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Mimmo Locasciulli

INTERVIEW

Intervista a Mimmo Locasciulli

Sono la famiglia, i luoghi e gli amici quello che costruisce la personalità di un uomo.
Mimmo Locasciulli parla di questo e del suo cd "Sglobal"

Mimmo Locasciulli è uno dei più importanti cantautori italiani,lo incontro in un bar su uno dei più trafficati incroci del centro di Roma e, indossate le maschere antigas,abbiamo parlato dei suoi inizi,del suo rapporto con la musica e la famiglia e del nuovo cd uscito da poco

D. Partiamo dall'inizio,il blues,il rock e tante cose interessanti sin dall'inizio della tua carriera artistica fino a che il folk non ti ha conquistato legandoti ad ambienti romani come quello del Folkstudio. Vuoi raccontare come hai iniziato?
R. Ho cominciato a quattordici anni quando ho lasciato gli studi classici di pianoforte e ho preso a scorrazzare lungo la riviera abruzzese con vari complessini,come si chiamavano allora,facendo inizialmente il beat e poi quello che ancora si chiamava così ma era più verso il rock,poi il repertorio di gruppi come i Kinks,i Troggs. Ero già attratto dal rock più duro come quello degli Who o dei Cream. Insomma non proprio una radice blues ma molto di quel rock che comunque aveva il blues come ispirazione.

R. Si,gli Stones ma anche Spencer Davis Group.Era un rock di difficile connotazione. Mentre il beat si riconosceva immediatamente,quel rock era difficilmente classificabile. Queste sono state le matrici,poi a diciannove anni sono andato a Perugia a fare medicina (Mimmo Locasciulli è medico chirurgo n.d.r.) e ho conosciuto dei folksingers,ragazzi che studiavano all' Università per Stranieri. Ma perchè questo incontro? Suonando il pianoforte e l'organo nei complessini,andando a Perugia come studente fuorisede non avevo la possibilità di averli con me e allora ho cominciato a strimpellare la chitarra perchè era più facile da portarsi appresso. Le persone che ho conosciuto suonavano principalmente folk,scandinavo,americano. Da lì sono arrivato a Dylan.

D. E poi sei tornato a Roma
R. Dopo tre anni mi sono trasferito a Roma. Avevo cominciato ad interessarmi alla musica folk,ai primi cantautori come De Andrè o Guccini che aveva fatto un disco bellissimo intitolato "Due anni dopo". Leggendo i giornali musicali venni a sapere dell'esistenza del Folkstudio e ho cominciato a sognare di poterci fare una capatina. Da una parte l'idea di laurearmi a Roma e non a Perugia,dall'altra l'attrazione per questo locale,nel 1971 sono venuto a fare gli ultimi tre anni di medicina.

D. E il sogno si è avverato
R. Dopo un anno. Prima ho fatto la gavetta in un orrendo locale universitario,il "Camelot Club" che poi è diventato il "Suburra Cabaret" a via dei Capocci,per saggiare le mie capacità di fronte al pubblico. Il repertorio era fatto da una metà di canzoni mie e una metà di cose di Dylan,Jacques Brel,Jean Ferrat,Brassens,qualcosa di Guccini,poco De Andrè.

D. Poi hai incontrato De Gregori con cui dividi la passione per Bob Dylan.
R. Ancora non lo conoscevo. La prima volta che sono entrato al Folkstudio...questa è bella...C'erano sui giornali le pubblicità della loro rassegna "Domenica Giovani" e c'era scritto "palcoscenico aperto". Io avevo immaginato che si andasse lì e si potesse suonare. Andai con tre o quattro amici e Giancarlo Cesaroni mi disse che il palco era sì aperto ma per i giovani della scuderia del Folkstudio,non per chiunque volesse. Rimasi molto male e ricordo che lì vicino c'era Ernesto Bassignano,uno dei famosi giovani,e mi disse "ma tu che roba fai?" io gli risposi che mi ero preparato tre canzoni,una mia,una traduzione mia di Dylan e una non mia di Jacques Brel. Ernesto disse a Cesaroni di farmi suonare perchè il repertorio era bello e fui arruolato nei giovani del Folkstudio.

D. Sei un altro che deve l'inizio della sua carriera ad Ernesto Bassignano...
R. Lo dirò sempre,se non fosse stato per lui...probabilmente non sarei tornato più là e avrei provato altrove. Volevo suonare ed Ernesto è stato il motivo per cui ho iniziato al Folkstudio.

D. Ci ha visto giusto,anche perchè nel corso del tempo anche tu hai aperto delle strade a tanti musicisti italiani. Penso alla collaborazione con Greg Cohen o le cose con Marc Ribot,artisti che poi hanno suonato anche con altri...
R. Io ti ringrazio di aver detto questo. Facciamo un salto temporale,arriviamo al 1990. Quando andai in America per fare "Tango dietro l'angolo" con grandi musicisti in Italia non ebbi un riscontro adeguato. Nonostante avessi suonato con quei musicisti i giornalisti musicali non mi accolsero bene. Potevano anche parlar male ma almeno riconoscere lo sforzo artistico di voler suonare con una band di altissimo livello. Non si scrive mai del livello musicale,dell'arrangiamento o di quelle cose tecniche fondamentali nel bagaglio di un musicista. E' tutto condizionato dal cappotto che hai addosso o dal gradimento personale del critico. Due anni dopo,quando Vinicio Capossela ha suonato con gli stessi musicisti,la critica si è sperticata. Certo l'interesse discografico era maggiore e il suo manager,Renzo Fantini,era più incisivo del mio e quindi i giornali hanno fatto articoli su articoli."Marc Ribot nel disco di Capossela!" o "Le atmosfere care a Tom Waits e Capossela". Bah. Comunque questo mi riporta al Folkstudio;un giorno ero lì e vedo arrivare un bel giovane biondo con due ragazze che si mette a suonare. Chiesi chi fosse e qualcuno mi disse che era Francesco De Gregori. Suonava le stesse cose che suonavo io oltre alle sue "Cercando un altro Egitto" e "Alice" che era appena uscita. Aveva da poco fatto il Disco per l'Estate ma io non la conoscevo. Si muoveva nel campo che frequentavo io musicalmente,non ci conoscevamo ma avevamo una matrice comune:Bob Dylan. Non ero simile a lui,almeno per il mio primo disco dove il giro dei musicisti era diverso e non era la scuola romana.

D. In quel periodo dovresti avere incontrato Piero Ciampi
R. Lo ho incontrato più tardi,nel 1975 quando avevo fatto il mio primo disco col Folkstudio. Conoscevo le sue canzoni ma lo conobbi perchè veniva in ospedale (Il Santo Spirito di Roma n.d.r.) in quanto amico di un paio di medici che io conoscevo perchè frequentavo il loro reparto. Lui era lì per i suoi problemi legati all'alcolismo ma un paio di anni dopo si ruppe un femore e venne nel reparto di chirurgia con letti di ortopedia dove lavoravo.Quando ci siamo conosciuti mi ha odiato perchè gli facevo portar via i fiaschi di vino dagli infermieri. Mi diceva "Te non mi vuoi bene,non mi fai bere",io gli dicevo "Guarda Piero,se sei qui c'è un motivo e il vino non è contemplato". Credo che morì l'anno dopo ma prima andai a trovarlo con De Gregori all'ospedale San Filippo Neri e lui era ancora incazzato con me. Una persona sfortunata ma la maggiore sfortuna è che la sua grandezza non è stata riconosciuta come meritava. Io due anni fa nel mio disco "Piano piano" ho incluso la sua "Tu no",una canzone straordinaria. Mi era venuta in mente perchè un paio di anni prima ero stato invitato al Premio Ciampi a Livorno insieme ad Alessandro Haber dove dovevamo cantare ognuno una canzone di Piero e io scelsi "Gesù Gesù" e Haber "Tu no". Lo accompagnai al pianoforte e pensai che la canzone la volevo cantare io e allora dopo un pò l'ho fatto. Tornando indietro devo dire che il periodo del Folkstudio e quello della Rca furono veramente belli,avevi l'impressione di avere una dimensione importante anche senza fare nulla di veramente importante se non parlare con gli amici della musica. Tempi eroici. Ho iniziato ne 1973 e due anni dopo avevo già fatto il mio primo disco con l'etichetta Folkstudio. Probabilmente se Cesaroni non la avesse creata non avrei fatto il cantautore. Sarebbe stato un periodo,bello,della mia vita e nulla più. Poi ti laurei,cominci a lavorare e ti dimentichi tutto. Invece c'è stata la fortuna che Giancarlo volesse fare un'etichetta discografica,forse pensava che avessimo del talento. Nei credits del disco scrisse che la collana era fatta dagli artisti che venivano nel suo locale e che gli piacevano.Scrisse anche che nel locale erano passati Pete Seeger,Bob Dylan,Venditti e De Gregori "ma non li abbiamo registrati" e quindi auspicava che anche noi saremmo diventate delle stelle un giorno. Non aveva mai preso accordi con Antonello e Francesco che intanto erano stati fagocitati da Micocci alla Rca e allora propose quella collana di dischi.

D. Arriviamo al 1987 quando al Premio Tenco apristi il concerto di Tom Waits. Lì inizia la collaborazione con Greg Choen.
R. Questa è un'altra dimostrazione di come certe cose nascano bene in una certa maniera. I miei due figli suonano con me ed hanno un'immagine del mondo musicale totalmente diversa,io invece ho la convinzione che il successo,a tutti i livelli,è frutto della combinazione di più cose,degli incontri. Se non fossi andato lì avrei continuato a seguire la scuola romana che pian piano si è esaurita e non avrei avuto orizzonti diversi. La combinazione è che io amo Tom Waits e avendo fatto qualche anno prima con Enrico Ruggeri "Confusi in un playback" che decidemmo di pubblicare su singolo infilammo nel lato b la sua "Foreign Affair" tradotta da me. Questo mi permise di conoscere Tom Waits ma soprattutto Greg Cohen con cui ho sviluppato subito una forte simpatia. Parlammo molto e ci riproponemmo di fare qualcosa insieme. Due anni dopo accadde. Nel 1988 con mia moglie andai a Milano a Vedere Randy Newman che aveva come apertura un concerto di Victoria Williams la quale era accompagnata da Greg che andammo a trovare nel retropalco. Cenammo e gli dissi che preparavo un album e che mi sarebbe piaciuto collaborare. Da lì abbiamo registrato otto dischi.

D. Nella tua carriera tante altre collaborazioni,a partire da quella con De Gregori che nei tuoi dischi ha volte ha usato falsi nomi...
R. Si,come Cereno Diotallevi.Ispirato da roba tipo Melville,Moby Dick o Benito Cereno. Ha una passione per queste cose. A prescindere dalle rispettive individualità va detto che ci unisce la profonda conoscenza e "l'aria di famiglia". Non abbiamo mai fatto le collaborazioni a tavolino,neanche con Ruggeri anche se lui una l'ha fatta,quella con Morandi e Tozzi ma lì fu la Caselli che come al solito aveva capito il successo di quel trio. Mi piace pensare che tutte le cose che ho fatto come collaborazioni siano fatte senza pensare all'interesse,per amicizia o considerazione professionale come nel caso dell'ultima con Frankie Hi nrg che non conoscevo ma stimavo artisticamente per esempio per canzoni come "Quelli che benpensano". A volte devi metterti anche contro i discografici,pensa che "Confusi in un playback" fu osteggiatissimo da loro. Mi dissero che se volevo proprio un milanese era meglio Celentano,e che c'entravo io con lui? Non si saprà mai. Stamparono poche copie di quella canzone,il fatto è che la seconda settimana entrò in classifica al 19o posto e poi uscì perchè erano finite le copie e il pubblico nei negozi non trovava il disco...Allora si stampava con le presse della Rca e in quel momento erano occupate dal nuovo album di Dalla,un mese e mezzo nel quale non potemmo ristampare la canzone e poi era troppo tardi.

D. Sempre grande acume nella discografia italiana...
R. Ti dirò di più. Una volta dissi al direttore artistico della Rca Marco Cantini che volevo fare un pezzo col Quartetto Cetra che in realtà purtroppo non erano più un quartetto ma si facevano chiamare "I Cetra". Lui mi chiese se ero matto allora io andai a Milano e feci un blitz registrando con loro per i fatti miei e poi inclusi la canzone nel disco senza dir nulla. Non mi piacciono le operazioni discografiche,voglio fare le cose che mi piace fare.

D. Hai intitolato un disco "Aria di famiglia",i tuoi figli suonano con te e dici che nelle collaborazioni conta molto l'amicizia e tieni enormemente ai luoghi da dove provieni,le tue radici che sono a Penne,in Abruzzo. Quale è il tuo approccio al fare musica?
R. E' molto bello. La famiglia è un insieme di cose...io non sono un cattolico però la vedo come un punto di riferimento sociale,oltre che affettivo naturalmente,se la società non si basa sulla famiglia non ha dei cardini fondamentali. E poi la famiglia non è soltanto quella dei tuoi cari,è un concetto più vasto. Per quel che riguarda la musica ecco,sono legato a tutto ciò che è parte di me:dove sono nato,gli amici che ho avuto,i paesaggi e gli odori che ho respirato quando ero ragazzo e le amicizie che ho coltivato come piccole piantagioni sono la mia famiglia. E' un pool di entità che ti danno un sentimento,è quello che ti costituisce. Io attingo da lì,non sono un uomo di grandissima fantasia e non sono capace di improvvisare le rime baciate quindi attingo dal mio "pool di idee" anche per raccontare le mie storie. detto questo a me piace avere figli,fratelli,sorelle,amici con me nelle mie canzoni ma averli anche materialmente è ancora meglio. Mio figlio Matteo suona il basso ed è nella band dal '98,quando non c'è Greg c'è lui. Guido,che sta cercando la sua strada come autore e cantante e ha pubblicato un cd con lo pseudonimo di Guido Elle,fino all'anno scorso faceva parte del mio gruppo rock. Mi esibisco in diverse formazioni,in duo con Greg o col quartetto d'archi,da solo o con il gruppo pop-rock. Sono entrambi bravi i miei figli ed è soprattutto per quello che suonano con me ovviamente,però quando vai in giro in tourneè è bello averli vicino,come sarebbe bello avere tutti musicisti che tra loro sono amici fraterni ma è più difficile. Anche se alla fine quando vado a ricontare le mie pecorelle vedo che quest'anno ho fatto il tour con Massimo Fumanti alla chitarra che è stato con me i primi dieci anni della mia carriera,non c'è più Mario Scotti perchè è morto altrimenti avrei continuato a chiamarlo. Comunque sono sette o otto quelli che mi hanno sempre seguito nei concerti e questo mi piace,è come avere vicine delle parti di te.

D. Parlando di tourneè tra poco ne comincerai una con Greg Cohen...
R. Dunque,ho avuto un incontro molto fortunato quattro anni fa nella Svizzera tedesca con un gruppo che va avanti a dischi di platino,i Patent Ochsner e il leader Bune Huber che è l'unico musicista fisso della band,autore e cantante. Lui era un appassionato della mia musica e mi consigliarono di prendere contatto con loro. Ci conoscemmo e il manager è diventato mio carissimo amico. A Bune piaceva molto una mia canzone,"Natalina",lui ha fatto la versione tedesca e io quella italiana di un suo pezzo,"Hotelsong",ne abbiamo ricavato un cd singolo che è andato bene. Abbiamo fatto una miriade di concerti insieme e ora ricominciamo. Ho un altro concerto a Basilea con un altro cantautore che ho conosciuto quest'estate in un grosso festival,si chiama Dick Weininger ed è il più rappresentativo dei cantautori di lingua tedesca. Invece il 22 e 23 dicembre sono guest artist per l'inizio del tour dei Patent Ochsner e il 17 febbraio inizio la tourneè con Greg in duo. Faremo ancora quattro date in Svizzera in cui Bune è ospite e cinque date in Italia tra cui Torino,Antella (vicino Firenze),qualcosa a Roma,in Calabria e altre località.

D. Per chiudere parliamo di "Sglobal" il tuo ultimo cd
R. Io ho i miei punti cardinali, "Sglobal" è uno dei quattro. Gli altri sono "Tango dietro l'angolo", "Intorno a trent'anni" per forza di cose e il mio primissimo disco del Folkstudio. Perchè lo dico. Perchè dopo aver fatto un disco che adoro con voce e pianoforte,veramente cantautorale,dato che mi piace sconfinare nelle contaminazioni con il rock, il folk e il jazz che mi attira sempre di più avevo in mente un pezzo che parlasse del mondo di oggi,di cose tipo il grande fratello che gestisce l'economia mondiale con annessi e connessi e volevo che fosse un rap. Casualmente ho riascoltato "Quelli che benpensano" di Frankie Hi nrg e dissi "Eccolo qua. L'unico vero artista che non parla per slogan nel rap". Ha una grande capacità poetica,anche Caparezza non è male. Frankie mette cultura nel rap,sa scrivere. Gli ho telefonato e quando stavo finendo il disco e avevo la musica fatta a New York gli ho detto che avrei spedito tutto ma senza testo,volevo che lui,sapendo ovviamente quello che volevo raccontare,facesse di testa sua. Il rap è il suo linguaggio, non il mio. Quindi ha scritto la parte rap ed io il resto. Fatta in maniera diversa sarebbe risultata inevitabilmente posticcia. Questo pezzo è stato un pò la chiusura del cerchio di un disco che è "sghembo" perchè ha molti orizzonti,ci sono le mie classiche ballate,c'è Greg,Stefano di Battista, tante cose che ne fanno un disco veramente contemporaneo come suoni e concezione. Anche in "Aiuto" con Alex Britti mi sono trovato bene,è una cara persona e suona in maniera incredibile. Se vai in giro in Europa,nei locali dove si fa musica sul serio tutti lo conoscono. E' venuto,in venti minuti ha fatto tutto e per quattro ore è stato a mangiare e bere con noi,per dire. "Sglobal" è un disco strano,difficilmente definibile,pezzi tra loro molto diversi ma che rispecchiano le cose che mi piacciono attualmente, differenti fra loro per fortuna. C'è la contaminazione di Marc Ribot, il blues e l'affetto per il jazz,la mia classica canzone d'autore e ritmi che non avevo mai usato come la rumba rock di "Correre baby". Mi pare di capire che il disco è stato bene accolto ma tra poco arrivano i rendiconti e ne saprò di più sulle vendite e sull'interesse che ha suscitato. Non chiedo mai come vanno le vendite,meglio che sia una sorpresa,nel bene e nel male! E' sempre così imponderabile, credo di avere fatto bene a "coltivare la mia nicchia" e poi vendere cinquemila dischi o trentamila è quasi la stessa cosa quindi... non mi faccio domande, i miei successi li ho avuti,qualche delusione pure ma delle cose materiali mi importa veramente poco.

Alessandro Mannozzi


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