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Gary Higgnis – Seconds
(Drag City)

A volte ritornano. Chi l'avrebbe mai detto che, dopo la ristampa a cura della Drag City del suo dimenticato capolavoro Red Hash, Gary Higgins avrebbe ripreso la carriera di cantautore e pubblicato il secondo capitolo della sua discografia. Seconds dista dall'album di debutto del musicista ben 36 anni. La storia di Gary Higgins comincia infatti nel lontano 1973 quando venne pubblicato Red Hash, mai promozionato a causa dell'incarcerazione di Higgins per possesso di droga. Anni e anni dopo, nel 2005, grazie all'interessamento di Ben Chasny di Six Organs of Admittance l'album è tornato disponibile su cd con bonus tracks. Ha venduto un ragguardevole numero di copie, con concerti e recensioni internazionali. Inaspettatamente, Higgins è così andato incontro allo stesso destino di altri artisti minori della musica folk, un po' come è stato qualche anno fa per Vashti Bunyan (che ha pubblicato Lookaftering, dopo essere stata contattata da artisti come Animal Collective, a trentacinque anni di distanza dal suo debutto Just another diamond day).
Seconds si mantiene, come il suo predecessore, sulla linea di un folk rock acustico, intenso, meditativo.
Si parte con l'incipit più raccolto di Demons per sfociare negli arrangiamenti sinfonici delle tastiere di Terry Fenton su Little Squirrel. Spiccano nell'economia del disco brani come la più rock e Younghiana Mr.Blew e l'affascinante suite 5 A.M. Trilogy, inframmezzata da una parentesi psichedelica in stile acid folk (con il figlio Graham Higgins alla chitarra).
Non vale la pena di paragonare troppo Seconds a Red Hash: è giusto lasciare al debutto di Higgins lo status di capolavoro, avvalorato dall'aurea che acquistano nel tempo gli album maledetti e dimenticati. Seconds è l'attualità, la ripartenza. E, a distanza di cosi tanti anni, è un ottimo disco.


Giulia Nuti

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