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The Green Man festival
Hay on Wye, Wales 19-21 Aug 2005


La comunità del cosiddetto “alt.folk” inglese è piccola e, come tutte, le comunità, ben orgogliosa di se stessa, intenzionata ad essere autosufficiente. The Green man festival, ad Hay on Wye, al confine fra il Galles e la contea dello Herefordshire, il terzo weekend di Agosto, ne esalta i pregi e i difetti.

Il festival dell’uomo verde – il logo lo rappresenta con corna d’alce, come in una leggenda legata a rè Artù – è alla terza edizione e si svolge nel parco del castello di Baskerville e in alcune sale dello stesso. E’ organizzato da Jo e da Denny: lei cantante/chitarrista, lui bassista/ cantante i due, “It’s jo and denny”, ha prodotto fino ad oggi quattro lovely albums, lì dove il termine sta esattamente per carino. Intorno al castello reso celebre da Conan Doyle i presenti si accampano e si svolge una variegata attività parallela: tende creative per bambini, corsi di rilassamento new age e lettura delle carte, sala (o meglio, stanzone) dove i dj suonano i loro dischi. Una unica tenda del merchandise ufficiale raccolgie e vende il materiale di tutte le band e solo quello, c’è una sala per vedere film in tema, un ristorante, molti stand per le birre, un mercatino nella zona del campeggio, un oliatissimo servizio di navetta per il parcheggio. Due i palchi di maggiore importanza: uno centrale, adiacente al camping, coperto e ben protetto, uno interno per performance minori.
Per tre giorni a The Green Man festival in una atmosfera piacevole e civile è possibile vedere il meglio di questa nuova scena, scelta per voi da Jo & Danny. The Green Man Festival è quello che si potrebbe definire il perfetto festival alternativo per i nostri tempi.

Sono arrivato fino ad Hay on Wye, celebre fino ad oggi solo per essere il più grande centro di libri usati della Gran Bretagna, sull’onda emotiva di uno dei migliori dischi ascoltati negli ultimi diciotto mesi, quel ”No Earthly man“ dello scozzese Alisdair Roberts (drag city) talmente bello da indurmi a scovare nel suo schedule estivo la migliore occasione per vederlo in concerto, così come avevo fatto, non più tardi di sei settimane prima con Joanna Newson che avevo raggiunto e visto dal vivo al Montreux Jazz Festival. Immaginate la mia sorpresa quando scorrendo il cartellone del The Green Man Festival ho scoperto che se Alisdair era headline la seconda sera, Joanna lo era la terza e la leggendaria Incredible String Band chiudeva la prima delle tre serate!

Giunti sul posto accompagnati dal disco di The Magic Numbers, insieme agli Arcade Fire l’album più gettonato dell’estate 2005 dagli appassionati di musica inglese di tutte le età, l’atmosfera incontrata nel bel resort del castello di Baskerville, è stata sorprendente perfino per dei veterani dei festival.

Aiutato da un tempo decisamente clemente che ha illuminato la vallata esaltandone più volte la bellezza mozzafiato, The Green Man Festival presentava, per la prima volta dopo anni, una tranquillità e offriva logistiche che sarebbero poi servite a una migliore fruizione della musica. Le duemila pinte di birra spillate dai baristi al bar del piccolo hokey dokey stage (quello per i minori, gli emergenti, i notturni) non hanno inficiato il rispetto per la musica e questo è un dato sicuramente positivo. Sul prato neanche nei momenti di maggior affluenza avevi problemi a trovare un posto in prima fila, comodamente sdraiato per terra. Abbondavano i pic nic, la musica non copriva la normale vita del festival, i dj suonavano – guidati da uno spettacolare Andy Votel, produttore del bel “Vertigo remixes” (Universal) e dello straordinario ”Rare Welsh Beat” (Finders Keepers records
www.finderskeepersrecords.com) – beat e psichedelia gallese e antico acid folk (Forest, Trees, Sun Forest, Magic Candle, perfino i Quintessence) per un pubblico che ballava libero mentre bambini di ogni età giocano a un metro dalla pista. Sul palco nessuna band tentava di prevaricare le altre e i mancuniani The Earlies, un ensemble di 11 persone a metà strada fra i Pink Floyd pastorali, le armonie dei The Mamas & the Papas, la ripetitività tedesca e la coralità dei Pogues, hanno addirittura affermato che il festival aveva chiesto loro di suonare il doppio (20 minuti) del loro usuale set ma che “dopo circa sette minuti diventiamo noiosi anche a noi stessi…”

Jo & Danny hanno centrato in pieno il risultato prefissosi con The Green Man Festival: proporre artisti non ancora celebri, non adeguarsi alla logica degli sponsor -in prevalenza birrai magnati della scena estiva- che tentano i grandi pienoni (il week end successivo è storicamente quello dello storico Reading Festival, in mano a logiche soprascritte), tentare di creare un eniviroment vivibile un po’ fuori dalle rotte. Non è un caso che lo stesso castello di Baskerville sia fuori addirittura da Hay on Wye, un paesino di 1400 abitanti, e che per arrivarci devi averne veramente voglia. È così che sul sito del The Green Man festival www.thegreenmanfestival.co.uk già a maggio appariva la sigla “sold out“, tutto esaurito, un concetto apparentemente stridente per un festival che si svolge in prevalenza all’aperto.

La differenza si è vista e soprattutto sentita, però! Aiutati dal bel tempo, un particolare di non secondaria importanza da queste parti, il venerdì sera The Incredible String band si è esibita nel silenzio più completo davanti a 1500 persone immobili e in totale adorazione, sotto una luna piena che illumiva la comunità e dava al tutto un senso antico e mistico. Le note del dulcimer e dell’auto harp uscivano pulite e limpide ed anche le attività collatrali risentivano di quest’ intimità. Domenica sera Joanna Newson ha fermato la pioggia con le sue favole oniriche mentre per molti era il momento di impacchettare le proprie cose. La sola voce e l'arpa della ventenne fatina di San Diego non faceva fatica a spargersi per il parco, la vita andava avanti ugualmente ma l’atmosfera onirica accompagnava l’ultima sera del festival appropriatamente.
Fra questi due bei concerti, la chiusura del Venerdì e quella dell’intero festival svettano, per chi scrive, i 45 minuti di Alisdair Roberts che dal vivo ha confermato tutto il bene che il suo ultimo disco aveva fatto intuire.
Con un repertorio non differente da quello del disco, ma aiutato da una spontanea semplicità, Alisdair ha mostrato lo spessore che “No Earthly Man“ comunicava. Canzoni oscure e intense, profonde e guidate da un singolare uso della chitarra e della voce - qualche rifinitura in meno rispetto al disco- che il pubblico ha ascoltato in rigoroso silenzio. Roberts, che si esibiva nella migliore ora per l’intera serata, le otto, ha solcato lo splendido cielo terso gallese con melodie originali che hanno l’autorevolezza della tradizione ma la freschezza del brano appena composto e che il pubblico ha seguito tributando allo scozzese una caldissima accoglienza. Roberts, che ha l’aspetto del giovanetto allampanato, dà da vicino l’impressione del musicista serio ed un bel extended play dal vivo, “you need not braid your hair for me i have not come a wooing“ sono la cosa più vicina al concerto visto a The Green Man Festival.

Ci sono poi le sorprese e i molti altri artisti visti dal vivo durante i tre giorni: l’americana Josephine Foster, attesissima sull’onda di un album che ha avuto 9/10 da NME, ci è parsa una vera delusione: fuori posto, stranita e anche meravigliata per l’interesse maturato (a Chicago si esibisce nei coffee shop davanti a poche decine di presenti) La Foster presenta un repertorio originale molto vicino ai brani arcaici delle montagne appalacchiane. Ha un tono vocale petulante, sembra il suono generato da un Theramin!, dotato di uno spiccato vibrato che usa a dismisura. Ma quel che nel disco è magico e contenuto e ben organizzato, dal vivo, nel caldo della piccola sala dell’hokey dokey stage e con l’aspettativa della stampa locale (già decisa a osannarla prima della prima nota!) la Foster si è chiesta a voce alta cosa ci faceva lì. Vista a un passo di distanza Josephine mostra seri problemi dislessici che nel disco segnano un motivo di follia barrettiana mista a originalità ma che sul palco non riescono a concretizzarsi nella stessa maniera. Nei giorni del festival la Foster, che cammina radente ai muri, sempre sola e con lo sguardo un po’ perso nel vuoto, si è soffermata più volta a vedere dal vivo altri artisti (ha seguito la performance del grande vecchio del blues acustico Wizz Jones, maestro di Bert Jansch, con dedizione) e chissà che il festival non le abbia dato motivi di riflessione. www.100songsising.com
Sul palco centrale gli scozzesi Aberfeldy hanno dimostrato di rispettare le aspettative che il loro album ”young forever” ha evidenziato, guadagnandosi il rispetto degli altri partecipanti al festival per impatto e solidità musicali. Andranno avanti. www.aberfeldys.com
James Yorkston and the Athletes chiudevano il festival nella sala hokey dokey ed erano attesi da un pubblico festoso che dava dimostrazione di conoscere le canzoni di Yorkston. James è un ottimo musicista ma gli manca quel certo non so ché per appartenere a una categoria superiore. www.jamesyorkston.co.uk

Fra le band sconosciute a noi ci è parsa interessanti The Broken Family Band, www.thebrokenfamilyband.com e un certo Richard James, cantautore intimista accompagnato da un gruppo poco sicuro, che è in procinto di pubblicare il suo primo album, mentre Voice of the Seven Woods sono un trio indeciso che strada intraprendere se quella della psichedelia elettroacustica o quella del cantautorato “deviato”. In entrambi i casi non sono molto originali, però. The Earlies, molto attesi hanno dato dimostrazione di eclettismo ma devono limare con l’attenuante del solo disco all’attivo (solo su lp) “This is the Earlies”e uno in uscita. King Creosote & the Fence Collective hanno il merito di aver dato vita alla spenta contea locale (uno dei pochi musicisti che si ricordi in zona è il compianto Dick Heckstall Smith dei Colosseum e Graham Bond Organization, nato a Ludlow) ma deficiano in sintesi. Lui, King Creosote, scrive canzoni ben fatte ma ha al fianco un collettivo che vuole fare troppo.

Restano fuori almeno due act da segnalare: quello di Bonnie ”Prince” Billy & Matt Sweeney, già visti a Montreux a luglio ed ancora più convincenti di sole sei settimane prima. Bonnie, un cantautore da cui la Foster dovrebbe imparare molto in profondità e in ricerca interiore mantiene intatta la tensione che avevamo visto sul palco svizzero e ci è parso che la lunga tournee europea lo abbia caricato di soddisfazioni e conferme. Un disco dal vivo è atteso per i primi d’ ottobre. Ultimi, ma non ultimi, It’s Jo & Denny, padroni di casa con l’aria (lei) di saperla lunga. Pur amati dalla stampa inglese, dal vivo ci sono parsi inutili e anche un po’ sopra le righe. Tanto di cappello per le capacità organizzative ma sulla musica c’è molto da lavorare ancora! www.itsjoanddenny.com

In definitiva The Green Man Festival è una gran bella occasione per vedere artisti nuovi, seguire le tendenze meno “rumorose”, calarsi nella tradizione e fare avanti e indietro nel tempo e nel mondo della discografia indipendente che cambia e si reinventa. Certo, anche qui vige il sistema che ben conosciamo degli amici e degli amici degli amici: i gruppi, soprattutto i locali, che abbiamo citato si scambiano musicisti e complimenti in ogni occasione. C’è – è doveroso dirlo! – continuità e ricerca.
Si può solo augurare tutto il bene possibile a The Green Man festival sperando che non diventi troppo di moda, che non sia invaso dai campeggiatori estivi del “festival a tutti i costi” e dagli ubriachi. Questo starà alla capacità di Jo e Denny di gestire inviti e programma. Mantenendo la cifra dell’edizione 2005 potrà di certo confermarsi come la migliore occasione estiva che la Gran Bretagna attualmente presenta.

Ernesto de Pascale
Laura Mauric


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