. Rocco Papaleo The Place Premio Gaber

PEOPLE AND PLACES

Il posto giusto (the Place) per Rocco Papaleo


Ogni lunedì sera, teatri chiusi, ristoranti idem e in genere a Roma serata fiacca c'è qualcuno che, apparentemente controcorrente, decide di buttarsi tra le braccia di quelli che non guardano tanto al calendario quando si può vedere un artista il quale finalmente fa ciò che ognuno sul piano personale dovrebbe fare per star bene: star bene. Tra quelli che conosco l'unico capace di fare la cosa più naturale (mettersi in gioco ovviamente,altrimenti è difficile sentirsi in pace o almeno tranquilli) si chiama Rocco Papaleo, attore e scrittore sia in teatro che nella canzone d'autore. Prova ne sia l'affermazione,di cui parleremo, di Rocco al Premio Gaber di questa estate. La canzone è sempre stata una sorella discreta e importante nella sua storia che per tanti passa dai molti film cui ha partecipato,non ultimo il nuovo Pieraccioni con cui rinnova la collaborazione che parte dall'esordio del regista nel 1995. Tutti i lunedi,dicevo,Rocco Papaleo si esibisce con il suo repertorio ed una band in un locale che nel corso di poche stagioni si è guadagnato un posto importante nel panorama musicale italiano dei club: The Place in via Alberico II a Roma. Qui ho incontrato Rocco e abbiamo parlato di diverse cose,nonostante il traffico di persone intorno a noi. Se c'è una cosa bella nell'esibirsi stabilmente in un locale è proprio quella familiarità con la gente che solo il contatto diretto ti può dare e noi non ci siamo fatti mancare nulla: ci hanno interrotto tutti quelli che potevano farlo...ma! non ci siamo deconcentrati neanche un momento e ci siamo detti una serie di cose...



D. Caro Rocco,per tanti che vengono a vederti qui questa è una versione "nuova" di quello che tutti conoscono come attore. Una bella sera lo ritrovano impelagato nella canzone d'autore e non sanno neanche loro come mai...certo che se vengono a vederti vuol dire che qualcosa se la aspettano. E tu? Cosa ti aspetti da questi tuoi concerti come bandleader?

R. “Guarda che io ho cominciato con la musica e proprio lei mi ha portato poi a fare questo lavoro diciamo di fantasista. Ci sono stati periodi in cui questo è avvenuto meno ma la chitarra mi è sempre stata vicina,insomma la musica io la vedo come la prima cosa per me. Col passare del tempo e degli eventi tutto si è un pò mischiato e non c'è più un confine netto tra la musica il teatro e il cinema ma anche la televisione e le feste di laurea”.

D. Sono venuto a vedere il tuo spettacolo e lo ho trovato molto teatrale, sei sul palco un cantautore che però propone anche la parte di attore che conosciamo. La Basilicata, da cui provieni, è al centro della tua performance solo come luogo della mente o è qualcosa d'altro, che ti permette di parlare anche di temi sociopolitici oltre che di te?

R. “La Basilicata per me ha una doppia valenza,sentimental-romantica perché è la mia terra e mi ha dato la molla dell’orgoglio proprio per questo suo essere fuori dalle principali vie di comunicazione e quindi “periferica” tra le regioni italiane. Ancor di più,devo dire che ho una grande attrattiva per le minoranze,di qualsiasi tipo o quasi. L’altra valenza è diciamo più acida, caustica e consiste nel detestare determinati aspetti sociopolitici tipici del sud. Ancor di più la Basilicata, per il suo isolamento, fatica a liberarsi di una certa cappa…”

D. Va detto però che in Basilicata non si parla di crimine organizzato.

R. “Magari c’è la criminalità disorganizzata e questo forse la rende un po’ più simpatica…ti racconto un ricordo del mio paese,il delinquente del posto era uno dei miei migliori amici,siamo cresciuti insieme ed era uno zingarello. Da tanti anni c’è una grossa comunità di zingari al mio paese che col tempo si è integrata con annessi e connessi ovviamente, tra cui Cocola,il mio amico che ha sempre fatto furtarelli e tutti lo conoscono. Ogni tanto qualcuno gli dà qualcosa,alla fine un bravo ragazzo ma ladro per spavalderia, la gente lo sa e lascia correre”.

D. Mi pare di capire che proprio per il suo isolamento la tua regione non riceve danni, neanche benefici però, da quello che tanti chiamano progresso.

R. “In un certo senso è così,è una regione all’antica eppure ormai contaminata dagli anni ’80,dalla televisione che ha preso in mano i comportamenti e le decisioni di molti,ci sono delle “depravazioni culturali” ma rimane un luogo da dove lanciare un sano sguardo provinciale che spero di aver conservato nel mio modo di vedere le cose. Come quando in provincia si passano quelle serate a bere e chiacchierare sproloquiando del mondo fuori”.

D. Dallo spettacolo questo viene fuori bene ma ora parliamo di musica. Siete una band di cinque elementi che sono oltre a te Giovanni Di Cosimo alla tromba , Santi Pulvirenti alla chitarra, Pino Pecorelli al contrabbasso e Puccio Panettieri alla batteria. Ti muovi nell’ambito della canzone d’autore e fai venir fuori il tuo artigianato d’attore anche nei monologhi dove sei piuttosto graffiante come dicevamo.In parole povere: da dove vieni e dove vai?

R. “Come dicevi, la mia dimensione è la canzone d’autore. Uso le strutture tipiche di chi ha qualcosa da raccontare come, non vorrei sembrare presuntuoso, un poeta che scrive versi con una certa metrica e poi li mette insieme a qualche accordo musicale con la chitarra li fa diventare delle canzoni, letterariamente forse poesie inferiori ma che cantate trovano la loro dimensione, si emancipano un po’. Questa è la partenza, poi ascoltando e bazzicando qui e là ho formato un mio gruppo che però ultimamente viene sempre più contaminato ed ispirato dalla musica di strada. Ti faccio vedere una foto che mi piace (raffigura quattro musicisti benvestiti che si stanno esibendo en plein air n.d.r.) e che ha una sua nota estetica perché suonano in strada quindi con strumenti acustici ma il loro vestito denota una provenienza “colta” nel senso che poi sono musicisti preparati, che hanno studiato e sanno leggere la musica. La mia idea è questa qui, che si faccia musica di strada, quindi col suo minimalismo da musicisti bravi e preparati. Voglio mettere insieme la semplicità nell’esposizione ma anche il virtuosismo dei singoli nell’esecuzione”.

D. Il tuo esibirti in un locale con cadenza settimanale significa che ora vuoi proporti come cantante e scrittore di canzoni “full time” o cosa?

R. “Diciamo due cose: la prima è che la mia energia creativa è molto incanalata in questa zona, quella del teatro-canzone, poi mi piace prestare il mio involucro per raccontare cose scritte da altri e allora faccio l’attore in tutte le sue forme. Siccome il teatro-canzone non è mai decollato per quel che mi riguarda ed io invece ci credo molto, sto cercando di farlo conoscere di più,anche vincendo premi importanti seppur di nicchia come il Premio Gaber la scorsa estate. Esibirmi col gruppo mi interessa molto,banalmente mi fa stare bene e cerco di farlo diventare una cosa che costituisca un’economia in modo che abbia senso farla. Non puoi fermare dei musicisti,provare con loro se la cosa non ha un riscontro economico. Ho bisogno quindi che questa cosa diventi un po’ più conosciuta perché possa muovere del lavoro per tutti. Poi suonando spesso si migliora sempre di più e via discorrendo. Il fatto di suonare qui ogni lunedì serve proprio a divulgare il mio teatro-canzone e ad affinare sempre di più la proposta. Esibendoci ogni settimana abbiamo la possibilità di provare nuove cose e proporle senza aspettare troppo. Piuttosto che passare dei mesi a scrivere mi è sembrato più interessante stringere i tempi della verifica col pubblico. Stasera per esempio provo delle cose nuove. Può andare bene o meno, anche per questo ho preferito il lunedì. E’ come una controra, non sono tutti in giro e se proprio va male non fai troppi danni”. (il locale è sempre abbastanza popolato anche alla “controra” va detto n.d.r.) .

D. E se funziona, come pare, hai intenzione di portare lo spettacolo in giro?

R. “Mi piacerebbe farlo nei teatri e potersi rodare suonando con regolarità in un posto ci permette di essere pronti”.

D. Parliamo del Premio Gaber…

R. “Ma guarda, io ho fatto una bellissima figura (ha vinto n.d.r.) ma ho sempre un po’ di perplessità nelle cose in cui si vince. Non è come in una gara di atleti dove il giudizio è oggettivo, in queste “gare” invece sei sottoposto a giudizi soggettivi e forse lascia il tempo che trova. Questo vale per tutti i premi o i festival, certo è meglio vincere per carità, però è sempre una cosa alla quale guardo con un minimo di distacco. La cosa positiva,hanno detto, è che un attore conosciuto come me si è prestato in tutta umiltà a vestire panni non suoi, a partecipare poi a un concorso con molti sconosciuti…io in realtà non lo sapevo che fosse un concorso perché la persona che mi trova le serate mi aveva iscritto e io non avevo neanche capito bene che si trattava di una cosa dove c’era una selezione. Pensavo fosse una cosa in cui si partecipava in una serata, né si vinceva né si perdeva e questo mi ha fatto fare una bella figura che non merito…”.

D. Non essere così ingiusto con te stesso, anzi il premio contribuisce a lanciarti in questa veste. In tanti ti hanno notato.

R. “Tutti i giornali ne hanno parlato, tutti mi hanno telefonato per farmi i complimenti e alla fine, se avevo bisogno di conferme me le ha date. Era appunto quello che cercavo”.

D. E il cinema?

R. “Il nuovo film di Pieraccioni e un altro che uscirà solo in Francia per la televisione il prossimo anno”.


D. Cosa ne pensi delle polemiche e dello sciopero legati al drastico taglio dei fondi per lo spettacolo?

R. “Ho partecipato alla giornata di protesta e a molti degli incontri successivi in cui ho visto un certo fermento. Mi è sembrato salutare questo momento di consapevolezza nella categoria perché questo taglio, che ovviamente contesto a spada tratta, ha creato un altro tipo di indotto oltre a quello problematico del fatto che si stenta ancora di più, una forza duplice tra chi lavora nell’intrattenimento, un momento di aggregazione e capire che siamo tutti nella stessa barca…certo non le star che si sono fatte vedere solo all’inizio o per niente tranne Massimo Ghini che è serio e c’è sempre anche se poi è criticato. E poi ci obbliga tutti a guardarci dentro: i periodi più creativi sono sempre segnati da avvenimenti negativi, da guerre, da catastrofi e per me questo governo è un po’ una guerra, una catastrofe per la cultura. E’ il momento che tutti si rimbocchino le maniche e diano il loro meglio. Suono ogni lunedì anche per questo, penso che sia il momento di tirar fuori tutto. Dovremo ringraziare Berlusconi per averci aiutato a produrre opere migliori…”.


Alessandro Mannozzi


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