The Great Alisdair Roberts bounce back with a bright and shine record

Dopo la sua collezione di tragiche ballate sul viaggio come metafora della morte, torna lo scozzese Alisdair Roberts, con “The Amber Gathers”, terzo disco di una carriera solista nata sulla scia del suo primo gruppo, Appendix Six.
“The Amber Gathers“ a differenza del precedente “No Earthly Man“, album che la riviste Mojo e Sunday Times votarono come secondo miglior disco del 2005, è un album solare, dai toni primaverili, osiamo, e dai passaggi pastorali che hanno un so che di Pop e riportano alle atmosfere più elettroacustiche di certo Paul Weller
Resta intatto però il tono stretto scozzese e quella incertezza vocale che rende Alisdair Roberts unico e che in “Where Twines the Path” accende il sole tra le nuvole.
Più di ogni altra cosa c’è da sottolineare come Roberts mostri per la prima volta una faccia nuova della sua attitudine verso il folk e la tradizione; una visione più popolare, meno introversa, meno arcana - che comunque l’artista si è sempre sforzato di adattare alla contemporaneità - per una leggera quasi infantile come in “The Cruel War“.
La presenza al basso di Gerard Love di Teenage Fun Club - band di cui vogliamo ricordare due album essenziali prima del Brit Pop inglese
“Bandwagonesque” e “Thirteen” - favorisce un certo suono e induce Roberts a melodie meno angolari e più fruibili. Il tutto nel nome di una acusticità vibrante (“River Rhine“), di una rara pace armonica e di un profondo rispetto del passato (“i have a charm“ pare uscita da un disco dei Pentangle.
Una menzione a parte per “The Old man of the Shell“ che potrebbe essere stata scritta cinquecento anni fa o fra altrettanti. Mentre tutte le undici canzoni di “the Amber Gatherers” escono dalla fortunata penna di Roberts che conferma una vena prolifica e di altissima qualità.

Ernesto de Pascale