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COB - Mayshe McStiff and the Tartan lancers of the Sacred Heart
(Radioactive)
www.radioactiverecords.com



Most welcomed reissue of one of the masterpiece of British Acid Folk from 1972

Rappresentato da una copertina di Paul Whitehead ( Genesis, VDGG ) il secondo ed ultimo album dei COB ( 1972 ), trio guidato da Clive Palmer fondatore della Incredible String band al ritorno da un suo viaggio in India, sarebbe rimasto nel cassetto fino ad oggi se il produttore originario, il benemerito cantautore Ralph McTell non si fosse mosso per riportare alla luce uno dei capolavori inalterati del folk britannico dei primi settanta. Rimasto nel cassetto fino ad oggi e decantato per la sua purezza e per il sapore medio orientale che sprigiona, “ Mayshe Mc Stiff…” è un gran disco ancora oggi e meritava l’ esosa cifra di cinquecento sterline - prezzo medio per una copia originale in buono stato su etichetta Polydor – valutazione standard sul mercato del disco raro.
Palmer e i suoi soci Mick Bennett e Little John Bidwell dovevano essere dei veri fricchettoni all’epoca: si erano riuniti in un paio di roulotte abbandonate nelle campagne della Cornovaglia e passavano le giornate suonando e cantando e facendosi le canne ( no doubt about it! ) mentre la sera sbancavano il lunario presso il locale Folk Cottage. Palmer per i più giovani Bennett e Bidwell era un santone, un artista di riferimento e a buona ragione, ma Palmer, dalla sua, era veramente naivè e poco incline a mischiarsi con il mondo esterno. Fu Jo Lustig, manager di Ralph McTell che negoziando con la CBs un contratto per un album, “ Spirit of love” , intravide in loro il potenziale che McTell cercò di accentuare in un disco che non andò molto lontano. Nonostante ciò Lustig nel 1972 approdò alla Polydor e tornò dai tre con la buona notizia di un budget per un altro disco.
“Moyshee McStiff” fu un salto nel vuoto ma anche un salto nella sfera più alta della creatività dei tre che trattarono temi come il vecchio testamento, Haile Selassie, la tradizione, il medio oriente. I due giovani musicisti, cresciuti tecnicamente e nello spirito dettero moltissimo al disco. ”Martha & Mary”, un brano sull’amore come trascendenza, è il brano più intenso della raccolta e il più riflessivo, i cui toni piaceranno a quelli che hanno apprezzato Alasdair Roberts ; più in generale il disco vive su un rigore che in questo genere è davvero tutto. All’ascolto di questo disco si possono tirare con pertinenza metri di paragone con l’operazione di crossover compiuta dai Fairport Convention e/ o sulla nascita degli Steeleye Span e riflettere sull’intricante universo del folk inglese. Davvero bello, da ascoltare a notte fonda per entrare dentro l’incastro fra la strumentazione e la tecnica vocale così apparentemente arcaica.
Ernesto de Pascale


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