. Lucerne Blues Festival, 12th Edition
Lucerne Blues Festival, 12th Edition
9-11 November 2006

In wintertime, the European capital of the Blues is nested in a tiny lake – the Four-canton Lake - surrounded by a stunning overview of the Alps, one of the few remaining wildernesses of the continent. Lucerne is clean, well-ordered and hard-working as everybody would ideally expect from a Swiss city; its wooden-bridge, a world-known attraction, burned in the early nineties in what it is still considered a major tragedy. With meticulous precision, it was rebuilt within few years in an exercise of remarkable artistic talent. Around the same time, the Lucerne Blues Festival, now at its 12th edition, commenced its adventure. Twelve years of tons of good, often excellent, Blues in an atmosphere that has always maintained a sort of self-confidence and cosiness, while other festivals looked like concentration camps where spectators can merely stand up and listen. Evidently, musicians, as well as the public, feel comfortable in Lucerne: you can eat, drink, take pictures and even get the signature of your preferred artist in a relaxed environment. However, there is never a dull moment as the festival organization always cooks a highly spiced mix of styles, good old acoustic Blues, new Chicago outfits, soul and rhythm’n’blues major stars. 2006 edition was no exception, indeed a great festival!



Dopo il tradizionale concerto gratuito del mercoledì sera, la serata di giovedì comincia con Carey & Lurrie Bell, padre e figlio, due bluesmen che non dovrebbero aver bisogno di presentazione; genio e sregolatezza di due artisti che hanno dato molto al Blues, Carey con la sua armonica immortale, Lurrie con il suo chitarrismo di una bellezza scarna, quasi dolorosa, come “Mercurial Son” un disco di 10 anni fa che pochi all’epoca capirono, pieno di un Blues anticipatore e visionario. I due non si discostano da un repertorio tradizionale, “Key to the Highway”, “She’s 19 years old” e “Everyday I have the Blues”, ma a questi livelli non c’é bisogno di mostrare tanti fronzoli. Da non perdere anche il loro opus comune “Second Nature”. Arriva uno svedesed di grande esperienza, Sven Zettenberg, che dà vita ad un godibile spettacolo di Rhythm & Blues, Soul e Rock’n’roll con una delle migliori band scandinave Knock-Out Greg, anche lui ottimo cantante, and the Blue Weather. Little Sonny é invece un cantante armonicista – originario dell’Alabama ma in quota alla scena di Detroit - che i più attenti ricorderanno in “Music from the Wattstax Festival and Film” eseguire “Wade in the water”. Per motivi misteriosi, era finito a lavorare con Stax Records che nel 1970 gl’affibbiò l’etichetta di “New King of the Blues Harmonica”, titolo anche del suo opus più significativo. Molto spettacolare e gigione, fiancheggiato da una band nervosa il giusto, gratifica il pubblico con un set molto funky ingioiellato da una “Stormy Monday” notevole.
Anche il cantante della Florida Jess Big Yawn, accompagnato da Lurrie Bell alla chitarra, fa un Blues tradizionale di buona fattura con una voce vellutata nello stile di Bobby Bland.

La seconda serata inizia con un cantante-chitarrista che non abbiamo potuto vedere spesso in Europa, Craig Horton da San Francisco, che vinse un W.C. Handy Award con l’album “In my spirit”. Il suo mentore e produttore, Rusty Zinn, apre il concerto, per poi sparire nelle quinte con la sua Gibson SG bianca che riapparirà senza di lui. E’ incredibile che Horton sia rimasto nel limbo assai affollato dei Bluesmen misconosciuti e ricorda, un pò nel fisico, un pò nella musica, un altro grande legato allo stasso destino, Bobby Parker. Ritornano i Bell in formazione elettrica accompagnati da due figli d’arte, Eddie Taylor Jr. alla seconda chitarra, piuttosto in ombra, mentre Kenny “Beddy Eyes” Smith ha il talento del padre, Willie “Big Eyes” Smith, a lungo uno dei batteristi più conosciuti del Chicago Blues. Anche questo sarà un set classico, “I’m ready”, “Have you ever been mistreated”, “Sweet Sixteen” marcato da un episodio curioso: Lurrie fa saltare una corda – pochi chitarristi di Blues hanno un guitarman – termina il pezzo per poi dileguarsi e quando la sua assenza comincia a farsi preoccupante, riappare con la Gibson di Rusty Zinn! Ormai le compagnie aeree fanno sparire così tanti bagagli - Lurrie aveva anche un’acustica per il duetto con il padre - che i musicisti portano in giro l’indispensabile. Ecco un Soulman con la s maiuscola, Howard Tate, un gigante riemerso da un paio d’anni dopo decenni d’oblio – imperdibile il suo “Rediscovered” - e dotato da un falsetto micidiale che sfodera con la giusta parsimonia. E’ lui, alter ego di Jerry Ragovoy, la voce di “Get it while when you can” popolarizzata da Janis Joplin, “Stop” da Jimy Hendrix e “Ain’t Nobody Home da B.B. King. Imperdibile la sua “Part Time Love”. Chiude la serata Anthony Gomes, un chitarrista-cantante giovane che fece ben sperare con un disco prevalentemente acustico “Sweet Stringin’ Soul” qualche anno fa. Adesso sembra più dedito ad un Rock’n’Blues da circo equestre, un genere che ha, va riconosciuto, un nocciolo d’irriducibili fans.
John Lee Duhram é stato una delle più belle sorprese di questa edizione. Apparentemente chiamato a sostituire il nuovo asso della slide in crisi mistica Daniel “Slick” Ballinger, Durham s’é mostrato chitarrista fluido e cantante originale, anche grazie ad una band variamente assortita, che ricordava quella dei fratelli Grunwald, con tastierista-flautista, sezione ritmica e sassofonista. Niente funky, ma il suo primo CD “Struggling and Straining” merita un ascolto. La cantante texana Diunna Greenleaf é quasi una creazione del festival di Lucerna, dove s’era già esibita nel 2004. Dotata di una voce possente, fa salire l’emozione con un pezzo a capella mentre la sua band, i Blues Mercy, guidata da un altro texano, il chitarrista John Richardson, rimangono sui binari di una Blues elettrico piuttosto tradizionale. Ecco uno dei pochi miti ancora in vita della belle epoque della musica nera – Jimmy McCracklin in person! – arzillo 85enne che guida, seduto al piano, una big band veramente notevole con 4 fiati e due coriste. Il repertorio non si discosta dall’attese: “Mustang Sally”, “Kansas City” e una trascinante versione di “Chains of fool” e la sua “Just got to know”. Niente di nuovo sotto il sole ma un’ora di divertimento senza ambasce con Jimmy che gestisce lo spettacolo dando ampio spazio agl’altri musicisti. Nick Moss é la nuova stella del Chicago Blues: il suo album “Sadie Mae” ha mostrato la crescita ineluttabile di un Chicagoano che ha tutti i titoli per inserirsi tra i grandi del genere. E il successivo « Live at Chan’s » non ha fatto che confermare questa candidatura. Anche se non sembra curarsene troppo, il vero problema per Nick sarà ora mantenere le attese. Per il momento offre Blues al calor bianco, scambi di sciabolate feroci tra chitarra e armonica con il bandmate Gerry Hundt, ma soprattutto un pianista di grande valore come Willie Oshawny, ex-Legendary Blues Band, ex-Jimmy Rogers, che qualche anno fa incise un CD « Black nights all around me » divenuto un collectors’ item. Del grande Chicago Blues ! Chiudiamo con una menzione positiva per i Bluecerne, nome omen, gruppo di casa che non ha niente da invidiare ad altri gruppi Europei più famosi. Peccato abbiano tenuto in panchina troppo a lungo lo special guest Laurént Gillieron, ossia il miglior chitarrista blues rossocrociato.

Luca Lupoli

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