. Sanremo 2007
Fuori l'autore
(Aspettando Sanremo)

Scorrendo le classifiche di vendita dell’ultimo periodo si può notare che molti artisti nostrani propongono dischi dedicati al passato.
La Pausini e Baglioni riprendono grandi successi di dieci, venti, trenta e più anni fa, Fiorello riscopre Lelio Luttazzi, Celentano sfodera una raccolta di tre cd contenente la summa della sua carriera e, come novità, incide l’hit degli anni ‘60 “Diana” con Paul Anka, mentre De Gregori fa altrettanto aggiungendo “Diamante”, da lui scritta nell’89 insieme a Zucchero, Vergnaghi e Saggese.
Pur trattandosi solo di canzonette, come direbbe Bennato, è giusto ricordarle, tanto più che fra di esse ci sono davvero brani indimenticabili che hanno contribuito a fare la storia della nostra musica leggera.
Sorge tuttavia un dubbio: e se questa grande voglia di omaggiare il passato venisse anche dall’impossibilità di mettere insieme un buon disco con nuove canzoni?
Guardandoci intorno, infatti, si ha l’impressione che nel nostro paese siano rimasti in pochi a saper scrivere melodie che abbiano un senso e che riescano ad entrare nella testa e nell’immaginario del pubblico, resistendo al tempo.
Si badi bene: per melodie non si intendono quelle che imperversavano nel periodo dei vecchi scarponi, degli usignoli o dei binari “fredde parallele della vita”: quel tipo di approccio era forse consono al gusto radiofonico dell’epoca ma poteva essere deleterio per chi avesse voluto affinare il proprio gusto in materia di musica leggera.
Per comodità prendiamo invece come esempio il periodo dei primi cantautori, i vari Bindi, Paoli, Tenco, Endrigo, Modugno aggiungendo anche, se ci si vuole divertire, Vianello e Gaetano (sono solo esempi, dato che i nomi importanti sarebbero davvero tanti), che ci abituarono a testi e melodie che si potevano canticchiare senza sentirsi ridicoli, fino ad arrivare a Battisti, probabilmente il più grande se consideriamo l’alto numero di belle canzoni scritte in proporzione alla sua produzione totale.
E’ chiaro che non si sta parlando di canzone d’autore, che vive in ambito e dimensione diversa e più colta, bensì di canzone tout court, da gustare e da consumare senza un particolare impegno, rispettando però i parametri del buon gusto e dell’intelligenza.
La cosa da notare è che i cantautori non impedirono agli autori di esistere e, anzi, fu una bella lotta a chi scriveva i pezzi migliori dal momento che sull’altro versante c’era gente del calibro di C.A.Rossi, Giampiero Reverberi, Pino Massara, Maurizio Fabrizio (uno dei pochi ancora sulla breccia con ottimi risultati), anche qui per citare i primi che vengono in mente.
Non si tratta di fare della nostalgia a buon mercato ma piuttosto di porsi la domanda: oggi ci sono ancora gli autori?
Facciamo una veloce verifica prendendo come riferimento il Festival di Sanremo, la manifestazione che nelle intenzioni si propone come la più importante a sostegno della musica italiana: se esaminiamo i risultati dell’ultimo decennio sorgono molti dubbi sulla sopravvivenza della specie degli autori, che meriterebbe di essere protetta e invece sembra sia stata confinata in una riserva appartata dove solo qualche volonteroso cacciatore in cerca di emozioni osa spingersi.
E’ vero che qualche autore più temerario degli altri a volte chiede udienza all’artista di successo o al suo produttore per far ascoltare le sue opere ma, ci dicono, le probabilità di far incidere un nuovo brano diventano sempre più esigue.
Tornando agli ultimi Sanremo, ogni volta il responsabile di turno ha assicurato che “la qualità delle canzoni è altissima e si è scelto il meglio della produzione” ma poi, alla prova dei fatti, se per essere buoni si salvano una decina di brani (in dieci anni!) la depressione regna sovrana e sfidiamo anche l’appassionato più accanito a ricordare il resto.
Forse è anche un po’ colpa degli artisti che spesso, pur non avendone i numeri, preferiscono scriversi personalmente i brani da interpretare, o dei produttori che non hanno fiuto, oppure dei discografici che hanno in mente soprattutto il marketing e la radiofonicità, due concetti questi che hanno causato più che altro danni a scapito della dote essenziale che una canzone dovrebbe avere: la possibilità di essere cantata e ricordata.
O forse (e il dubbio viene) davvero si è persa la capacità di scrivere melodie capaci di risvegliare la fantasia e l’immaginazione di chi ascolta.
Pippo Baudo, direttore artistico del prossimo festival, è all’opera per rilanciare alla grande la manifestazione.
Conoscendo la sua innegabile esperienza e la sua grande professionalità non c’è dubbio che ci offrirà il meglio attualmente disponibile ma per avere una probabilità in più che la canzone italiana possa risollevarsi e vincere la sfida ci auguriamo che Baudo, oltre a privilegiare le case discografiche grandi e piccole vagliando i prodotti finiti o in via di realizzazione, riservi parte delle sue attenzioni anche alla ricerca di vere canzoni scritte da veri autori.
Se ancora ce ne sono.

Rinaldo Prandoni

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