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Hal - Hal
(rought trade)
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Convincing debut from three talented Irishmen turned Californian in eleven satisfying original songs.

Che il mondo sia un villaggio globale lo dice, ahimè!, anche la miglior musica pop. Se una volta un artista inglese si azzardava ad assomigliare ad un americano poteva rischiare la gogna (pensate a Ian Matthews con i suoi Southern Comfort nei tardi sessanta) e l’idea di precisa appartenenza e originalità legata a un territorio di provenienza dava un valore aggiunto alla musica. Oggi è tutto uno scambio a doppia corsia che se da una parte confonde le idee, dall’altra esalta la competizione sul piano della scrittura musicale, un piano che pare ogni giorno che passa essere giunto alla soglia dell’esaurimento.
Ecco giungere Hal (nessuna relazione con il computer dei kubrickiana memoria) che invece tornano a far sperare, con le loro armonie e le melodie al loro posto, in una tessitura professionale. Incredibile che abbiano inciso solo un disco. Prima di comporre il loro album d’esordio, due fratelli David e Paul Allen e Stephen O’Brien hanno saccheggiato la collezione di lps dei propri genitori. Emuli di Jimmy Webb, del Brian Wilson di “Smile”, degli migliori America ma anche fratelli dei bravi Beachwood Sparks e dei più intensi Mystic Chords of Memory, la strada ad Hal è stata sicuramente aperta da The Thrills, altri irlandesi capaci di decantare le bellezze musicali della west coast.

Negli anni settanta l’Italia ebbe un gruppo che suonava una musica non dissimile da quella ascoltata nel cd di Hal: era un trio, si chiamava Pueblo e non ebbe vita facile. Claudio Bizzarri, uno dei nostri migliori chitarristi sulla scena si trovò a fare il turnista al san Remo 1982 con il vincitore Riccardo Fogli, mentre il principale compositore del gruppo dopo alcuni album solisti ( per l’etichetta milanese di Franco Ratti (il boss della più importante società di distribuzione indipendente della penisola, IRD) Appaloosa, tornò alla vita del pubblicitario. In quello stesso periodo a fare i californiani, in ordine sparso,ci provarono anche : Checco Loy & Massimo Altomare (con l’album “Chiaro“), Claudio Dentes, Giovanni Unterberger, Alan Sorrenti (il più personale, senza dubbio!), Bobby Solo (che registrò con Sneaky pete Kleinow alla pedal steel guitar), i Fratelli la Bionda (ex accompagnatori di Bruno Lauzi che chiamarono addirittura con Nicky Hopkins al piano in “Ogni volta che tu te ne vai“), Ricky Gianco (che al suo fianco volle Chris Darrow, Sneaky Pete e Skip Battin dei Byrds in “ Questa casa non la mollerò “, versione italiana di “Six Days on the road “. Gli Stormy Six di Franco Fabbri e poi il fuori uscito Claudio Rocchi fecero degli esperimenti in direzione ovest. Quest’ultimo, poi, decise di incidere “Vado in India “ e qualcuno, al suo ritorno, nei novanta, si è poi chiesto, perché non ci sia rimasto. Anche Eugenio Finardi, eclettico italo americano a Milano, fiutò aria di California Sunshine. I Ricchi e Poveri aprivano i loro concerti con “Suite: Judy Blue eyes“. L’onda west coast in Italia – diciamola tutta, schiettamente - non attaccò. Prima arrivarono gli autoriduttori, poi i Punk. Per fare i californiani - gli splendidi californiani degli anni settanta - quelli del “che me frega!”, in Italia mancavano già i soldi allora, i posti di lavoro, la gente era molto incazzata ( molto più di adesso ) e, per di più, le droghe non avevano tutto quella “motivazione “ edonistica che rendeva la costa ovest il sogno che tutti avrebbero voluto vivere sulla propria pelle. Tirava insomma, una ariaccia. Come andrebbe oggi in Italia un gruppo come Hal?...

Facciamola breve, torniamo agli irlandesi. Sono bravi e dalla copertina del disco non direste certo che siano dei sognatori quanto poi la musica vi darà a intendere. Ci sono grandi canzoni qui come “My Eyes are Sore “, che pare uscita da “Pet Sounds“ dei Beach Boys e la cui orchestrazione rimanda davvero a Van dyke Parks.

Al mondo esistono altri gruppi con caratteristiche simili ad Hal, pensate ai Wondermints senza i quali Brian Wilson non avrebbe mai rimesso mano a “Smile “ o agli accompagnatori abituali di Arthur Lee dei Love. Bravissimi musicisti che conoscono i repertori, e i segreti di essi, tematicamente e per singolo artista. Cloni? Non direi.
In quest’album di Hal c’è, comunque, un notevole sforzo compositivo e di ciò agli irlandesi si deve rendere merito. Chissà che percorso faranno ! C’è solo da attendere e restare piacevolmente sorpresi.

Ernesto de Pascale

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