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Bonnie “Prince” Billie
Firenze, Sintetika, 26 aprile 2007

Will Oldham ama far perdere le proprie tracce, un po’ come quel Bob Dylan a cui qualcuno ha avuto il coraggio di paragonarlo. Tanti i nomi con cui il cantautore di Louisville si è mostrato al pubblico, già dai tempi della congrega Palace (o Palace Music, o Palace Brothers) fino ad arrivare a Bonnie “Prince” Billy, soprannome adottato lungo il corso di tutta la sua carriera solista o quasi. Ma tanti sono anche i suoi approcci musicali, dalla tradizione folk americana al cantautorato indie, dalla scarna spettralità del capolavoro I See a Darkness alla ricchezza più tradizionalmente rock del progetto Superwolf. Inutile dire – più che altro: già detto – che Oldham è uno dei cantautori americani più importanti dei nostri tempi, un camaleonte che butta tutta la propria anima nelle canzoni facendosi scudo della propria arte, altro tratto che lo accomuna non poco al genio di Duluth. Stasera arriva sul palco del Sintetika accompagnato dal solo batterista Alex Neilson, non c’è traccia di altri componenti della band. Praticamente solo contro il pubblico, Oldham esegue una serie di capolavori vecchi e nuovi. I See a Darness, Cursed Sleep, Strange Form of Life, God’s Small Song, incarnate a volte in sottili linee acustiche e a volte in rochi blues dell’anima. Canzoni che danno vita a veri e propri gironi danteschi, fatte di peccatori, di relazioni finite orrendamente o di un Dio lontano, canzoni che ci consegnano un artista ormai sulla scia dei grandi.

Bernardo Cioci

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