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Beastie Boys – To the 5 Boroughs
(Capitol/EMI)



Si erano perse le tracce dei Beastie Boys. A sei anni di distanza da Hello Nasty, album che fu salutato da molti come prova di altissimo livello, i tre MC di New York tornano un po’ in sordina e con un disco dalla gestazione travagliata. Di certo il periodo che inframmezza i due album non è stato facile, aperto dal fallimento del Tibetan Freedom Concert, megaconcerto annuale in favore delle popolazioni tibetane naufragato dopo tre anni, e continuato poi da quello analogo dell’ etichetta Grand Royal, finita all’asta su Ebay per appena 10.000 dollari. Due eventi che hanno ridotto la visibilità della band, convincendola a rinchiudersi in un mutismo inusuale e prolungato, rotto soltanto nel 2003 da un deludente brano di protesta (In a World Gone Mad) contro la guerra in Iraq. Insomma, abbastanza per lasciar scatenare le malelingue, subito pronte ad accantonare il progetto Beastie Boys come irrilevante e datato. Fortunatamente le cose non stanno proprio così.
Da sempre un anello storto della catena rap, e per questo mai veramente accettati dai puristi, i Beastie Boys del 2004 si presentano in forma più essenziale del solito. To the 5 Boroughs non riesce a mantenere alto il livello di sorpresa ed eccitazione che aveva caratterizzato ogni suo predecessore, ma in fondo chi mai avrebbe creduto, ai tempi della finta goliardia di Licensed to Ill, che questi ragazzacci sarebbero maturati così bene? Viene da pensarlo istintivamente, durante l’ascolto del tono serio e appassionato di An Open Letter to New York, che introduce un lato poco noto del gruppo e riporta alle loro origini punk grazie ad un campionamento tratto da Sonic Reducer dei Dead Boys, ma altrove va segnalata un’attenzione diffusa nel mantenere fresca l’attitudine sonora, con il funk digitale di We Got The e The Brouhaha (senza dubbio il pezzo migliore di tutto l’album) che indicano un orecchio ancora proteso ad ascoltare i suoni dell’hip hop contemporaneo. Più in generale, laddove dischi come Hello Nasty e Paul’s Boutique si ponevano come caleidoscopi in grado di partire dalla battuta hip hop per decostruirla lungo soul, rock & roll e funk, To the 5 Boroughs si assesta come disco hip hop a tutti gli effetti, scarnificando i magnifici orpelli (ovvero le tonnellate di campionamenti) che i tre hanno disseminato in precedenza. E’ forse questo il punto debole dell’LP, la volontà di farlo suonare come un disco di hip hop puro, cosa che in fondo i Beasties non hanno mai fatto in quanto non certo noti per essere dei grandi rapper, sia a livello tecnico che di scrittura. Lo confermano i testi, non certo eccezionali: qualche calcetto a Bush e alla politica americana, qualche dichiarazione d’amore ad una New York ferita ma ancora forte ed innumerevoli riferimenti alla cultura pop, con la consueta predilezione verso la TV. Non si parli però di fallimento, bensì di un “aggiustamento” necessario per mantenere una credibilità artistica, e forse proprio il disco che doveva uscire adesso dall’officina Beastie Boys.

Bernardo Cioci




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