. Soft Machine - Floating World Live
The Machine and its own Secret
Soft Machine - Floating World Live
(Moonjune records)
www.moonjunerecords.com

Soft Machine 1975, Allan Holdsworth’s style. Canterbury’s sound at its departing point

Nel 1975 il gruppo strumentale inglese dei Soft Machine viveva sull’onda di un nome diventato importante sinonimo di creatività borderline tra jazz e sperimentazione, per l’appunto, soffice intorno alle stagioni 1969-1972. In quella lucidissima stagione sonora, pur passando attraverso la dipartita del loro membro più rappresentativo, il batterista cantane Robert Wyatt, la formazione di Canterbury guidata dal tastierista Mike Ratledge era riuscita, grazie all’apporto rigoroso e determinato del sassofonista Elton Dean, a tenere salda la direzione. La dipartita di quello nel 1971 e del bassista fondatore Hugh Hopper nel 1973, a poca distanza dall’ingresso dell’ex Nucleus Karl Jenkins rischiavano però di inficiare un lavoro che gli album “Five” ( con Dean), “Six”(con Jenkins)e “Seven” stavano andando mostrando.
Jenkins, jazzista proveniente dal classico vedeva la musica in maniera diametralmente opposta dal suo predecessore, inveterato improvvisatore, ed aveva trovato nello straordinario batterista John Marshall ( anche lui ex Nuclues e Jack Bruce Band ) la spina dorsale ritmica per le sue partiture. Ratledge dal canto suo, da bravo imprenditore musicale quale poi sarebbe diventato negli ottanta alla guida della più importante società di jingles musicali d’Inghilterra, lasciava scorrere, sorretto anche da un proprio stile personale che era ciò che dava il tono sonoro alla band (il suono dell’organo Lowrey distorto, trade mark of quality dai primordi del gruppo). L’ingresso, infine, nella formazione del bassista Roy Babington ( anche lui ex Nucleus) costituì l’ultimo sopraffino tocco di Jenkins che andava così a completare l’universo sonoro immaginato.
I Soft Machine nel giro di due anni si erano trasformati radicalmente senza mai smettere di essere sul mercato dei dischi e delle esibizioni live, un merito, oggi, da sottolineare vista la complessità dell’orizzonte musicale della formazione britannica.
Fu il fortuito incontro con il giovanissimo chitarrista di Bradford Allan Holdsworth ( già con i Tempest del’ex Colosseum Jon Hiseman ) a far fare un poderoso salto in avanti a un gruppo che stava reinventandosi giorno dopo giorno con certosino lavoro ed impegno e che dopo “seven” era consapevole di essere giunto ad un turning point.
Allan Holdsworth fece poco e moltissimo alo stesso tempo: suonò tutto il suonabile (non leggeva la musica) e Jenkins non si fece prendere in contropiede scrivendo per lui temi e contro temi, riff corti, quasi blues/quasi rock che Holdsworth eseguì sulla sua Gibson Sg bianca in maniera impeccabile, lasciando tutti attoniti mentre la visione circolare alla Terry Riley, tanto cara a Mike Ratledge, girava sotto.
L’arrivo nei soft Machine di Allan Holdsworth costituì quindi la vera e definitiva dipartita dai Soft canterburiani dei primi cinque (sei?) album. Il gioco delle doppie tastiere di Karl e Mark divenne lo corrimano per permettere a Alla di lanciarsi in soli armonicamente ricercati e tecnicamente ineccepibili.
La stagione con Holdsworth, quella che si concretizzò con l’album “Bundles” non durò molto, il tempo di un tour americano andato a male e di un tour europeo che li impose come vere superstar del genere oramai imperante fra i nuovi musicisti, quello per cui più strettamente si può usare a buona ragione il termine jazz rock.
In Italia fu un vero trionfo con teatri pieni all’inverosimile e bis infiniti.
I bravissimi Perigeo (Claudio Fasoli al sax e piano, Franco d’Andree al piano e tastiere, Bruno Biriaco alle percussioni e batteria, Tony Sidney alle chitarre guidati all’esperto Giovanni Tommaso al basso e voce) sull’onda di un ottimo terzo album “Genealogia” chiesero espressamente di aprire quelle date e la band inglese parve apprezzare.
Holdsworth era però destinato a lidi lontani. Non disse no alla chiamata del grande batterista nero Tony Williams e fece bene. Suggerì un paio di sostituiti non meno validi di lui alla formazione di Ratledge, Marshall. Babbington e Jenkins quali Olie Halsall (ex Patto) e Jon Ethridge (ex Darryl Way ‘s Wolf). Quest’ultimo, peraltro eccellente musicista, accettò. Ma i Soft Machine non sarebbero mai più stati unici e irripetibili come in questa breve stagione 1973-1975, quella che li vide distaccarsi e reinventarsi dagli esordi. Altri dischi sarebbero stati pubblicati, la band sarebbe tornata in Italia più volta, sempre accolta benevolmente ma era oramai un altro tempo.
Questo album live registrato a Brema il 29 gennaio 1975 è la testimonianza più calzante di un avventura breve e irripetibile, quando la parola jazz rock aveva davvero un valore e non costituiva la via di fuga dell’ego smodato di musicisti presuntuosi e permalosi. “Floating World Live “ racconta la breve storia di una grande band, in una stagione irripetibile, ricordata dai fans e dai musicisti stessi, con affetto ancora oggi

Ernesto de Pascale

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