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Blue Rose Records Speciale


La Blue Rose Records, in Italia distribuita dalla SELF, da tempo ormai si è ritagliata un ruolo importante nel panorama roots e alternative-country, vuoi per importanti produzioni come quelle per Steve Wynn, vuoi per una certa attenzione ad interessanti realtà che spesso navigano nel sommerso. Questo speciale apre uno spaccato sull’attività di questa etichetta, ma soprattutto su alcuni dei suoi artisti più interessanti.

Reto Burrell
Roses Fade Blue



Molto vicino in passato alle sonorità di Tom Petty, Reto Burrell, con Roses Fade Blue, tenta la carta dell’album acustico, riuscendo a fondere il lirismo strumentale ad ottimi testi con risultati sorprendenti. Infatti se all’apparenza questo disco appare come vestito da toni malinconici, con l’ascolto si scopre che gran parte dei testi contengono una vena di ottimismo che arriva lentamente a pervadere ogni brano, illuminandoli di una luce particolare. Ad accompagnare Reto c’è un ottima band composta da musicisti di tutto rispetto come Rob Viso alla batteria, John Gentry Tennison al piano, Charlie Zimmerman all’acustica, l’ottima Stefania Verità al violoncello e Angelo Bosso alle congas. Otto degli undici brani sono a firma di Reto, i restanti brani sono cover, tra cui spicca in modo una irriconoscibile versione di Summertime di Gershwin, rivestita di toni country davvero particolari. Tra i brani che colpiscono in modo particolare vanno sicuramente segnalate, la ballata pianistica Time Can Heal, la splendida title track e un ottimo blues dal titolo Forever Is A Long Time, che chiaramente trae ispirazione dalla più celebre Tomorrow Is A Long Time di Bob Dylan.

Red Star Belgrade
The Real Traitors



Guidati da un ex-critico musicale e animatore della scena indie di Chapell Hill, North Carolina, tale Bill Curry, i Red Star Belgrade sono una delle ultime e più forti testimonianze del corrosivo suono elettrico dell'alternative-country o meglio di quel country-punk provinciale di cui gli Uncle Tupelo furono maestri. Questo loro quinto episodio discografico ce li mostra in tutta la loro irruenza sonora, infatti tra scorribande di feedback ad alta intensità e liriche taglienti si scoprono brani di ottima fattura come la la title-track, Bouncing Back e Can't Carry You. Rimane tuttavia ben visibile anche la loro tendenza al country-rock più puro che si estrinseca con grande classe in episodi come Home, Song for Ed o ancora The Oldest Woman in France con la pedal steel di Louis Levinson in grande evidenza a tessere un ottimo tappeto sonoro. Alla fine del disco però, si ha la percezione di come la band di Curry e soci non abbia cambiato una virgola della storia del rock, tuttavia va apprezzata la loro presa di posizione politica che con questo disco si manifesta con grande forza.


Julian Dawson
Bedroom Suite


Julian Dawson, classe 1954, con Bedroom Suite, tenta di dipingere il suo capolavoro, per certi versi sembra riuscirci per altri invece corre il rischio di venire facilmente archiviato nella pletora di dischi che affolla il mercato. Ad accompagnare Julian, che oltre a cantare suona anche le chitarre e la batteria, troviamo le figlie Clancy e Holly (con cui duetta in Dreams Like Train), Daniel Tashian al basso, di Jean-Amrie Peschiutta alla slide guitar, infine di John Bundrick alle tastiere. Va sicuramente apprezzato il suo eclettismo che lo ha portato a crearsi uno stile particolarissimo in cui pop, folk e jazz vanno a braccetto con melodie old style, tuttavia ciò che non quadra è discontinuità sia di stili, sia di temi. Infatti se le prime otto tracce compongono una sorta di concept album che racconta le storie relative alla quotidianità di una coppia, le restanti tre tracce (Fast Cars & Rented Beds è una dedica a Gram Parsons; Lord Loves A Rolling Stone è una cover di Spooner Oldham mentre Why Do I Do It è a firma di Cyril Ornandel) più la splendida ghost song (Waiting For A Plane di Jimmie Rodgers), compongono un mini-tributo al country americano. Quanto alle composizioni più interessanti si segnalano il rock di After The Party, la lounge molto sofisticata di Dreams Like Trains, il pop di One By One By One e della Beatlesiana We Don't Need A Priest. Insomma pur esser essendo un bel quadro d’autore, l’eccesso di colori e di toni troppo diversi lo fa sparire troppo lentamente in un’atmosfera troppo costruita a tavolino.

Terry Lee Hale
Celebration What For


La tenue melodia della splendida Take Away, introduce Celebration What For, il nuovo lavoro discografico del cantautore texano Terry Lee Hale, un disco sostanzialmente velato da toni acustici con lievi toni etno-jazzy che svelano tutto l’amore dell’autore per la ricerca e la rielaborazione dei suoni. Registrato quasi tutto a Zagabria, presso i Rocco & Partners Studio, Celebration What For raccoglie attorno a Terry Lee Hale ottimi musicisti autoctoni dai nomi impronunciabili che però forniscono ottime prove esecutive che si aggiungono all’ottimo songwriting del texano. Quello che colpisce è proprio la sua capacità compositiva che si svela canzone dopo canzone in tutta la sua originalità. Tuttavia ad un attento ascolto si ci ritrova a percorrere in parte i gli stessi sentieri tracciati da Bruce Cockburn di Breakfast In New Orleans Dinner In Timbuktu, innegabile però è la bellezza di alcune composizioni come le spoken ballas The Wish e Main Thing che con i loro suoni acustici ricreano le atmosfere dei confini texani.

Ad Vanderveen
Late bloomer

Da tempo tra gli outsiders del alt-country internazionale, Ad Venderveen, è uno dei più interessanti esponenti della fervida scena musicale olandese. Ad nel corso degl’anni è riuscito a proporre un songwriter di tutto rispetto come dimostra l’ultimo disco di inediti The Moment That Matters ma soprattutto è riuscito ad attirare le simpatie di alcuni artisti famosi come Eliza Gilkyson, David Olney e Astrid Young. Questa recente pubblicazione dal titolo, Late Bloomer, è un antologia che raccoglie il meglio della sua produzione da Continuing Stories al già citato The Moment That Matter che lo scorso anno segnò anche l'esordio per la Blue Rose. Durante l’ascolto si incontrano ballate folk dai toni malinconici ma anche vigorosi brani elettrici degni dei Crazy Horse, che mostrano chiaramente come Ad abbia attinto tanto alla fonte di Van Morrison quanto a quella di Neil Young. Pur non essendo un esempio di originalità, Late Bloomer, è un ottima fotografia dello stile del suo autore sorretta da ottime composizioni.


Salvatore Esposito




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