanderveen, Julian Dowson, Patty Hurts Shifter e Reto Burrell, ma è ineccepibile il valore di questa raccolta. Consigliatissima a coloro che vogliono avvicinarsi a questa etichetta e al suo interessante roster di artisti.



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