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Emanuele Trevi - I cani del nulla
Stile Libero Einaudi, 2003
pp.153, euro 8,50.



Confesso di essere un lettore appassionato degli articoli di Emanuele Trevi: è uno dei pochi critici letterari italiani rimasti a lottare in questi anni contro le tentazioni della massificazione più becera e contro le ondate del marketing più ottuso che di continuo insidiano la vitalità della ricerche narrative contemporanee. Sulle pagine del “Manifesto” – in particolare scrivendo su Alias, il supplemento culturale del sabato – Trevi sta edificando pezzo dopo pezzo, sotto i nostri occhi di lettori appassionati, una mappatura delle esperienze di scrittura oggi più dense di significato. Per raccontarci la sostanza di un libro usa una rete di riferimenti puntuali – contesto storico e biografia dell’autore possono servire - ma lega sempre ogni interpretazione ad una sua intuizione squisitamente personale, un lampo scoccato nella mente durante la lettura, con il risultato di offrire recensioni che sono al medesimo tempo sonde pratiche immerse nelle pagine dell’oggetto studiato ma anche frammenti di specchio che riflettono un dettaglio mentale di Trevi stesso.
Costruito come somma di materiali differenti – diario realistico, finzioni narrative, confessioni private, trasfigurate digressioni letterarie - padroneggiati da un io narrante protagonista assoluto, I cani del nulla testimonia la straordinaria libertà di scrittura del suo autore. Qui non è la riflessione critica a stagliarsi in primo piano, questo non è un libro di recensioni. Trevi sceglie una strada più coraggiosa, mescola i generi letterari e produce un testo ibrido, frantumato, sospeso tra romanzo e saggistica, finendo così per rendere visibili alcune ossessioni che riposano celate dentro il suo laboratorio critico: la disciplina della scrittura indirizzata a cogliere un nucleo di luminosità e di grazia che dal campo chiuso dell’opera d’arte possano irradiarsi con profitto dentro l’esistenza materiale delle persone; la tensione non facile tra la vertiginosa moltiplicazione delle informazioni nel circuito di massa – spessore simbolico monumentale che la somma delle immagini produce in noi – e la nostra esperienza vitale impoverita dal troppo vedere e troppo sentire; l’utopia di un resoconto che possa salvare almeno una scintilla di sincerità dentro le indispensabili architetture fittizie di cui ci serviamo per tenere insieme giorno dopo giorno le nostre identità minacciate.
Mi pare molto appropriata la straordinaria foto di copertina che ritrae la cagna Gina – figura centrale, insieme a Gabriele D’Annunzio, dell’intero libro – mentre riflette perduta nei propri pensieri.

Stefano Loria


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