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Pubblichiamo la recensione dell'esordio del tour italiano dell'estate 2009 dei Gong (Sarroch, Caglian, 4 luglio) 

Prossime tappe Zafferana Etnea-Catania 31 luglio, Trieste 1 agosto

Gong
live in Italy!

Antonio Rombi

Sembrano provenire da un altro pianeta. Arrivati sulla terra a bordo delle loro teiere volanti. Forse sì, sono un po’ extraterrestri, perché i Gong visti a Sarroch, non danno proprio l’impressione di essere una band di artisti che ha superato abbondantemente gli ‘anta’. L’attesa del loro arrivo sul palco della cittadina a 22 chilometri da Cagliari, è accompagnata da un interminabile sottofondo con i brani più belli della loro lunga carriera. Poi, per coincidenza o perché è tutto voluto, appena spunta sul cielo la luna piena, nella magica cornice del parco di una villa settecentesca pian piano sfuma la musica e un improvviso rullare di batteria anticipa un progressivo abbassamento delle luci di scena. Poi, di colpo, tra sbuffi di fumo e i lampi dei fari colorati, appaiono loro. Silenziosi, come alieni arrivati sul pianeta. Miquette Giraudy voce e sinth, Steve Hillage chitarra e voce, Dave Sturt al basso, Chris Taylor batteria e voce, Teo Travis, sax e flauti (questi ultimi tre recentissimi acquisti della famiglia Gong). Al crescere della musica compare lei, Gilli Smith.

Ma il colpo di scena non poteva mancare con la sua entrata, quella di Daevid Allen. Emerge all’improvviso, circondato da una coltre di fumo, avvolto da un mantello scintillante di lamé e un lungo capellone a cono.  Dà tanto l’immagine di un personaggio uscito da chissà quali storie dei folletti delle foreste di Sherwood. Meglio ancora un antico parente del Mago Merlino. Sui ritmi e le note di Escape control delete inizia la lunga performance (organizzata dall’associazione Vox Day di Serenella Massacci e Davide Catinari all’interno del festival ‘Sarroch Summer Groove’), tra gesti scenici, soprattutto di Allen, mago indiscusso e intrattenitore della platea. Ma quando lo show va avanti, dopo due celebri brani tratti dall’album Camembert electrique, Cant’t kill me e Tick Tock dynamite, pian piano l’atmosfera comincia a riscaldarsi sempre più, con le tipiche atmosfere create da quella musica degli anni Settanta con quel mix d’avanguardia tra progressive, jazz, melodie orientaleggianti e mantriche ed elettronica raffinata che i Gong hanno portato in giro per il mondo. Certo, a vederlo così non si direbbe che Daevid Allen sia un over settantenne incallito. Ha tanta di quella energia da vendere e capacità di stupire ancora sia con la voce che con i suoi glissando con la chitarra. Poi arriva il turno di Digital girl e la scena è tutta per una delle due ‘Lady Gong’, Gilli Smith con il suoi Yoni poems Pixies, tratto da Angel’s Egg, secondo album della trilogia Planet Gong. Ascoltando la facilità con cui ancora questa gentile signora riesce a modulare la voce e deliziare il pubblico con i suoi sussurri spaziali non sembra vera la sua data di nascita. Come pure quella di Miquette Giraudy. Però si sa, alle donne non bisogna mai chiedere l’età, è un atto di cortesia, cortesia che loro hanno ricambiato mostrando la verve dei migliori anni. Quelli di quando nel 1974, in un mitico concerto a Londra, assieme ai suoi compagni di viaggi interplanetari del pianeta Gong, erano l’espressione massima della loro musica. E che dire di Steve Hillage, in quegli anni era una delle icone dei freaks, dei famosi capelloni nostrani. Barba incolta e capelli lunghi e disordinati. Ora si presenta al pubblico con un look diverso. Capelli cortissimi, occhialini e un po’ di pancetta. Un tranquillo signore qualunque.

Invece, quando progressivamente il gruppo intona Wacky Backy Banker, Never Glid before, sempre tratto da Angel’s Egg, con i suoi assoli di chitarra e riff scalda il pubblico e introduce ancora una volta quell’incredibile personaggio di Daevid Allen, alias Zero the Hero, apparso dopo un rapido cambio d’abito, vestito di bianco con piume svolazzanti e pendenti che sembrano tanti cd e sul capo un lungo berretto a forma di chiocciola. Intona le note di un'inarrestabile sequenza di brani tratti sempre da Angel's Egg, un tris di tracce eseguite nello stesso ordine apparso nel vinile, negli anni settanta: Flute salad, Oily Way, Outer inner tempo.  Su questa session il pubblico esplode, decide che é arrivata l’ora di abbandonare le comode sedie e accalcarsi sotto il palco per stringersi in un immaginario abbraccio a tutta la band. E Daevid Allen, non insensibile di fronte a tanto entusiasmo, pensa bene di caricare ancora più la scena, avvicinandosi col microfono al pubblico invitandolo a scandire i ritornelli dei brani. E’ sempre un grande artista, la sua maggior grandezza è quella di essere stato da sempre coerente con il suo essere anti divo. Una voce ‘contro’ rispetto all’eccessiva commercializzazione della musica.  La lunga serata dei Gong prosegue ancora con Mother invocation on riff, ancora, Cycle Gliss, Never Blow you trip forever, e per finire, Tropical fish, brano celebre del famoso Camembert Electric, disco che a suo tempo, aveva fatto da apripista a quella che sarebbe stata la magica trilogia del loro periodo migliore, Radio Gnome Invisible con gli album the Flying Teapot, Angel’s egg e You.  Una coinvolgente esibizione, quella sarda che ha aperto il loro tour italiano, carica di una freschezza che sembra non conoscere fine. I loro anni migliori sono stati gli anni Settanta, ma da allora questa musica è più di una leggenda.

Ma ciò che stupisce ancora di più è l’inossidabilità di ritmi e sound di questa formazione che di datato ha solo i riferimenti anagrafici.  E che ha molto da suggerire a tanti artisti giovani che forse i Gong non li ha mai sentiti nominare. E quando, sul palcoscenico, pian piano cala il silenzio, davanti a un buio rischiarato solo dalla luna, il pubblico ricomincia ad applaudire sempre più forte, richiamando la band sul palco. Senza farsi aspettare troppo ricompaiono sulle note di Selene, omaggio a quella luna che silenziosa dall’alto ha seguito il concerto. Ma Daevid Allen e soci dopo il concerto, non risalgono sulla loro ‘teiera volante’ per ripartire per chissà quale meta. Danno vita ad un altro show sul retro del palco, da veri artisti e amanti del proprio pubblico. Per un’ora stringono mani, firmano autografi su pezzi di carta trovati alla rinfusa. E il più fortunato che è riuscito a portarsi un album appresso, ora si ritrova sulla copertina, il timbro indelebile di Daevid Allen, Steve Hillage, Gilli Smith, Miquette Giraudy, lo zoccolo duro della band, ma anche dei nuovi adepti: Dave Sturt, Chris Taylor e Teo Travis. La magia dei Gong si deve a tutti, in parti uguali.

Foto di Lucia Leoni

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