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Sting-Edin Karamazov
Teatro Verdi, Firenze
21 febbraio 2007

Dowland rules! 500 hundred years after his time due to a rock legend

«È una leggenda del rock, perché si è messo a fare musica di John Dowland?» La domanda campeggiava sulla rivista Bbc music nell'ottobre 2006 che dava eccezionalmente la copertina a Sting.Il quale spiegava la sua scelta in una lunga intervista. Il concetto principale che Sting esprimeva è che la musica popolare del XVI secolo era quella composta ed eseguita da Dowland e dai colleghi madrigalisti così come oggi è quella suonata da Sting e dai suoi colleghi sui palchi di stadi, palasport e affini. Inoltre la musica di Dowland è stato un grande amore del musicista inglese e l'omaggio diventava doveroso a un certo punto di una lunga e celebrata carriera. Solo che per renderla al meglio era necessario mettere da parte basso e chitarra e imbracciare lo strumento antenato di quest'ultima, il liuto. Anzi l'arciliuto, che permette una maggiore espressività grazie alla lunghezza e alla larghezza del manico che contiene un gran numero di corde, alcune di bordone, ovvero di intonazione fissa. A questa operazione ha partecipato sin dalla sua progettazione il liutista bosniaco Edin Karamazov conosciuto due anni prima dell'uscita del disco Songs of the Labyrinth per l'etichetta Deutsche Grammophon e recensito su Il Popolo del Blues nello scorso novembre.
Per la prima di un mini tour italiano di tre date (c'era già stata un'anteprima nei mesi scorsi in una chiesa milanese) Sting ha scelto Firenze, città in cui si sente a casa dato che spesso utilizza il buen retiro di Figline Valdarno, e il suo teatro Verdi. Proprio per questo c'era da verificare un responso del pubblico tutt'altro che scontato, perché in fondo si tratta di un'operazione che può non accontentare sia i fan di Sting, sia gli ascoltatori di musica antica. E questo nonostante che, sia sul disco sia dal vivo, Sting abbia voluto dare una lettura particolare alla musica, alternando ai brani, testi delle lettere di Dowland: musicista cattolico, quindi dovendo fare i conti con i problemi di un'Inghilterra elisabettiana dove la fede anglicana era preponderante dopo scontro sanguinosi. Si mise quindi in viaggio per tutta l'Europa, mantenendo una fitta corrispondenza con famiglia e amici, e se lui deve molto ai madrigalisti italiani e tedeschi, lo stile del liutista Dowland si affermò nel continente. Per quanto riguarda i brani, a supportare i due musicisti è salito l'ottetto vocale londinese Stile Antico (la vera sorpresa della serata, auguriamoci di ascoltarli presto da soli) per dare il giusto rilievo ai pezzi madrigalistici che nel disco erano stati oggetto di sovraincisioni della voce di Sting. Il quale era ben conscio dell'importanza dell'esperimento anto da aver affrontatato con un certo timore i primi brani del concerto. Poi la voce ha perso la tensione e grazie anche alla buona risposta del pubblico e all’assoluta sicurezza sfoggiata da Karamazov, lo spettacolo con i brani di Dowland (splendida Come, again e la corale Fine knacks for ladies) e del suo contemporaneo Robert Johnson è stato tenuto in mano con sicurezza.
Ma era un concerto di Sting e qualche cosa in più di un repertorio madrigalistico doveva venire fuori: se infatti all’inizio Karamazov aveva tirato fuori una superflua se non inutile versione della Toccata e fuga in re minore di Bach, la conclusione ha visto l’arciulito come strumento accompagnatore di un brano del bluesman Robert Johnson del bluesman e omonimo del madrigalista Robert Johnson, e soprattutto dei brani di Sting tra cui la Message in the bottle dei tempi dei Police. E qui sono arrivate le vere ovazioni del pubblico, che forse aspettava il vero Sting. Però se la musica di Dowland e dei madrigalisti inglesi sarà più conosciuta al grande pubblico dobbiamo sicuramente ringraziarlo. Magari Gesualdo da Venosa e Claudio Monteverdi aspettano che i nostri grandi nomi del pop facciano altrettanto.

Michele Manzotti


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