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INTERVIEW

Intervista a Richie Unterberger

Richie Unterberger, 47 anni, californiano, con una cultura della musica rock americana di chi di anni ne ha almeno 10 di più, è il giornalista che tutti vorremmo essere. Opinionato, perfettamente documentato, scrive solo di ciò che a lui sta più a cuore ("il lavoro di recensore per www.allmusic.com consideralo solo come una maniera per pagarmi l’affitto” - mi confesserà) dedicando alla ricerca buona parte del suo tempo. Per il libro appena pubblicato dai tipi della Jawbone press White Light/White Heat, The Velvet Underground day by day ( 367 pagine, $ 29.95, £ 18.95 ) mi dice di aver trascorso tre anni completi per approfondire una storia di cui ritiene di aver “ solo raschiato la superficie”.
“La storia era troppo straordinaria per non essere raccontata completa. Avevo notato che c’erano in giro molti, troppi, materiali sul gruppo e sul rapporto con Andy Warhol ma che tutti erano incompleti. Da molti anni pensavo a qualcosa che racchiudesse in un solo volume non solo questo ma anche quella miriade di informazioni amatoriali provenienti dalle fonti più disparate che apparivano nel corso del tempo e che sono state fondamentali per riaccendere l’interesse in un gruppo che non ebbe mai durante gli anni della loro vita il riconoscimento che si meritava”.
Per fare questo Unterberger, dalla sua casa di Los Angeles, ha dovuto verificare una quantità immensa di cross reference. “ E’ la parte più stancante ma anche quella più produttiva del mio modo di lavorare - mi dice - perché è quella che ti porta più vicino al personaggio.”
Certo che scrivere un libro sulla vita dei Velvet Underground potrebbe sembrare oggi un passo falso rispetto alle esigenze di un pubblico sempre meno attento.
“ Io mi rivolgo a un pubblico adulto. Penso che il mestiere di giornalista musicale debba andare verso una direzione: o l’accettazione del rapporto con le case discografiche e un quieto vivere fatto di fuochi di paglia, o un percorso serio, approfondito, che mostri un punto di vista. Ritengo che la musica americana dei primi anni sessanta, quella che venne in parte affossata dall’avvento della beatlesmania, sia ancora oggi piena di spunti e non sia stata ancora raccontata del tutto. Non a caso alcuni anni fa avevo dedicato un intero volume (Turn, Turn, Turn) proprio al passaggio dall’età dell’innocenza a quella della consapevolezza.”
E per lei i Velvet Underground cosa rappresentano?
“La consapevolezza.”
A proposito della consapevolezza lei ha approfondito il tema con un altro bel volume, Eight Miles High: Folk Rock ‘ s flight from Haight Asbury to Woodstock
“la strada della consapevolezza si ruppe nel 1969 e questo è chiaro ai più. Era però meno chiaro i motivi e le strane curve del destino.”
L’impressione che si trae dal corposo volume dedicato ai Velvet Undergorund
è che Richie si sia valso di una nutrito gruppo di collaboratori per approfondire mille piccoli temi. Le cose, ci spiega lui stesso, non sono andate proprio così.
“Non me lo sarei potuto permettere. Purtroppo non sono Grail Marcus o Peter Guralnick che possono ottenere anche 100 mila dollari di anticipi. Le mie cifre sono molto minori e alla fine del lavoro avevo speso tutto in ricerche. Guardando il lato positivo di un lavoro che oramai ho terminato (Richie spera in una edizione italiana che vorrebbe già riveduta con integrazioni) posso però affermare con orgoglio che tutto quello che ho segnalato è passato attraverso le mie mani!”
Ed attraverso le mani di Riche sono passati infatti documenti ed artefatti di un’epoca. Cosa ha trovato di molto diverso rispetto alle sue aspettative ricercando il segreto dei Velvet Underground ?
“ Innanzitutto che Lou Reed era quanto di meno anormale si potesse immaginare. Lou è ed è sempre stato un artista interessato al successo e basta. Niente di quello che ha scritto e/o di apparentemente abrasivo lo toccava da vicino più di tanto, neanche il suo rapporto controverso con le droghe. Cale era il genio che tutti conosciamo ma anche una specie di bastian contrario secondo i tipici principi del newyorchese intellettuale degli anni sessanta, Moe era un personaggio fuori da qualsiasi classificazione ma il vero perno della vita quotidiana della band, sempre pronta ad andare avanti, Sterling era l’ombra che usciva dal buio solo per graffiare. Il personaggio che però mi ha affascinato di più è Angus MacLise, primo percussionista della band, amico di vecchia data di John e Lou, sperimentatore vero, alternativo di costituzione, un artista totale che ha passato la sua vita controcorrente, senza lasciare puetroppo grandi segni del suo passaggio e che io ho voluto approfondire a fondo..”
E Nico ?
“Beh…Nico era Nico. Enigmatica perfino a se stessa. Una di quelle donne che a mio parere - ci dice il giornalista - nacque e morì irrisolta e totalmente fuori di testa. Diciamo che Nico iniziò a prendere cognizione della sua carriera solo dal primo album solista, Chelsea Girl, non prima. Prima era valore aggiunto per gli occhi di andò e la sua corte. Io - conclude Richie - come ricercatore e giornalista, cerco di far parlare i fatti.”
Ma non mi ha detto niente di Doug Yule…
“Mettiamola così: The Velvet Underground ebbero il maggior successo quando furono guidati da Doug, un giovane multi strumentista di talento. Può andare ? .”
Con questa stringata risposta che lancia una più approfondita lettura del volume della Jawbone ci salutiamo.
Sapendo che Unterberger non è un tipo che sta con le mani ci salutiamo parlando di altri progetti.
“ Sono in tour fino a novembre con questo libro e varie celebrazioni del quarantennale di Woodstock. Intanto sto finalizzando un prossimo volume ancora più impegnativo di quello dedicato ai Velvet, di cui non posso dire niente. Ne frattempo continuo ad ampliare la mia collezione di personaggi minori e borderline che sono apparsi nei miei libri Unknown Legends of Rock'n'Roll e Urban Spaceman & Wayfairing Strangers. Perciò aspettatevi altri aggiornamenti su quanti hanno speso la vita per diffondere il rock & roll senza ricever eindietro quanto hanno dato. Un po’ come I Velvet Underground!”

Ernesto de Pascale

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