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Ray La Montagne

Mi piace Ray La Montagne per la sua serietà e per l'onestà che, afferma, “ non sempre e' necessaria in una canzone; a volte devi fingere per obbligarla a venir fuori”. A Londra tutti lo attendono dopo 2 spettacoli da solo, lo scorso ottobre, che servirono a testare il terreno per il nuovo secondo, splendido, album “When the sun turns black”. Oggi che si presenta con una produzione che ha i crismi di quelle per i grandi artisti pare più preoccupato che mai per come andrà a finire, pur sapendo che i due show sono un successo annunciato.

“ Devo lavorare molto su me stesso – mi dice durante il nostro intenso incontro nei camerini dell’Hammersmith Apollo – e quando sono entrato in studio, a soli 20 minuti di macchina da dove vivo, mi sono dovuto inimicare tutto e tutti per far capir loro che io dovevo vivere recluso su quella montagna ( quella dove ha sede lo straordinario Allaaire studio nel Massachussettes ) per far uscire fuori le canzoni”.

La sensazione e' quella di trovarmi davanti a uno che ha tanto da dire e che tante ne ha viste. Non vuoi andare troppo e fondo per rispetto ma quegli occhi impauriti tolgono il fiato e ti verrebbe voglia di chiedergli se sta male, se ha bisogno di una mano.
“ Dalla gente non mi aspettavo molto se non che mi ascoltasse, questa e' la cosa più importante per me. Gli europei – sottolinea – lo fanno meglio degli americani ma io non sono uno che spinge. La musica deve essere una scelta”.
Scelta che gli ha fatto lasciare un lavoro sicuro anche se terribile pur di provarci: “era una grande chance, dovevo farlo -afferma stropicciandosi le mani quasi se le volesse rovinare – oggi non ce ne sono più tante di queste occasioni”.

La canzoni dei due dischi hanno colpito in maniera trasversale una generazione allargatissima ed e' accaduto quel miracolo che sempre meno frequentemente vediamo ripetersi come fu per Van Morrison, Joni Mitchell, Prince: avere delle canzoni che hanno il dono della qualità e della comunicativa.
“Non ascolto radio, non vedo la televisione, sento vecchi dischi di Nina Simone perchè la sento piangere e confermo che ci sia una qualità quasi geografica alla mia musica. E' vero – dice abbassando gli occhi – non ho niente a che vedere con i cantautori californiani ma nemmeno con quelli country”,aggiunge “ non so, non saprei, ci dovrei pensare un po’ su ….”.

Certo e' che in “When the sun turns black” si sono condensati alcune decine di tentativi mal riusciti fino ad oggi di vari e ben più autorevoli cantautori, ma lui di questo pare non essersene accorto.
“Tento la strada della concentrazione, del vivere la musica in maniera confessionale ma non mi sento uno al quale le cose sono andate troppo male ( come la stampa scandalista vorrebbe tentare di venderlo sulla base degli abusi subiti da ragazzo ). Sono un artista che ha avuto delle fortune e cerca di usarle senza troppe costruzioni sul futuro, i miei dischi non sono ne' targetizzati ne' fanno parte di uno schema sulla lunga gittata. Queste – mi dice sorridendo – sono canzoni. Soltanto canzoni, Ernesto”.

Sapendo che e' un lettore accanito, avido di notizie e curiosità, di storie vere o false, e attribuendo a Ray delle qualità cinematiche nel racconto sonoro ho portato a lui in regalo un libro sul neorealismo cinematografico italiano del dopoguerra ( ho pensato che dell'Italia non sapeva molto e lui, disarmante, ha confessato ) e un romanzo di Nick Toesches sui ministrel show dell'inizio del ventesimo secolo, “Where the dead voices gather “; mi pareva un bel pensiero, una cosa un pò diversa dalla solita firma di un album o dalla foto ricordo. Pensavo che una bella e interessante lettura potesse interrompere certa monotonia, far volare le idee.

”Forse anche io sono un artista vaudeville - mi dice guardando il burattino in copertina la libro - se fossi nato in quel periodo mi sarebbe piaciuto essere un medicine man – sorride - ma non più al giorno d‘oggi. Non mi piace sembrare quello che ha soluzioni. In verità io di soluzioni non ne ho neanche una, neanche per me – mi dice mentre le sillabe paiono non uscire dalle labbra e la voce si infievolisce sempre di più – e non ne voglio avere a dire la completa verità”, continua scuotendo la testa.

Poi se ne va, lasciando lì i libri e dopo avermi stretto la mano ma senza guardandomi più di tanto negli occhi. Ma non c’è un posto dove andare perché siamo nel suo camerino e Ray torna subito indietro girandosi su stesso, per recuperare i libri e portarli chissà dove, forse sul tour bus. Osserva quello di Toesches, un nome che conosce.
Io mi butto nell’ultima domanda fuori programma .

“Cerchi di far felice qualcuno ? “ gli chiedo mentre raccoglie le sue cose, un bottiglia d'acqua minerale che non ha mai aperto e gira da tutto il pomeriggio in sua compagnia, una pipa che sa di pakistano, “ no, cerco solo di non rendere infelice la mia vita più di quanto lo sia stata fino a pochi anni fa. Già quello, per me, sarebbe un grosso passo avanti”.

Infine sfoglia alcune pagine del libro dell’americano, autore della biografia di Dean Martin e Jerry Lee Lewis, e mi ammonisce - o così almeno mi pare possa interpretare le sue ultime parole che mi dedica: “la qualita' primitiva della musica d'autore, l'appartenere a una tradizione, e' forse la nostra ultima possibilità di non essere inghiottiti dalla follia totale che ci circonda”.
Annuisco, ma lui è già altrove con la testa, con gli occhi che ruotano, con il corpo, nel suo mandala, nel suo viaggio zodiacale.

Mentre esco ripercorro la sua biografia e mi ricordo che questo uomo ha lasciato a casa una moglie e due figli nel Maine, che ha solo 33 anni, l‘età e il look di Jesus Christ, e che è anche una superstar assodata qui in Inghilterra.
Come per preordinata coincidenza cominciano in quel momento a squillare i cellulari di tutti, manager, agente, assistente, press office della casa discografica, il mio. Ma a Ray è chiaro che non gliene frega un cazzo. Ci passa in mezzo come se fosse calato il buio intorno a se, pronto alla prossima routine.

Salutandolo volevo augurare in bocca a lupo a Ray La Montagne ma non mi è venuto.
Poi ho pensato che il ragazzo ha bisogno di culo, tanto culo per tirare fuori la pelle da qui.
Perché nella vita, il culo sempre serve. E lui, per meriti che esulano dal suo grande e ispirato talento, un po’ ne ha già avuto ma di altrettanto ne avrà bisogno per non farsi inghiottire da un sistema che non chiede mai permesso.

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