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ANTEPRIMA
Stephen Stills - Man Alive
(Talking Elephant)
www.talkingelephant.co.uk



Time stands still for good ol’ Steve!

No! il tempo sembra non essere passato per il caro vecchio Steve al punto che questo nuovo album, “Man Alive “, talmente tanto atteso che Stills ci aveva fatto dimenticare la data di pubblicazione, potrebbe essere stato inciso anche 25 anni fa.
“Man Alive“ è il miglior disco di Stills dai tempi di “Illegal Stills“. Nel panorama attuale suona fresco, contemporaneo, frizzante, al confronto di certi suoi capolavori solisti – se riascoltati – invece sfigura. Mancano i grandissimi pezzi di una volta (e chi li scrive più?…) e l’effetto vent’anni. In comprenso – e questa è una grande buona nuova per Il Popolo del Blues – è un gran bel disco di Blues con qualche variazione altrove.
Non c’è tempo però oggi per preoccuparsi di queste cose e conta solo attendere la tournée italiana per capire quale Stills abbiamo ascoltato su disco: se l’istrionico autore, l’artista super sensibile di talento o l’ubriacone che mi invitò a un giro di sette Martini in due la mattina alle 12 all’aereoporto di Fiumicino nel luglio 1980.
Così con l’inconfondibile voce cartavetrata Stephen passa attraverso blues, grooves latini, ballate strappacuore e si porta con sé quell’indolenza che in CSN & Y faceva la differenza.
I brani migliori sono quelli dove il blues esce prepotentemente (“Ol’man Trouble” di Booker T. Jones) o fa solo capolino (“i don’t get") e l’eclettico “Spanish Suite “ registrata di certo nella prima metà dei settanta (il percussionista Willie Bobo è morto nel 1977…) che fa un po’ pensare che tanta carne al fuoco che ascoltiamo in “Man Alive “ sia solo materiale di antica provenienza. Neil Young è il valore aggiunto all’intera raccolta con due contributi importanti: il tradizionale “Different man “, molto roots nel suo incedere circolare e “Around us” una vero brano in cui i due si guardano negli occhi e tirano fuori il meglio di se stessi.
Tutto il resto è letteratura intorno a questo “Man Alive“. Confermiamo che l’uomo sia vivo e il resto si spera poterlo raccontare tra poco, dopo gli show. Con il grande Mike Finnigan all’hammond in gran spolvero (suona in “Electric Ladyland” di Jimi Hendrix, ecco la connection…), Russ Kunkel dietro ai tamburi, Joe Vitale, i sudisti George Terry, George Perry, Joe Lala e Gerald Johnson a fare da contorno e a rinverdire vecchie esperienze, l’album scorre comunque bene e vive meglio senza paragoni. Che lascerebbero inoltre il tempo che trovano.

Ernesto de Pascale

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