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LIBRI

Michael Walker - Laurel Canyon, the inside story of rock & roll legendary neighboorhood
(Faber & Faber, 377 pp,2007 $ 25.00)

God’s golden backyards, a high class restricted park for desirable people only, ‘till the madness came along

Bella la vita a Laurel Canyon, la tortuosa strada che collega Hollywood al resto dell’America dell’Ovest, quando Joni Mitchell si eleggeva “Lady of the Canyon” e Graham Nash descriveva la loro idilliaca convivenza con “ gatti nel cortile “in “Our House” o quando Frank zappa, insediatosi nella proprietà già dell’eroe del cinema muto Tom Mix,originariamente un cavallerizzo di rodeo e niente più trasformatosi in eroe dei matineè, ipotizzava di “essere lì solo per soldi” mentre le sue proto groupie predilette, le Girls Together Outrageously, decidevano chi fottersi prima e chi dopo!

Dai primi vagiti di Roger Mc Guinn, Chris Hillman, David Crosby, Gene Clark, Michael Clarke, alias The Byrds nel 1965 fino allo sfascio dell’intero Hotel California, eni tardi settanta, i piaceri della vita a Laurel Canyon parvero non arrestarsi mai!.
Sotto la guida di professionisti del godimento come la vorace e capiente Mama Cass dei The Mama’s & the Papa’s e con sicuri rifugi come il Wiskey a Go-Go, Ciro’s, Bito Lito’s a ragionevole distanza dal Canyon, presso lo Strip del Sunset Boulevard, gli abitanti dell’esclusivo luogo si moltiplicarono felici per poche intense stagioni adottando i nuovi arrivati come Alice Cooper o il più timido Jackson Browne, rubacuori professionista fin dal primo sguardo.

Storia affascinante che fa venire un po’ di invidia, quella di Laurel Canyon è raccontata in questo bel libro da Michael Walker, uno che vive lì da quasi trent’anni e ha visto tutte le rockstars, una dopo l’altra, abbandonare il luogo per altri lidi( uno degli ultimi ad andarsene fu John Mayalla che nel 1968 incise un intero album ode del luogo e dei suoi abitanti, “Blues from Laurel Canyon”, uno dei migliori e più approfonditi spaccati sulla comunità locale dell’epoca).

Più addomesticato ad abituato al successo del quartiere hippy di Haight Asbury, nato sull’onda lunga dei beatnicks di san Francisco del decennio precedente e meno rigoroso del sua corrispettiva community newyorchese, il selettivo - almeno agli inizi - Village, totalmente folk & leftwing oriented, Laurel Canyon, mondano ed impenetrabile dal di fuori ma totalmente folle nella sua gestione quotidiana di disciplina ed impatto, divenne presto the Place To Be dando al movimento rock losanagelino una sponda come Hollywood per il cinema.

Fotografati da Henry Diltz, ex componente del Modern Folk Quartet, contrattualizzati da Jac Holzman della Elektra, prima, da Ahmet Ertegun della Atlantic, poi, ed infine da David Geffen della Asylum, chi entrava nella ristretta cerchia di protetti dalle lunghe foglie cadenti degli alberi di sycamores del Laurel Canyon tornava a casa almeno con un contratto discografico, una amante, se non una overdose ( questo nei settanta…).
Né gli scontri razziali nel quartiere Watts - ma era solo il 1965 - né quelli fra capelloni e polizia nel 1966 sullo Strip - da cui “For What it’s Worth” dei Buffalo Springfield di Stills, Young e Furay, né l’uccisione di Bobby Kennedy nel1968, riuscirono a minare l’idilliaca atmosfera degli inquilini del Laurel Canyon che ruotavano tutti intorno all’unico grocery store della zona ( ancora oggi in attività ).

Managers, discografici, agenti e avvocati assomigliavano così incredibilmente agli artisti che rappresentavano e fra il 1966 e il 1969 si erano andati limitando solo a trasferire l’operato dell’ebreo Bill Graham, che a San Francisco aveva saputo tenere le redini di una situazione più alternativa e certamente meno rilassata dietro l’apparenza laid back dei digerì locali, per declinarla secondo il classico Hollywood style. A Los Angeles nacque il Kaleidoscope, la risposta al Fillmore ma all’orizzonte si prospettavano, pronti ad accogliere gli egocentrismi di questi giovani rampanti, altri spazi come The Troboudours ( il club che stipulava al primo ingaggio una replica, per la stessa paga, in qualsiasi altro momento della tua carriera!) e The Roxy il palcoscenico che avrebbe lanciato all’Ovest Bob Marley e Bruce Springsteen. Questi due mitici locali furono anche i luoghi presso cui si forgiarono gli eccessi degli abitanti di Hotel California nel decennio successivo.

Il gioco di letti, amanti,mogli, fidanzate e groupie svolse il suo importante ruolo nei cambiamenti mentre lentamente un problema di competizione nessuno osava farne menzione, stava venendo a galla ma, non è difficile intuirne i motivi, nessuno era ancora abbastanza una superstar consolidata per professare il proprio ego fuori dalla propria porta di casa !. Portarlo alla luce del sole non avrebbe certo giovato a nessuno!.

Nel 1969 alcuni eventi dirompenti cambiarono agli abitanti locali la percezione del Laurel Canyon che loro stessi avevano creato : l’eccidio di Sharon Tate ( giovane moglie di Roman Polanski ) e amici al 10050 di Cielo Drive in Benedict Canyon solo cinque giorni prima dell’inizio dell’epopea di Woodstock sembrò alla lunga distanza l’incipit degli eventi di Altmont, la Caporetto dei buoni ideali del rock a cui partecipò una ampia delegazione di abitanti locali, dai Flying Burrito Brothers di Gram Parsons, Chris Hillman, Bernie Leadon e Michael Clarke a Crosby, Stills, Nash & Young.

Da lì a poco con la precoce scomparsa di notorietà locali cittadini onorari di Hollywood come Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Sorriso e la calata di “orde barbariche” britanniche con gli incontentabili Led Zeppelin a guidare l’invasione, l’atmosfera cambiò decisamente.
La crescita esponenziale dell’industria discografica, l’invasione della cocaina come Status Symbol, il permissivismo di Hotel come l’Hyatt, strategicamente a ridosso del Canyon, l’avvento di una nuova e più giovane e spregiudicata generazione di groupie allontanarono gli ideali del Laurel Canyon dalle esigenze quotidiane di una comunità sempre più sfacciatamente isolata dagli ideali di condivisione oramai del tutto scomparsi.

Laurel Canyon, dalla metà dei settanta in poi, tornò ad essere un luogo esotico, viverci voleva dire riconoscere un piccolo e importante fotogramma della storia d’una generazione, adesso del tutto perso. Quando un incendio, il 19 Settembre 1979 rase al suolo molte cabin ed abitazioni storiche, appartenute ad artisti e attori, fu a tutti chiaro che un’epoca si era definitivamente chiusa con un triste segno del destino beffardo e implacabile.

Sentire la mancanza oggi della comunità creativa di Laurel Canyon, la migliore, quella che proliferò fino al 1969, è senza dubbio segno dei nostri tempi fatti di molti, troppi rimpianti.
Vivere sull’onda di un ricordo intangibile e di una nuova consapevolezza, di un nuovo nomadismo e di un rinnovato bisogno di intimità, è, allo stesso tempo, segno della necessità di sperimentare un futuro che dobbiamo indagare con interesse, con impegno. Cercando magari di inventare mille Laurel Canyon, ovunque se ne offra l’occasione.
I principi originari restano, e questo il bel libro di Walker non ne fa omissione; principi sinceri, ancora oggi tutti validi e perseguibili, nel nome della musica di una nuova generazione che proprio Los Angeles sta cullando .

Ernesto de Pascale









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