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Mavis Staples - We’ll never turn back
(Anti – 2007 – USA)

Cry freedom could be the motto of this record, which invokes shots of a past now food for historians; yet hard times to be forgotten, when slavery was a daily reality. Staples and Cooder make up wonderful, touching stories within a political message: We’ll never turn back. Music for the ears, music for the soul; both Cooder and Staples are at their very best in a moving album.

Questo è un disco storico, non tanto per i suoi contenuti ma per la storia che racconta. Attraverso 12 canzoni Mavis Staples rievoca l’epopea del Movimento per i Diritti Civili che negl’anni 50 e 60 fu molto attivo nella promozione dei diritti dei nero-afroamericani. Va ricordato infatti che nella land of freedom – gli Stati Uniti – i neri furono discriminati fino alla metà degl’anni 60: erano, con tanti saluti alle parolone d’oggi, nè più nè meno degli schiavi e trattati come tali. Quel periodo storico s’è chiuso – quello dei Diritti Civili - ormai da diversi anni, attraverso cambiamenti demografici come l’arrivo massiccio d’immigrati ispanofoni. Detto brevemente, non solo i neri d’America non sono riusciti ad innalzare il loro status nella società americana, ma sono stati anche sorpassati, numericamente e politicamente, dagl’ispanici, malgrado siano essi, più di altri, tra i rappresentanti della vera cultura americana. Dunque, chi meglio di Ry Cooder avrebbe potuto spalleggiare la Staples in questa rievocazione di tempi andati e di ferite mai rimarginate, in questo stallo quasi secolare? Non a caso il CD inizia con “Down in Mississippi” di JB Lenoir dove Staples canta: - mia nonna mi disse ... non puoi bere a questa fontana, ma solo alla quella più lontana dov’era scritto “per soli neri” -. La musica risente indubbiamente della presenza di Cooder che marca, con licks secchi di slide e di mandolino, la drammaticità dei momenti. La strumentazione abbastanza spoglia - oltre a Cooder coi sono Mike Elizondo al basso e piano, Jim Keltner alla batteria, il figlio di Cooder, Joachim, alla percussioni e 4 fantastici background vocalists – aggiunge realismo a l’interpretazione ispirata ai canoni religiosi (vedi We shall not be moved). Altri pezzi riportano sempre all’idea che l’esperienza, seppur tragica, di quegl’anni arricchisca la vita umana e così vanno lette “In the Mississippi River”, “My own eyes”, “I’ll be rested”. Questa presentazione potrebbe indurre taluni a pensare che siamo di fronte ad un’opera prolissa, mezza denuncia politica, mezza gospel. Errore, indubbiamente di tratta di un disco colto, ma coloro che apprezzano il Soul e atmosfere Cooderiane non sapranno farne a meno. Manca solo Richie Havens ....

Luca Lupoli

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