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Dustin O’Halloran
teatro Rasi, Ravenna dec 22nd 2006

All alone at the piano, and in conversation with himself, Dustin O’Halloran is still looking for his perfect alter ego

Ultimo di una lunga serie di artisti di vario tipo con le mani prurigginose pur di misurarsi in un set di piano solo, Dustin O’Hallaran è assurto ai doveri della cronaca per alcuni suoi “Opus” che la regista Sophia Coppola ha scelto per la colonna sonora del film Maria Antonietta. E’ stato così che il trentenne losangelino, con alle spalle una piccola ma gloriosa carriera con la indie band The Devics, si è ritrovato a vestire gli abiti del concertista. Abiti scomodi, deve aver pensato lui così impacciato, non ancora perfettamente a suo agio con le invenzioni a due voci, con una tecnica limitata se pur già ben organica e con uno stile in fase di maturazione, ma, si sarà detto, why not se ciò è quel che sto suonando ? .
E intanto che l’etichetta Bella Union è corsa a pubblicare in soli 24 mesi ben due cd di piano solo del nostro, l’esibizione presso il Teatro Rasi di Ravenna, sbandierata come “ultima data in Europa prima del ritorno a casa”, e che doveva presentare un po’ “ il meglio di Dustin O’Halloran ”, si è risolta in ben altro.
Ciò a cui abbiamo assistito è stata un performance di circa cinquanta minuti garbata ma con alcune vistose pecche, non tanto musicali - Dustin non è Satie, né Glass, né Sakamoto, né tantomeno i romantici a cui anelerebbe ispirarsi - quanto per un anticlimax che sarebbe funzionato meglio in un club un po’ chic di Hollywood ( pensiamo a Largo su Fairfax avenue, lì dove Brad Mehldau registrò il coraggiosissimo album dallo stesso nome sotto gli occhi attenti di Jon Brion ) ma non nel teatro ravennate dove la timidezza e l’introversione di Halloran non lo hanno aiutato a stabilire un bel rapporto con un pubblico che già lo conosceva ma che magari si attendeva - dopo il successo del film - chissà quali effetti pirotecnici e quali peripezie sui tasti.
Dustin è invece intimo, delicato e con un suono compiuto ma tropo simile a se stesso : evita sistematicamente il blues, lo swing e tutto quel che di americano un pianista come lui potrebbe recuperare, cercando melodie lievemente ipnotiche, ma mai troppo circolari, e/o ripetendo figure di arpeggi che a volte sanno di esercizio.
Si intuisce quindi il talento di O’Halloran e se ne ravvede un futuro, specialmente se lo si pensa come tastierista e membro di una formazione che vive e cresce nel caos losangelino.
Di certo un fidanzamento fra la Via emilia e il West ha giovato al giovane Dustin !. Chissà se adesso, lungo questo percorso non solo della mente ma anche fisico, l’americano non incontri i fantasmi di qualche grande pianista nostrano che corrobori la melodia che lui cerca con l’estro che ancora gli manca.

Ernesto de Pascale

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