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Steely Dan - Donald Fagen - Michael Becker

LIVE

Steely Dan
& Michael Mc Donald
23 Agosto 2006 PNC Bank Arts Center, Holmdel, New Jersey
24 Agosto 2006 New England Dodge Music Center, Hartford, Connecticut
25 Agosto 2006 Trump Taj Mahal, Atlantic City, New Jersey

Three nights with Steely Dan.
Three nights with Donald Fagen, the Scientist of the Pop Music.

A distanza di pochi anni dal loro ottimo "Everything Must Go" e a pochi mesi da "Morph The Cat", lavoro a firma esclusiva di Donald Fagen, il mitico duo del pop americano decide di intraprendere un tour americano riprononendo live tutti i maggiori successi di una carriera cominciata nell'ormai lontano 1974.
Ad aiutare Fagen & Becker c'è stavolta Michael Mc Donald, amico di sempre del magico duo oltre che uno dei pochi bianchi a poter vantare un mood soul da fare invidia a tanti improvvisati soul men di colore dei giorni nostri.
Compito dell'ex Doobie Brothers è stato anche quello di aprire i concerti con una sua performance personale durante la quale ha proposto i suoi più famosi successi ed ha sfoggiato una buona forma, soprattutto per quanto riguarda la sua inconfondibile voce, suo marchio di fabbrica oltre che vero gioiello degli ormai andati anni 80.

E si respirava davvero un'atmosfera anni 80 durante l'opening show di Mc Donald: la si respirava durante la esecuzione di "What a Fool Believe", "I Keep Forgettin" e "Taking it to the Streets", così come la si percepiva osservando la folla accorsa in massa, soprattutto quelli che erano venuti per lui, Mr. Mc Donald: vecchi lupi da piano bar ormai brizzolati i quali, smessi i panni da yuppies, lasciate in cantina le giacche blu elettrico, hanno seguito l'intero concerto quasi commuovendosi ed abbracciando le loro giovani compagne. Casalinghe che, lasciati i bimbi a casa, hanno ricordato i bei tempi andati lasciandosi andare alle danze con le note della Band di Michael Mc Donald, una Band in gran parte di Nashville la quale dimostrava di avere ottimo mestiere e di saper essere un degno supporto (particolare menzione per il bravo Bernie Chiaravalle alla chitarra ed il solido Lanice Morrison al basso).

Ma molti di noi non erano certo lì per ballare, almeno per ballare "I've Heard it Trough di Grapevine" rifatta (bene) da Michael Mc Donald. Non eravamo certo lì per emozionarci rivivendo le atmosfere da yuppie bar tardi anni '80.
C'era un'attesa che si leggeva negli occhi dei tanti che avevano assistito allo show di Mc Donald con impazienza, con la voglia di chi si trova finalmente ad un appuntamento rimandato per tanto, troppo tempo.
FInalmente si spengono le luci ed entra l'intera Band.
Keith Carlock si siede alla batteria aprendo le danze e tutti lo seguono sulle note di "Turtle Talk" dell'immenso Stan Kenton ed ecco che da sinistra entra Walter Becker e da destra Donald Fagen. Eccoli qui.



Gli Steely Dan si scatenano immediatamente con una bella versione di "Bodhisattva", resa meno spigolosa della edizione in studio grazie ad un arrangiamento più swingante. E' il turno poi di "Time Out Of Mind" in cui Donald Fagen mette mano alla sua Melodica, strumento da sempre prediletto oltre al caro Fender Rhodes, ed ancora "Aja" in cui Keith Carlock dimostra di non aver affatto paura degli immancabili e previsti paragoni, anzi..
Oltre a K. Carlock ed a Fagen & Becker, sono parte della band l'immancabile ed ottimo Jon Herington alla chitarra, Freddie Washington al basso, la sezione fiati composta da Walt Weiskopf al sax tenore, Jim Pugh al trombone, Roger Rosenberg al sax baritono e Michael Leonhart alla tromba, i cori formati da Cindy Mizelle e dalla bella e brava Carolyn Leonhart e Jeff Young alle tastiere.
Fagen appare come mosso da scatti nervosi, la sua gestualità in "Peg" ricorda molto il compianto Ray Charles e quando si alza in piedi si muove come una marionetta pervasa da scariche elettriche, le note sembrano scuotergli l'intero corpo. Le sue mani non sono mai ferme, seguono a scatti l'esecuzione di ogni canzone e la sua testa segue ogni passaggio, si muove come ossessionata dagli accordi, dagli arrangiamenti, dal funky. E' in forma strepitosa, grida incitando la Band e non toglie mai gli occhiali da sole, stringe i denti e fa delle smorfie per ogni accordo che esce fuori dal suo Fender Rhodes.



Becker appare come un vecchio hypster ormai in pensione, con la sua anonima camicia fuori dai jeans e la sua aria apparentemente distaccata con la quale suona la chitarra come se stesse suonando ad un raduno di ex liceali.
Le set list delle tre serate hanno mostrato ben poca differenza, c'è stato spazio per un solo cambio a serata e "Black Cow", eseguita ad Holmdel, lascia spazio ad "Home At Last" (l'unico brano in cui Carlock dimostra di avere soggezione, ma qui si trattava dell'inconfondibile "Purdie Shuffle") che viene eseguita ad Hartford, mentre ad Atlantic City sarà la volta di una memorabile "Third World Man".
Alcune perle sono sicuramente una bellissima "Hey 19", una eccezionale "Josie" ed una "Chain Lightning" le cui linee dei fiati sono state completamente riarrangiate dando un'impronta Kentoniana alla canzone.
Non è stata eseguita alcuna canzone che fosse stata composta dopo Gaucho, quasi a voler riempire un vuoto, a voler chiedere venia dell'essersi arroccati per anni su di una torre alta ed irraggiungibile dalle cui finestre ogni tanto venivano giù spartiti ai più indecifrabili, accordi presi chissà dove ed armonie sconosciute ma che, tradotte da menti e mani esperte, davano vita - come per miracolo - ad emozioni che ancora oggi allietano la vita di molti di noi.
Anni in cui i due hanno scelto, modificato, preso, licenziato, assunto interi dream team di musicisti per metterli al servizio dei loro ordini precisi, dei loro disegni, senza badare minimamente a quanti invece anelavano ad un tour, ad uno show, ad un solo messaggio e che hanno vissuto per ben oltre un decennio nutrendosi di leggende, accorrendo come lupi affamati nei negozi ogni qualvolta c'era il minimo sentore di un nuovo disco.



Ma forse i Dan hanno fatto bene: quale Frankenstein sarebbe mai venuto fuori da un tour con Larry Carlton, Bernie Purdie, Steve Gadd, Michael Mc Donald e tutti gli altri insieme? Sta di fatto che non lo sapremo mai, ma poco importa. Siamo tutti qui e godiamo di questa serata con la consapevolezza di vivere un momento raro, di assaggiare un vino prezioso, di ascoltare il ticchettìo di un orologio dalla singolare e misteriosa meccanica e di essere così fortunati da poterlo raccontare un domani.
Standing ovation ad ogni canzone e nessuna pausa fatta eccezione per quando vengono suonate le note di una tiratissima "Show Biz Kids" durante la quale Walter Becker presenta tutti i componenti della Band e girandosi verso il suo eterno compare esplode in un "lead vocalist, commander and chief, singer and song writer, traveller, scientist and explorer - did I mention aviator? - friend of mine in the last 37 years, the original, the originator, Donald Fagen" ed è allora che si capisce il fascino, la meritata gloria che quest'uomo ha guadagnato in tutti questi anni. Lo si legge nei sorrisi del pubblico, negli sguardi di gioia e piacere e nelle grida che ti sommergono e ti rendono difficile persino l'applaudire.
Sulle note della stessa "Show Biz Kids" entra Michael Mc Donald per sedersi alla tastiera ed è il turno di "Do It Again" che ancora oggi - a distanza di oltre 30 anni - resta esempio cristallino di come dovrebbe essere composta una canzone pop.
Viene poi il turno di una meravigliosa "Peg", seguita poi da una vigorosa "Don't Take Me Alive", esempio di come si possa abbinare una elegante composizione musicale ad un testo in cui un tizio grida il suo dolore e la sua rabbia agli agenti appostati lungo la strada esclamando "I'm a bookkeeper's son, I don 't want to shoot no one!" per poi proseguire con "Got a case of dynamite, I could hold out here all night". Per non parlare di Kid Charlemagne, vero manifesto della caducità della gloria umana, soprattutto quando guadagnata facilmente. Ed eccoli qui i tanti Kid Charlemagne dei bei tempi che furono, vecchi Gordon Gekko ormai convertiti alla sobrietà del nuovo millennio, accorsi soprattutto nel fastoso e kitch Trump Taj Mahal di Atlantic City, stringere le loro compagne rifatte e cantare quasi come se fosse un esorcismo "Now your patrons have all left you in the red, yor low rent friends are dead... Son you were mistaken, you are obsolete".



Pubblico strano quello degli Steely Dan: musicisti, gente della upper class, ex yuppies convertiti al buddismo, giovani incuriositi ed affascinati dal Maestro Fagen, vecchie glorie e barbagianni degli anni 80, vecchi bacucchi per cui la musica è finita nel 77, cultori della musica pop ma soprattutto loro, i componenti della setta, i veri Dan Fan: cinici, sarcastici, incosolabili amanti, i quali conoscono ogni nota ed ogni passaggio alla perfezione ma adorano sorridere tra di loro e scherzare dicendo che "in fondo le canzoni dei Dan sono tutte uguali: parlano di droga e fetish".
Lo show è finito, la Band esegue "Last Tango in Paris" e Mr. Becker e Mr. Fagen guadagnano l'uscita e ci lasciano soddisfatti e sorridenti. Alcuni piangono, altri si abbracciano, molti restano con la testa all'insù ad ammirare il palco ancora increduli di quanto hanno appena visto. Ma è finita davvero. Chissà quando ci sarà un altro tour. Con Fagen & Becker nessuna cosa è certa, si ha sempre la paura di essere abbandonati per altri dieci e passa anni e di restare sgomenti come dei bambini lasciati nel pieno di un fastoso e luccicante centro commerciale con l'animo di chi proprio non se l'aspettava. Ed allora tanto vale farsi uno shot di Cuervo Gold, godere di questi momenti ed uscire festanti fischiettando "do it again" - magari con gli occhi lucidi - e sorridere se qualche bella e giovane ragazza ci guarda e non capisce il perchè: "She thinks I'm crazy, but I am just growing old..."
Giovanni de Liguori

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