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Sean Taylor – Calcutta Groove
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Un artista giovane, classe 1983. Proviene da Kilburn, a nord di Londra. Oltre ad alcune colonne sonore cinematografiche, Calcutta Groove è il suo terzo album. Ed è qualcosa di cui vale la pena di parlare, per la capacità di Sean di confrontarsi con intensità e profondità, ma anche personalità e freschezza, con un genere come il blues. C'è infatti sempre bisogno, in questo ambito, di giovani che investano nel genere, e che lo facciano aggiungendo al patrimonio dei grandi classici la loro cifra stilistica personale.
Taylor parte dalle parole del titolo del suo album: da una parte Calcutta, dall'altra il groove. Da un lato ci sono linee melodiche che citano armonie orientali e indiane, conferendo alla matrice blues dell'album un tono distinguibile, dall'altro i brani spesso sono costruiti attorno al roteare dell'andamento ritmico, con non rari momenti in cui i segmenti si ripetono dando vita ad un autentico groove (in Nightmare ad esempio).
Il suo è un blues “liquido”, spesso fatto di ampie parentesi strumentali dentro le canzoni, in cui linee di steel guitar si fondono tra loro creando un'atmosfera riverberata e densa.
Sean, escludendo le note di tromba di Gemma Fuller su uno dei brani, ha suonato tutti gli strumenti, cercando di privilegiare sempre la registrazione live delle parti. I brani sono tutti di sua composizione tranne una versione di Hard Time Killing Floor Blues di Skip James e Freedom (brano tradizionale interpretato anche da Richie Haven).
Bell'album, con un punto in più per il coraggio ed un altro per credere in un possibile rinvigorimento della scena giovanile inglese nell'ambito di questo genere.

Giulia Nuti


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