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Ocean Colour Scene – Anthology
(Universal)
www.oceancolourscene.com



Partiamo dai fatti: gli Ocean Colour Scene non hanno mai goduto di troppo rispetto critico, ma nel breve periodo della febbre britpop ebbero il privilegio di scalare le classifiche inglesi. L’album Moseley Shoals, fra i più venduti del 1996, arrivò infatti sulla scia del successo di Noel Gallagher con i suoi Oasis e di Paul Weller, entrambi grandi estimatori della band proveniente dalle English Midlands. Proprio Weller aveva fatto loro da inconsapevole filantropo accogliendo il chitarrista Steve Cradock nella formazione che di lì a poco avrebbe registrato il lodatissimo Wild Wood. Tutti i soldi che Cradock avrebbe guadagnato dall’album e dal relativo tour sarebbero poi serviti a mantenere in vita la sua band originaria, ferma ai box dopo il fiasco dell’insipido debutto Ocean Colour Scene, del 1992, rovinato dalla mancanza di pezzi trascinanti come da una produzione troppo levigata, incapace di assecondare il loro lato più avventuroso. In realtà di vere avventure gli OCS non ne inseguiranno mai, preferendo soffermarsi su un rock di stampo nettamente tradizional-britannico, con gli Small Faces a fare da numi tutelari sopra una pletora di influenze che comprende anche Beatles, Who, Animals e Jam, in pratica la crema di tutto il rock inglese. La stampa denominò quasi immediatamente questo stile col nome di “dadrock”, il rock di papà, indicandone con un certo sarcasmo la totale mancanza di originalità. Questa antologia, ordinata cronologicamente e confezionata con molta cura, arriva quindi nei negozi con la band ancora attiva nel circuito di concerti britannico, e ha il compito di coprirne l’intera carriera mediante due cd e un dvd. Un lavoro senz’altro accurato, che lascia emergere lati negativi come quelli positivi, dalla goffa imitazione beatlesiana di The Day We Caught the Train (con un’introduzione identica a quella di I Am The Walrus) al rythm’n’blues di You’ve Got It Bad e The Riverboat Song, non a caso i due singoli che li portarono alla fama nazionale. Mai più che buoni imitatori, gli Ocean Colour Scene hanno senza dubbio disseminato sulla loro strada pezzi di valore, Hundred Mile High City e Travellers Tune hanno un robusta verve anni ’70 che riporta agli Zeppelin di Physical Graffiti, mentre Falling to The Floor è un grande stomper che fa subito pensare ai tanti club mod sparsi nel nord dell’inghilterra. Poi c’è il dvd, che contiene filmati live buoni ma non rivelatori, tratti dal periodo in cui gli OCS riempivano teatri e palazzetti, una manciata di video e un’intervista: tutto molto curato, anche se non è niente che sia veramente sensazionale. Se poi si aggiunghe che i pezzi tratti dal primissimo periodo, da One of These Days a Yesterday Today, sono soltanto sbiadite copie dei primi Stone Roses (senza però possedere la loro attitudine melodica), e che quasi tutti quelli successivi al 1997 ripiegano stancamente verso un suono pop molto convenzionale e radiofonico (stesso destino toccato agli Oasis, non a caso…), rimane da consigliarne l’acquisto soltanto ai fan stretti o ai completisti di tutto ciò che riguarda la musica inglese.

Bernardo Cioci

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