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Pubblichiamo una riflessione/recensione del chitarrista Daniele Bazzani, fresco della pubblicazione dell'album Gina – Segreto (Il Popolo del Blues/Materiali Sonori), relativa al concerto di Louisiana Red la notte dell'ultimo dell'anno 2008 al Big Mama di Roma. Bazzani non scrive nella veste di giornalista ma in quella del musicista che, per oltre cinque ore, ha condiviso il palco con il mitico bluesman dell'Alabama.


Louisiana Red & Blue Machine @ Big Mama, Roma

I due concerti che ho suonato con Louisiana Red al Big Mama di Roma, soprattutto il secondo in occasione di Capodanno, 5 ore e un quarto di Blues, mi hanno fatto riflettere, e insegnato molto.

So di essere un bianco italiano nato alla fine dei sessanta, e non un nero del Mississippi di inizio '900, sono stato in quella terra ed ho conosciuto più di un musicista di Blues, non è la mia prima volta. Ma entrare nel camerino del locale e trovare lui che mi saluta "Hey Dan!", seduto davanti a una stufetta, senza scarpe e con l'iPod che gli manda la musica che ascolta da sempre, mi ha fatto un certo effetto. Perché lui, quella musica, non la ascolta. Lui "è" quello che suona. Ha la dignità nello stare seduto da solo che solo un nero del sud può avere. Il suo iPod ha dentro tutta musica Blues, quella sua e dei suoi amici. E lui ti dice, con aria candida, che da una settimana ascolta solo Albert King e Robert Lockwood Jr. e sta imparando un sacco di cose e che vuole suonarle questa sera. E che vuole anche imparare a suonare jazz.
"Sono arrivato vestito come un barbone, ma salirò sul palco vestito come un Principe!", e mi mostra con orgoglio la giacca bianca che indosserà stasera sui vestiti neri. Sto imparando adesso più di quanto non abbia fatto in anni di esercizi sullo strumento. Ha comprato un nuovo overdrive e non smette di parlarne, sembra un bambino.

Ho un groppo in gola. È nato nel 1932 in Alabama, sua madre è morta dopo una settimana, il padre l'ha ucciso il Ku-Klux-Klan. A lui hanno rotto entrambi i polsi da bambino e la sua prima moglie è morta di cancro negli anni '70. E lui studia ancora e suona tutto il tempo. Io mangio e respiro, per vivere, lui suona. Allora suoniamo, se è questo che vuoi.

Mi mostra una ritmica dicendo "Stasera vorrei che mi accompagnassi così quando suono questo pezzo" e io gli vado dietro con la Strato spenta come la sua, smette di accompagnare ed inizia un assolo: "Earl Hooker avrebbe suonato così, Albert King invece in questo modo". Poi suono io, e lui, che ha suonato con tutti (e quando dico tutti intendo "tutti") mi chiede di insegnargli come faccio il vibrato. E cerca di copiare il movimento della mia mano sulla corda "Interesting, you shake the whole hand". Lui che ha conosciuto Muddy Waters nello studio di Leonard Chess a Chicago, vuole imparare da me.


Cerco di non piangere. Ci ha dormito, nella stanza accanto a quella di Muddy.

Gli mostro una ritmica che ho rubato da un disco di Jimmy Reed, e lui mi dice "Jimmy dormiva spesso da me". Fanculo. Cosa posso dire o fare di più? Non mi viene altro, Red è talmente gentile che sembra un vecchio zio che non vedi da tempo. È lì che suona da chissà quanto, e non ha nessuna intenzione di smettere, non lo farà per altre 5 ore e un quarto almeno, abbiamo suonato fino alle 4 e mezzo di mattina.

Quelli come lui non ci sono quasi più, "they're all gone" mi dice, parlando di Carey Bell "un fratello", Muddy Waters, Little Walter, tutti. E capisco che non potrò mai essere come lui, il Blues è la musica che amo più di ogni altra, ma io ascolto lui e i suoi amici, non il contrario. Rientro in camerino poco prima di suonare e mi dice "I'm trying your vibrato thing".

E capisco. Che posso fare solo una cosa. Tutti noi musicisti possiamo fare solo una cosa. Essere noi stessi, qualunque cosa accada, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia. È come andare ad una festa e cercare di dire la battuta più divertente, o mettere il vestito più elegante. Possiamo solo "cercare" di farlo. Perchè alla nostra battuta ci sarà sempre qualcuno che non riderà, o a cui non piacerà il nostro vestito. Ma una cosa possiamo farla per essere accettati di sicuro, dire la verità. E questo nessuno potrà mai togliercelo, neanche qualche fottuto razzista dell'Alabama. Non suonare licks a memoria senza comprenderne il senso, ma mettere insieme le parole e fare un discorso, con le parole ci mettiamo una vita ad imparare, con le note una vita non è detto che basti. E allora cerchiamo il senso della lingua, impariamo la grammatica e la pronuncia, perché così potremo provare a parlare.

E ora sono sul palco con Louisiana Red, lui canta due strofe come solo uno con la sua vita alle spalle può fare, poi si gira verso di me e mi fa un cenno con la mano chiudendo gli occhi e chinando la testa come a dire:
"Và, figliolo. Racconta la tua, di storia. Ti ascolto".

Daniele Bazzani

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