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Leon Russell



La migliore stagione dell’arrangiatore/produttore/compositore Leon Russell fu proprio quella che lo vide brillare di luce propria nella carovana di Mad Dogs & Englishmen, prima, e in quella del concerto per il Bangla Desh, poco dopo. Proprio allora, in un turbinio di creatività e follia, talento e sconsideratezza, Leon, sulle scene già da almeno un decennio, fermò su nastro le sue migliori canzoni. “Song for you”, “Hummingbird”, “Delta Lady” ma anche la straordinaria “Roll away the stone” e “Dixie Lullabye” trovano posto in un solo album, “Leon Russell”, del giugno 1970, la cui lista di musicisti ed ospiti è infinita e rappresenta il meglio della élite rock dei primi settanta.



Saltando da una session all’altra, da “Asylum Choir” realizzato con Marc Benno nel 1969 a “Leon Russell & the Shelter people” e poi avanti fino “Carney” del 1972, un disco con almeno altre due immortali canzoni scritte da Leon, “Tightrope” e “This masquerade”, portata al successo crossover qualche stagione dopo da George Benson, fino al triplo dal vivo, un disco impossibile da concepire oggi, tra il 1969 e il 1973 Leon Russell fermò il suo posto nell’olimpo del rock.
Con i tempi in costante evoluzione, il pubblico europeo perse presto le tracce di questo gran musicista; Leon si lasciò alle spalle la follia losangelina- non più la stessa delle sesion di “m.tambourine man” dey Byrds a cui partecipò né quella di “A taste of honey” Herb Alpert & the Tijuana Brass, che arrangiò- e optò per la sua terra natale, l’Oklahoma, svolgendo un bel servizio a J.J. Cale. Al suo matrimonio, con Mary Mc Creary ex corista di Sly & the family stone, suggellò l’esperienza personale con un bel disco, “make love to the music” (1977). Non pagò del suo talento e delle sue intuizioni- sempre un passo avanti-Russell guardò con sicurezza al mondo ben più proficuo, almeno da un certo momento in poi e soprattutto per un senior delle scene come lui, del country e registrò troppo presto, per i tempi che si evolvevano in altre direzioni, con Willie Nelson (1979), con i New Grass Revival (1981)e poi a Nashville–usando il suo nome di battesimo, Hank Wilson (1984)–compiendo una scelta di campo non dissimile da quella di uno dei suoi idoli, Ray Charles.



Per commentare le scelte di Leon Russell da un’ottica differente è comunque importante ricordare che mentre il pianista/chitarrista nato nel 1941 girava il mondo con la sua band, The Shelter people, una nuova generazione di artisti, manager e imprenditori della musica si faceva strada a Hollywood. Erano i vari David Geffen ed Elliott Roberts, gente di cui l’artista non voleva proprio sentir parlare.
Oggi Leon Russell è ancora in piena attività. Nel corso degli ultimi due anni ha realizzato 3 album, ha una band stabile al suo fianco ed è appena tornato dal Giappone. Nel mese d’ottobre si è esibito una decina di volte. Per quanti fossero interessati, il 30 dicembre l’artista si esibisce a Tampa e l’ultimo dell’anno a West Palm Beach, in Florida, l’ultimo dell’anno. Io, penso di andarci, rivedere Mad Dogs & Englishmen e riascoltare i suoi album mi ha fatto riflettere sulla monumentale statura di un talento la cui arte a noi nota è solo la punta di un iceberg.

Ernesto de Pascale

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