. Bobby Purify & Irma Thomas

Bobby Purify & Irma Thomas
Porretta (Bo) Sweet soul Music, 21.07.06

Solita atmosfera festosa a Porretta per la diciannovesima edizione di Sweet Soul Music. Stesse facce di sempre per un festival che intreccia la buona Soul Music a molte relazioni pubbliche degli organizzatori con enti locali e sponsor. Tuto bene però fin quando sul palco si vedono facce come Wayne Jackson, il grande trombettista dei Memphis Horns, oppure come gli attesissimi Neville Brothers da New Orleans. Da qualche anno a Porretta Sweet Soul Music diventa importante il programma educativo che viene organizzato con il Museo della Stax di Memphis e le molte suole che partecipano a stage, seminari e esibizioni sul palco principale in apertura di ogni serata.
Per questa edizione occhi puntati su Bobby Purify, un nome - ci dice l’organizzatore Graziano Ulani - istigato dalla recensione del suo album di ritorno dopo molti anni, apparsa su Il Popolo del Blues.
Il suo show, iniziato bene da “I’m your Puppet”, il branche Dan Penn scrisse per i due fratelli Purify nel 1966, è proseguito senza grandi strappi né curiosità con il cantante nero non vedente sorretto da una formazione fin troppo pesante che ogni tanto premeva forte rischiando la grossolanità. Dal canto suo Bobby ci è parso rilassato e con una buona confidenza verso il pubblico. Niente di più però per chi si aspettava altro.
Irma Thomas ha ricalcato pedissequamente lo show visto la sera del 10 luglio scorso a Montreux anche se l’atmosfera di Porretta e il suo caldissimo pubblico ha fatto la differenza. Scott Billington, presidente della Rounder records che si aggira da anni nel backsatge de festival della cittadina termale, può andare fiero di Irma anche se il suo ultimo album la ha vista solo confermare le sue doti con un repertorio di maniera che il concerto rispecchia fedelmente. Meglio Sweet Soul Music che Montreux Jazz Festival comunque per la cantante di New Orleans che si è elegantemente astenuta da commenti su Katrina e sulla politica americana.
Bellissima, ancora meglio del 2004, la formazione che ha accompagnato Howard Tate. Con Tate suona, praticamente, il meglio del Blues e della scena club di san Francisco, (Austin de Lone all’organo, Tim Wagar al basso, Paul Rivelli alla batteria) per un artista che non riesce a trovare una propria peace of mind e il cui nuovo album sarà realizzato a Los Angeles con JackShit (Pete Thomas e Dave Faraghar degli Imposters di Elvis Costello) diretti da Austin de Lone.
Pubblico in festa e tutti a casa con i sorrisi e abbracci.
L’atmosfera giusta per un festival da cui ci si aspetta qualcosa di speciale per la ventesima edizione (Al Green, l’unica mia giunto fino a qui, il ritrono di dan Pen & Spooner Oldham, la reunion della Muscle Shoals rythm section sperando che l’organista Barry Beckett si riprenda da un recente infarto, la grandissima Candi Staton…) e che deve solo un po’ rifuggire dall’atmosfera – che alla lunga potrebbe risolversi dannosa – che celebra e reitera sempre e solo gli stessi nomi, su e giù dal palco.

Ernesto de Pascale

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