. Bob Marley – Africa Unite: the singles collection

Bob Marley – Africa Unite: the singles collection
(Universal)



È il 1970 quando Bob Marley che già dal 1962 è una star in Jamaica, ma assolutamente uno sconosciuto al di fuori dei confini dell’isola, inizia a registrare con il folle produttore Lee “Scratch” Perry, il quale dopo aver affrontato Bob con tanto di coltello alla mano per avergli “soffiato” la sezione ritmica (i fratelli Barrett) lo convinse a stringere un alleanza musicale che ha dato vita veri e propri gioielli del repertorio dei Wailers, complici anche le straordinarie armonie vocali di Bunny Wailer e Peter Tosh. È così che proprio con “Soul Rebel” prodotta da Perry si apre questo straordinario album marcato Tuff Gong e Island/ Universal e intitolato AFRICA UNITE: THE SINGLES COLLECTION, una bella compilation che oltre ad un eccezionale inedito di cui è imminente il videoclip, raccoglie i più rappresentativi singoli a 45 giri usciti a nome del profeta del Reggae e fornita di alcune brevi ma azzeccate note di commento presenti sul booklet interno.
La successione è straordinaria, e titoli come “Jammin”, “One Love” o “No woman no Cry” possono essere annoverati sicuramente tra i brani più famosi nella storia della musica del nostro secolo. Forse l’unica pecca imputabile ad una esauriente raccolta dei singoli del nostro è quella di non aver inserito almeno una produzione fatta a Studio One dal leggendario Coxsone Dodd con un Bob agli esordi con capello imbrillantinato e giacca e cravatta, a testimonianza del suo periodo Ska, ma a parte questa pecca filologica, per il resto c’è solo da leccarsi i baffi. In tipico stile giamaicano si prosegue con “Soul Shakedown party” prodotta dal cinese Leslie Kong e già si sente forte l’eco del Blues di Kingston e delle sudate “dances” che si tenevano nei ghetti giù a Downtwn dove il nostro Bob viveva, dove si costruì la sua prima chitarra fatta con le scatole di sardine e dove imparò a suonarla ascoltando con incredibili peripezie la musica trasmessa dalle radio di Miami o New Orleans, da Ray Charles a Fats Domino, dalla Soul music al Doo-woop. Con “Lively Up yourself” del 1971 ascoltiamo la versione prodotta dagli stessi Wailers e iniziamo a percepire forte l’invito di Bob a non perdersi tra le avversità della vita, parole che acquistano ancora più forza alla luce delle drammatiche condizioni di vita e sociali in cui versava (e tuttora versa) la Jamaica dell’epoca come testimonia la successiva “Trenchtown Rock” in cui si raccontano i drammatici scontri di quegli anni che fecero sprofondare l’isola sull’orlo della guerra civile. In “Concret Jungle” l’atmosfera è cupa e la versione che compare su quest’album è l’originale pubblicata dalla Tuff Gong benché questo brano sarà il primo singolo ufficiale prodotto per la Island di Chris Blackwell con la quale i Wailers, dopo aver firmato il contratto, iniziarono a conquistare il mondo come testimonia la successiva “I shot the Sheriff”, all’epoca resa celebre da una versione che ne fece Eric Clapton. Ed è proprio Eric Clapton che dopo aver ascoltato “Slogans”, il sorprendente inedito di questa raccolta, ha chiesto e ottenuto di suonare la sua chitarra sul brano, collaborando con Bob in barba a quella dimensione di spazio e tempo che per primo il visionario re del Reggae aveva infranto con le sue visioni in cui radici ancestrali ed echi di profondo misticismo lo hanno confermato sciamano e demiurgo dei nostri tempi, il cui potere di comunicare, e questo inedito ne è la testimonianza eccellente, rimane ancora vivo e tangibile a dispetto della sua morte fisica: un brano registrato nella Hall di un albergo in cui Bob condanna gli “Slogans” appunto che i politici usano per raggirare la gente, dichiarare guerre , e curare solo i propri interessi , un brano di drammattica attualità in cui si canta che “non possiamo più sopportare i vostri slogans” e basta “con le parole degli ipocriti”. Infatti non bisogna solo pensare a Bob come a uno che volava su una nuvola (magari di Ganja) , ma anzi aveva i piedi ben saldi in terra e la sua denuncia della realtà sociale e politica trova testimonianza in numerosi brani tra cui i qui presenti “Get up Stand up”o “Exodus”. Sincerità che egli pagò di persona , finendo tra l’altro, vittima di un attentato a colpi di arma da fuoco a cui scampò per miracolo. Eppure la verità non si può fermare per quanto tentino di ucciderla (e se Bob in realtà fosse stato ucciso?), ed è così che con questo “nuovo” brano Bob ci esorta ancora una volta ad aprire i nostri occhi , a non credere ai politici, a ciò che raccontano i media, strumenti di quella decadente Babilonia che è la nostra società corrotta e di cui auspicava il crollo, come cantava in “Redemption Song”: “ emancipiamoci dalla schiavitù mentale perché nessun altro tranne noi stessi possiamo liberare le nostre menti”. Parole che non suonano vuote come retorici slogans ma che colpiscono al cuore e ci invitano a riflettere, magari ancora una volta accompagnati dal dolce ritmo del Reggae e dalla calda vibrazione della voce del suo Re.

Giuseppe “Jaka” Giacalone

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