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intervista a Joe Bonamassa

Joe Bonamassa non è solo un grande chitarrista blues, è un musicista che crede nel valore culturale e storico della musica. Il suo impegno attivo e costante gli ha permesso di entrare nel Consiglio della Blues Foundation, l’organizzazione che si occupa attivamente del recupero e del mantenimento della tradizione blues in America.

Joe Bonamassa, a differenza dei puristi, non ha paura di “sporcarsi” le mani con il rock, anzi, con l’hard rock, ed in questo ultimo album “You & Me” il chitarrista rispolvera il suo amore per i Led Zeppelin con la cover di ‘Tea For One’ aggiudicandosi anche i servigi di Jason Bonham, figlio di “Bonzo”.

A pochi mesi dal suo arrivo in Italia, abbiamo scambiato quattro parole con lui.


Il tuo ultimo album intitolato ‘You & Me’è come una sorta di punto arrivo e allo stesso tempo di partenza della tua carriera. E’ infatti un disco profondamente blues ma allo stesso tempo ricco di nuove sfumature. Ce ne puoi parlare?

Volevo spingere la mia musica al di là dei canoni del blues classico cercando di suonare più duro e ”pesante”; questo è il mio modo di tentare nuove strade musicali. Per i critici, io mi sto avvicinando al rock; personalmente non mi dispiace, dal mio punto di vista sto suonando ancora blues proprio come era blues la musica suonata dei Led Zeppelin nel loro primo disco. Il sound delle band inglesi di fine anni ’60 è stata una costante influenza per me (ed infatti nel disco precedente c’era una potente versione di ‘New Day Yesterday’ dei Jethro Tull).

Il blues dovrebbe essere uno dei linguaggi musicali più diretti per esprimere i propri stati d’animo, ma sembra sempre di più come limitato dalle stesse sue regole. Stai cercando forse, pur rimanendo all’interno della comunità blues, di portare avanti una rivoluzione dall’interno, essere come una sorta di “punk” del blues?

Un “punk”? Non sono troppo sicuro di questa definizione. Certo di fare ciò che mi piace. Ho un profondo rispetto per la tradizione, ma non farei mai musica rivolta esclusivamente al passato e senza la possibilità di sperimentare.

Sei un membro onorario della Blues Foundation (fa parte del consiglio di amministrazione); Stai cercando di costruire un nuovo modo di intendere e vivere il blues sia dalla parte dei musicisti che da quella degli ascoltatori?

E’ davvero incredbile per me essere ammesso alla Blues Foundation. Non lo avrei mai immaginato. Ed è in effetti strano perché al suo interno ci sono solo veri puristi mentre la mia musica è profondamente condita da altre influenze. È una strana fondazione poi interamente costituita da uomini bianchi, fato questo che davvero quanto meno insolito per me.

Tornando all’album: come è stato suonare avendo dietro alla batteria Jason Bonham?

E’ stata un’esperienza fantastica, non solo è tra i miei musicisti preferiti, ma ha anche aggiunto alle mie registrazioni tutta la sua personalità.

’Tea Fo One’ è una canzone poco conosciuta dei Led Zeppelin, ma è contenuta in ‘Presence’, un album totalmente dominato dalla chitarra dei Jimmy Page che segnò una sorta di ritorno alle origini per la band inglese. È stata una tua scelta o qualcuno ti ha suggerito proprio quella canzone?

Lo scelta io. Da tempo volevo registrare un pezzo dei Led Zeppelin, perché sono da sempre una delle mie band preferite, ma non volevo cadere nell’errore di scegliere un pezzo troppo conosciuto o ovvio.

Ascoltando il pezzo, sembra quasi sia tu sia stato intimorito dalla prestazione vocale di Robert Plant piuttosto che dalle partiture di Jimmy Page; è infatti l’unico brano dell’album, tra quelli cantati ovviamente, che non canti tu…

Forse è vero… Potrebbe essere una motivazione inconscia, ma è anche vero che volevo fortissimamente che Doug Henthorn cantasse sul mio disco: adoro la sua voce.

'Asking Around For You' con l’arrangiamento per orchestra mi ha ricordato l’immortale versione di ‘At Last’ ad opera di Etta James; come è nata quella canzone?

È una canzone che si è sviluppata nel tempo; in origine era solo per chitarra e voce. L’arrangiamento e le conseguenti parti orchestrali sono nate in studio rendendola così una delle canzoni maggiormente prodotte sull’album.

Il tuo nuovo album si apre con una versione infuocata di ‘High Water Everywhere’ di Charley Patton, un bluesman del Mississippi. L’intera comunità blues è rimasta letteralmente scioccata da ciò che accaduto in New Orleans; come musicista, ma anche come americano, come ti sei sentito dopo il passaggio dell’uragano Katrina?

Sono rimasto profondamente colpito come americano e bluesman per quello che è accaduto a New Orleans. Ho molti amici che vivono lì e ho suonato tante volte a New Orleans. È un evento che influenzerà l’intera comunità blues per molti anni a seguire.

Pensi che la musica sia ancora un veicolo per promuovere i grandi cambiamenti nel mondo?

La mia musica non ha un contenuto né politico né sociale, è solo un modo per esprimere messo e per parlare del mondo che mi circonda. Penso quindi che sia per lo più musica d’ intrattenimento.

Per finire che cosa è il blues per Joe Bonamassa?

Domanda difficile: credo che sia la mia vita!

Jacopo Meille

Joe Bonamassa italian tour

18 marzo 2007 – Sonar - Colle Val D’Elsa (SI)
19 marzo 2007 – Stazione della Birra – Roma
20 marzo 2007 - Fillmore – Cortemaggiore (RE)
21 marzo – Transilvania - Milano

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