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Dave Alvin-Ash Grove
(Yep Roc Rec/IRD)
www.yeproc.com



Ash Grove era il nome di uno dei più celebri club di Los Angeles negli anni sessanta, uno di quei posti intorno a cui è facile si crei una scena di novità, di curiosità, di giovani che cercano qualche cosa di differente e di originale, di talenti e di semplici appassionati di buona musica. E’ dentro e fuori le mura del locale del Sunset Strip che muove i primi passi Dave Alvin che conosciamo e amiamo come parte degli storici Blaster e come solista affermato, autore, chitarrista, cantante e rocker legato profondamente alle sue radivi di musica folk e blues statunitense. E a quel luogo, a quei tempi Dave dedica il più recente album “Ash Grove“ un disco caratterizzato da un feeling costante che l’artista ha maturato grazie alla complicità con Greg Leisz, produttore ma suo compagno d’avventura per anni, maestro di plettri, accompagnatore di molti, artista in grado di spingersi lontano. I due, pur senza firmare un vero e proprio “concept album”, fanno in modo che il mood non sfugga di mano da un brano all’altro e radicano andamento, melodie e suoni a una idea. Ecco allora un paio di perle come “nine volt heart” e “sinful daughter” o come la stessa canzone che dà il titolo all’album. Non ci sono strappi nè scossoni e l’album è una delizia per chi ama certo rock dai suoni antichi e semplici che qui si mischia a un certo gusto dell’improvvisazione strumentale quasi a ricordarci che Ash Grove era la patria delle band psichedeliche dei gloriosi sixties. In “Ash Grove “Dave Alvin ci ricorda anche che il locale di Ed Pearl era però anche la patria dei folk singers di protesta o men e che dette i natali californiani a tanti nomi, da Barry McGuire a Judy Collins, da Taj Mahal ai Byrds. Ecco allora che il disco si tinge di colori pacati con ballate davvero belle che sembrano brani popolari da quanto sono ben torniti e scritti (“The man in the bad”, la sognante conclusiva “ somewhere in time”) per cui bisogna scomodare termini di paragone con artisti quali Tom Rush o Gordon Lightfoot.
Grande disco, niente di nuovo ma davvero bello, soddisfacente, 52 minuti dove tutto gira e non si butta via niente, con una forte componente cinematica, buona ispirazione per visioni e sogni, dove le composizioni calzano a pennello al concetto generale. Un disco da cui si dovrebbe trarre insegnamento per più di un motivo.

Ernesto de Pascale



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