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Bruce Springsteen - We Shall Overcome: The Seeger Sessions

Bruce Springsteen - We Shall Overcome: The Seeger Sessions
(Columbia Records/Sony BMG)
www.brucespringsteen.net

“La  verità si avanza!”, “His Truth Is Marching On!”.  Così recita il ritornello della canzone “The Battle Hymn Of The Republic”, una variante della ballata di John  Brown (la conoscete tutti no? Glory, glory Halleluja), composta a Washington nel 1861 dalla poetessa Julia Ward Howe. E la verità avanzò con forza, con impeto, sempre a Washington, cento anni dopo, il 25 agosto del 1963. Quel giorno il reverendo Martin Luther King, insieme a 200.000 manifestanti, sfidò la polizia marciando verso la casa bianca. Quel giorno King pronunciò il celebre discorso che comincia con le parole “I have a dream”, “Io ho un sogno”. Quel giorno John Kennedy e Lindon Johnson furono costretti a riceverlo e a impegnarsi sul fronte dei diritti civili. Quel giorno con lui c’erano Joan Baez, Bob Dylan, Odetta, Peter Paul & Mary, cioè la generazione del folk revival. L’inno di quella giornata memorabile fu “We Shall Overcome”, “Noi vinceremo”, un vecchio inno battista trasformato in canto di lotta sindacale e raccolto dal musicologo Pete Seeger alla fine degli anni Quaranta. Per una strana ironia della sorte la melodia di “We Shall Overcome” è anche imparentata con un inno russo in onore dello Zar. Ma queste trasformazioni sono tipiche della musica di tradizione. Anche la nostra “Bella Ciao”, canto dei partigiani e delle mondine nelle sue diverse varianti,  ha le sue radici in alcuni canti della Grande Guerra e in alcune filastrocche padane della fine dell’Ottocento. Ma torniamo a “We Shall Overcome”: l’inno dei pacifisti degli anni Sessanta è tornato prepotentemente alla ribalta grazie all’omonimo ultimo disco di Bruce Springsteen. Il CD, che ha per sottotitolo “The Seeger Sessions”, è un appassionato, semplice e diretto omaggio alla grande tradizione della ballata americana e soprattutto al suo padre nobile, l’ultra ottuagenario Pete Seeger. Il grande, vecchio, saggio Pete Seeger,  il compagno di strada di Woody Guthrie e Cisco Houston, lo studioso che ha riportato alla luce l’immenso patrimonio del folklore anglo-americano, il virtuoso di banjo, l’animatore del festival di Newport, l’artista “comunista” inquisito durante il maccartismo, l’indomabile difensore dei diritti civili, il padrino e l’ispiratore di Joan Baez e Bob Dylan. Un disco volutamente sporco, immediato, un po’ caotico, registrato in soli tre giorni, che restituisce intatta l’atmosfera di una session tra amici, di una serata musicale improvvisata. Un disco sanguigno e robusto: il banjo, il violino, la fisarmonica, il contrabbasso, la washboard (l’asse per lavare i panni) della E Street Band, un gruppo di musicisti conosciuti ad una festa, accompagnano la voce e la chitarra del boss in questa bella avventura. Le canzoni scelte dallo sterminato repertorio di Seeger offrono un ricco spaccato della storia americana, di una certa America, quella dei poveri, dei diseredati, dei malfattori. Ecco allora la ballata del bandito Jesse James che però, come avviene spesso nell’epica popolare, si trasforma in eroe e in padre di famiglia. Ecco la ballata di John Henry, l’operaio delle ferrovie che, armato di piccone, sfida in una gara mortale le perforatrici meccaniche, e muore in questo romantica lotta contro il progresso, contro la macchina dell’industria che uccide e spersonalizza l’uomo.  E ancora la ballata dei navigatori del canale Erie (conosciamo ogni pollice del cammino da Albany a Buffalo) o i testi della Bibbia rielaborati negli spiritual come “The Jacob Ladder”, la dolce malinconia di “Shenandoha”. In “We Shall Overcome” Bruce sembra volere fare il verso a Bob Dylan, con un organo Hammond che si insinua tra la chitarra e la fisarmonica con suggestioni alla “Like A Rolling Stone”. Ma anche questo è normale, la tradizione è per sua natura rinnovamento continuo, eterna trasformazione, la tradizione ti permette di contemplare ed apprezzare contemporaneamente sia le radici che le foglie dell’albero.
Un amico mi suggerisce con malizia che non è tutto oro quel che riluce, forse c’è dell’altro dietro al CD di Springsteen. Stanno scadendo, dopo cinquanta anni, i diritti fonografici delle incisioni di Pete Seeger e forse il grande vecchio vorrebbe rinegoziare le sue royalties con i giganti dell’industria discografica. Il disco del boss potrebbe servire da traino a tutta l’operazione. Chi sa, forse sarà vero, ma a me interessa un altro aspetto della faccenda. Spesso i puristi gridano allo scandalo di fronte alle rivisitazioni: che bisogno c’è di ricantare queste ballate quando esistono da decenni le smaglianti interpretazioni di Pete Seeger? C’è bisogno, e come, perché la fama e il carisma del boss possono far conoscere questo tesoro musicale alle nuove generazioni, possono, come dicevo prima, far avanzare la verità. La stessa operazione l’ha compiuta qualche anno fa Jim McGuinn dei Byrds, ma non aveva dietro le spalle un colosso come la Columbia. In fondo qualcosa di simile hanno fatto da noi Francesco De Gregori e Giovanna Marini: chi avrebbe mai pensato di vedere i ragazzini cresciuti nei distratti e commerciali anni Novanta, impazzire per canzoni come “Donna Lombarda” o “Sento il fischio del vapore”?  Registro con piacere il successo di vendite, anche in Italia, del disco del Boss e penso che forse un po’ di verità può far scricchiolare quel cumulo di idiozie, di playlist, di Paole e Chiare, di pizzi e lustrini sanremesi che dobbiamo sopportare quotidianamente quando accendiamo la radio. Insomma un po’ di discografici ignoranti, di DJ asserviti ai loro padroni, di dirigenti radiofonici senza fantasia dormiranno sonni meno tranquilli dopo il successo di questo disco? Lo spero tanto.
La verità che si avanza è la verità della semplicità. Il folk revival iniziò nei primi anni Sessanta e il primo grande successo commerciale fu la ballata di Tom Dooley cantata dal Kingston Trio. Poi arrivarono Joan Baez, Bob Dylan, Judy Collins e tutta la generazione che affollava le Coffee Houses del Greenwich Village, con Tom Paxton, Dave Van Ronk, Fred Neil, David Blue, Phil Ochs, Richard e Mimi Farina… una lista infinita di grandi artisti. Poi ci fu la svolta elettrica, arrivarono i Byrds, Joni Mitchell, Crosby Stills Nash & Young e l’eredità di Woody Guthrie approdò sul palco di Woodstock, con il figlio Arlo. La musica folk rappresentava una vera e propria rivoluzione ecologica nel panorama musicale. Si tornava alla tradizione e quindi alla grande madre natura: non ci sarebbe stato il movimento hippy se non fosse stato accompagnato dalle ballate tradizionali. E poi per la prima volta un artista poteva avere successo armato solo della sua voce e della sua chitarra o del suo banjo. Non c’era più bisogno di produzioni miliardarie, di eserciti di arrangiatori e orchestrali, bastava avere della belle idee e una voce interessante. La musica folk fu anche il terreno sul quale artisti bianchi e neri si confrontavano senza barriere e pregiudizi razziali: sul palco di Woodstock salirono alla pari la pallida Joan Baez e il nero e sanguigno Richie Havens.
Oggi molti artisti di quegli anni stanno rialzando le vecchie bandiere dell’impegno sociale e civile: Springsteen, Joan Baez, ma anche John Fogerty, si sono spesi con coraggio contro Bush, contro la guerra.
Anche da noi c’è chi, negli ultimi anni, ha ripreso le vecchie bandiere. A Roma, grazie agli sforzi di Alessandro Portelli e di tanti amici disinteressati, è rinato il Circolo Gianni Bosio, da sempre crocevia di culture, di musiche, di storie vecchie e nuove. Tra l’altro Portelli, docente di letteratura anglo-americana, è il massimo conoscitore in Italia dell’America di Woody Guthrie e Pete Seeger. Ma non dimentichiamo che anche noi abbiamo avuto i nostri Pete Seeger: si chiamavano Gianni Bosio, Ernesto De Martino, Franco Coggiola, Michele Straniero e le loro ricerche, i loro archivi sono un prezioso giacimento della memoria da preservare e tramandare alle nuove generazioni. E anche noi abbiamo i nostri Bob Dylan, le nostre Joan Baez. Volete un po’ di nomi? Giovanna l’ho già citata, ma ci sono ancora Fausto Amodei, Gualtiero Bertelli, Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea, Sara Modigliani, Lucilla Galeazzi, Piero Brega, Ambrogio Sparagna, Ascanio Celestini… potrei continuare a lungo. Però non li ho visti sul palco del Concertone del Primo Maggio. Come mai? Ho seguito un po’ di quella kermesse alla Tv: a me è sembrata una specie di Sanremo del buonismo giovanilista, una passerella del “folklore usa e getta”. Esagero? Non saprei. Magari ne parliamo alla prossima occasione.

Stefano Pogelli 

Track list
1. Old Dan Tucker
2. Jessie James
3. Mrs. McGrath
4. Oh, Mary, Don't You Weep
5. John Henry
6. Erie Canal
7. Jacob's Ladder
8. My Oklahoma Home
9. Eyes On The Prize
10. Shenandoah
11. Pay Me My Money Down
12. We Shall Overcome
13. Froggie Went A-Courtin'
14. Buffalo Gals (Bonus Track)
15. How Can I Keep From Singing (Bonus Track)

Il concerto di Bologna 1.10.2006

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