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Cully Festival 2008

Bonne musique, ambiance et un cadre idyllique: le festival jazz di Cully – canton Vaud, Suisse – a tous qu’il faut pour plaire à un auditoire imprégné de multiculturalisme: Jazz, Funk, Gospel, musique ethnique se mélangent sans effort. La programmation Blues souffre parfois de la période – fin mars – de calme pour les tournées, mais cette année l’affiche de Cully était particulièrement alléchante: Pura Fè et Mighty Mo’ Rogers, deux artistes, et deux destins, très différents. Avant d’entrer sous le chapiteau, le rituel incontournable de Cully s’impose: saucisson et crêpes mangées pied dans l’eau en regardant les montagnes tandis que la nuit tombe sur le lac. Pas loin d’ici, le poète anglais Byron retrouva sa meilleure inspiration.

Il festival di Cully, 20 chilometri a est di Losanna e non lontano da Montreux, apre la danza dei festival estivi in Svizzera. In un ambiente da cartolina anni cinquanta con dentro il lago Lemano, le Alpi, e l’immancabile ferrovia, si accendono i fari su stelle del Jazz, del Funk e spesso anche del Blues. Roba fina: Pee Wee Ellis, Fred Wesley, Rhonda Smith, Medeski, Martin e Wood, Archie Sheep, Ahmad Jamal sono artisti che da soli valgono il prezzo del biglietto, senza dimenticare una promessa-scommessa, Hollie Smith cantante maori che incide per la Blue Note. Non sempre invece, per via del periodo poco propizio alle tournée, questo festival ha saputo offrire una programmazione Blues all’altezza degl’altri generi. Quest’anno l’offerta era intrigante : Pura Fè e Mighty Mo’ Rogers, raramente si sarebbe potuto accoppiare musicisti tanto diversi tra loro, l’una consensuale, l’altro controverso. In effetti entrambi hanno confermato le loro attitudini. Accompagnata dal fido Danny Godinez, Pura Fè ha ribadito tutto il bene che già si dice di lei. Sempre ispirata alla chitarra, usa una doppio manico acustica che suona, quasi sempre in slide, orizzontalmente su un supporto. Tesse con la voce melodie capaci di conquistare qualsiasi pubblico: melodie vagamente indiane, riff accattivanti e pezzi bluesati creano un mélange di sicuro impatto, dietro il quale si sente l’emozione dell’artista, la sua veracità. Leggermente prolisso lo stacco in solitario di Godinez, che talvolta riesce benissimo, tal altra rischia di stuccare. Mighty Mo’ Rogers, nato per dividere la critica, ormai fa lo stesso effetto sul pubblico, che in generale è ben predisposto ma sente d’istinto i cambi d’ispirazione. In verità, Mighty Mo’ sembra non avere niente di mitico: i suoi testi raccontano storie fritte e rifritte – Bush, Katrina e un omaggio a Chicago. Cantando il sociale attraverso la musica nera, o viceversa, molti hanno fatto assai meglio. Il suo Blues è banale, quasi scolastico, e non riesce ad accendere gl’animi. Ma senza esser impietosi, vien da dire che, da solo al piano, questo artista avrebbe una sua ragion d’essere, mentre l’aggravio di una band anch’essa banale lo affossa senza scampo. Bisogna tener conto del fatto che Mighty Mo’ é all’origine soprattutto un compositore, come performer non ha un grande curriculum. Questo potrebbe spiegare perchè sembri più convincente su disco, soprattutto la sua opera prima « Blues is my wailin’ wall ».

Luca Lupoli

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