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Sonic Youth – Goo [Deluxe Edition]
(Universal)
www.sonicyouth.com



Nonostante la storia ufficiale del rock alternativo lo abbia volutamente dimenticato, questo è un disco di importanza capitale. Verso la fine degli anni ‘80 le major discografiche avevano iniziato a guardare sotto la superficie delle classifiche di vendita: il mercato indipendente aveva dato vita ad una scena enorme, e questa stava proliferando nell’humus accogliente dei college americani. Era l’epoca di 120 Minutes, programma in seconda serata di MTV che fu la prima “finestra” nazionale su ciò che stava accadendo nel sottosuolo, e molti discografici intuirono che il vento stava spirando in nuove direzioni. Fra tutti, i Sonic Youth furono uno dei primi gruppi indie a firmare un contratto con una major, la sfortunata Geffen, e la mossa lasciò attoniti molti fan. Stupore comprensibile, se si pensa che la Gioventù Sonica era una delle formazioni più ostiche e sperimentali di tutto il rock statunitense, nata sì all’ombra del punk ma debitrice anche nei confronti dell’avanguardia newyorchese, Glenn Branca su tutti, e più idealmente verso l’elettronica analogica di LaMonte Young e Silver Apples. Dei molti dischi pubblicati da allora sotto l’egida della Geffen, Goo è forse il più svilito e non è difficile capire perché. C’era stato Daydream Nation giusto due anni prima, e stiamo parlando di uno dei capolavori massimi dell’ultimo ventennio, logico quindi che un lavoro più diretto come Goo, perdipiù associato a quello che fu percepito come un salto verso le insidie della fama, ne sia uscito piuttosto male. Il successivo Dirty raffinerà meglio il tentativo di suonare sia accessibili che sperimentali, ma è proprio Goo a segnare l’inizio del cambiamento. Dirty Boots e Kool Thing – quest’ultima con uno spaesato Chuck D a scandire qualche timida frase – sono ciò di più vicino al pop firmato Sonic Youth, anche se la voce atonale di Kim Gordon e le peculiari accordature delle chitarre di Thurston Moore e Lee Ranaldo impedirono riscontri commerciali di rilievo. Il resto si muove su una routine dorata, con Disappearer, Tunic e la feroce Mote a suggellare la bontà di un album buono, ma più importante a livello di significato che di puro piacere auditivo. Questa ristampa deluxe rimasterizza il disco originale e aggiunge ben 27 pezzi agli 11 contenuti nella prima uscita. Alcune rarità sorprendono, altre come i demo dei pezzi originali rivelano poco e nulla, ma in generale si sente che il gruppo aveva voglia di divertirsi. La chicca è forse la versione cantata di Lee#2, completamente inedita fino ad oggi, dove il protagonista è Ranaldo, che si cimenta in una ballad tranquilla e solo sporcata dalle dissonanze che da sempre sono il marchio di fabbrica del gruppo. Il secondo cd non aggiunge niente di nuovo, fra demo e outtake di scarso valore, con le sole cover di That’s All I Know (Right Now), dei Neon Boys di Richard Hell e Tom Verlaine, e I Know There’s An Answer – nientemeno che dei Beach Boys! – a discostarsi di netto dall’aplomb distaccato dei dischi ufficiali. Consigliata senza riserve, ma solo ai fan.

Bernardo Cioci

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