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Adam Green - Minor Love
(Rough Trade)
www.adamgreen.net

Esuberante e straboccante di talento Adam Green è un grattacapo per ciò che resta della asfittica industria musicale. Dove lo metti pare fuori posto mentre fuori posto sono solo quelli che cercano di inscatolare le sue capacità in una formula piuttosto che in un’altra.
Prendete il nuovo album, il sesto di una rapida carriera iniziata nel 2002, Minor Love: sprizza energia e l’ex Moldy Peaches non può che compiacersene. Bene, già l’autoreferenza sembrerebbe di norma fuori luogo; levategli però quella e vi resterà un’ artista come molti. La cifra di Green è lo stupore, l’effetto, il colpo basso da consumato crooner, la botta di teatro. Tutto questo può essere sicuramente spiegato attraverso la sua storia personale, una split personality che riflette le consequenzialità del suo albero genealogico: geni, talenti, incroci con altre celebri famiglie del jet set mondiale, ceppi che lasciano radici nel mondo e che hanno riversato su Adam un indelebile segno. Costretto in qualche modo a fare meglio, Green ha quindi, a sua volta, quasi per divendersi, messo in musica tutto se stesso. Dotato di una voce tenorile che sa pescare in basso e di una timbrica distinguibile (grande pregio per la programmazione radiofonica) Minor Love conferma lo stato di grazia del 29enne di Kisko, NY. Realizzato con il gusto retrò del cantautore pop anni sessanta al limite dello sbando, il disco parte benissimo con una triade - Breaking Locks, Give Them A Token, Buddy Bradley - che non lascia dubbi sulla qualità del lavoro. Arrangiamenti mai scontati e che si sforzano di comunicare qualcosa di diverso, Adam Green appartiene a quel ristretto numero di artisti - il primo che viene in mente è Ben Folds, un altro è Ben Kweller, altro ancora il pianista canadese Gonzales - che non prolifereranno mai in un mercato in cui è la modestia e la mediocrità a fare la parte del leone. Green, come i nomi su citati, ha bisogno di condividere le sue follie pop con un pubblico folle almeno quanto lui. Stadium Soul e la successiva Sigarette Burns Forever, apice della raccolta, rimandano al Leonard Cohen ma non potete distogliervi un attimo che Adam, da lì a poche canzoni, riporterà alla mente l’ultima frangia pop dell’estate senza fine, Harry Nillssonn, Steve Noonan ma anche i Walker Brothers, Skip Spence ( Don‘t Call me Uncle ). Tutto frullato dall’estetica un po’ sciattona (Oh Schucks) del genietto della porta accanto che sentite a notte fonda far troppo casino. Perdonatelo.


Ernesto de Pascale

1. Breaking Locks
2. Give Them A Token
3. Buddy Bradley
4. Goblin
5. Bathing Birds
6. What Makes Him Act So Bad
7. Stadium Soul
8. Cigarette Burns Forever
9. Boss Inside
10. Castles And Tassels
11. Oh Shucks
12. Don’t Call Me Uncle
13. Lockout
14. You Blacken My Stay

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