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canadian songwriters - Neil Young - Joni Mitchell - Willie P. Bennett
Canadian Songwriter Pt.1

On The Trans-Canada Highway starts our journey from canadian roots music to new songwriter. We’ll meet artists, places, labels and a lot of great music!


La Trans-Canada Highway è una infinita striscia d’asfalto, che attraversando tutto il Canada Meridionale e toccando tutte le principali città, va da St John's, nell'isola di Terranova fino a Victoria, nella Columbia Britannica sull’Oceano Pacifico. Percorrerla per intero significa fare un viaggio coast to coast ma dalla prospettiva canadese, con i paesaggi incontaminati della Terranova, le vaste praterie dell’Ontario, i laghi del Manitoba, gli Appalachi e infine le isole del Pacifico, che scorreranno attraverso i finestrini mentre la nostra auto macina chilometri. Il Canada è una terra meravigliosa e piena di fascino per il suo essere in gran parte ancora incontaminata, e come sono variegati i suoi landscapes allo stesso modo la sua cultura risente di quattro grandi influssi: quello inglese, quello francese, quello americano e quello indigeno. Se inevitabili sembrano essere i confronti con il vicino a stelle e strisce, date le comuni politiche internazionali e le numerose intese dal punto di vista economico, del tutto fuorviante sarebbe quello di accomunare le due identità culturali. E’ per questo che i canadesi, sbandierano il loro senso di appartenenza, rimarcando i distinguo e sottolineando un certo orgoglio difficilmente riscontrabile in altre nazioni. Rispetto agli Stati Uniti, il Canada infatti ha una storia del tutto differente fatta di due fasi una di colonizzazione francese, l’altra inglese con la conseguente cancellazione quasi totale delle tribù indigene di origine indo-europea. Nonostante siano formalmente ancora sotto il dominio inglese, con i monarchi britannici ancora formalmente regnanti, i Canadesi, superando le divisioni linguistiche ed optando per una completa integrazione delle zone francofone, hanno fatto della varietà culturale il loro punto di forza trasformandola in orgoglio nazionale.



Nonostante le continue spinte del Queebec ad una maggiore indipendenza, questo forte senso di appartenenza, unito ad un grande eclettismo culturale, nel corso degl’anni è stato determinante per la formazione di una precisa identità artistica che accomuna i cantautori e le cantautrici canadesi e non è un caso che questi si siano sempre distinti per grande sensibilità ed intelligenza. In particolare è bene dire che dagl’anni quaranta in poi il Canada ha assorbito, ma mai subito, tutta la musica che veniva dagli Stati Uniti e successivamente negl’anni sessanta anche dall’Inghilterra, preparando una sorta di sintesi perfetta di tutte le esperienze che sarebbe arrivata con la splendida generazione di cantautori canadesi degl’anni settanta. Non sorprende dunque il grande seguito che negl’anni hanno avuto gente come Leonard Cohen, Neil Young e Joni Mitchell e non sorprendono nemmeno le attenzioni rivolte alle nuove leve del cantautorato canadese che non mancano mai di sorprendere pur rimanendo nella scia dei loro illustri predecessori. Certo negl’ultimi decenni il Canada avrà anche esportato divi pop come Celine Dion, ma lista di nuovi talenti che vengono dal Grande Nord, è ormai lunghissima. Dopo la fortunata generazione di cantautori degli anni sessanta e l’inevitabile appannamento degl’anni ottanta, anche la scena underground canadese sembra ormai aver ripreso il volo, i fans affollano i locali, i critici di tutto il mondo sono tornati ad entusiasmarsi per le diverse realtà musicali del Canada e anche i vicini States sembrano aver rivolto le proprie attenzioni verso il nord. Parlando di musica sarebbe un delitto parlare di un sound tipicamente canadese, così come lo è parlare di un sound tipicamente americano, ma basti dire che il suono del Canada è identificabile con ciò che prima abbiamo chiamato sensibilità ma che si riflette in mille sfumature nei solchi dei dischi. Rispetto alla scena musicale statunitense, in Canada si è creato una sorta di collaborazione diretta tra le realtà più affermate e quelle emergenti e dunque non è strano trovare artisti sconosciuti come supporter di ben più affermati big. Detto così sembrerebbe una cosa abbastanza normale ma la collaborazione non si esaurisce sul palco ma prosegue nelle sale di registrazione e soprattutto nei negozi con strategie comuni che favoriscono l’inserimento delle nuove realtà nel grande circuito. Inoltre bisogna dire che una grossa mano per la musica canadese arriva, tanto da una legislazione modello che supporta generosamente i programmi radio che si occupano di musica, tanto da una serie di etichette che vede nella True North Records (www.truenorthrecords.com), la principale referente indipendente per il cantautorato e che annovera nel suo rooster tanto songwriter storici come Bruce Cockburn tanto numerose realtà emergenti. Oltre a ciò esiste una normativa specifica di garanzia per la musica canadese, il Can Con (Canadian Content), varato nel 1971 e che prevede, attraverso una sorta di politica protezionistica, che radio e televisioni debbano mandare in onda almeno il 30% di musica scritta, prodotta o interpretata da artisti locali. Questo secondo alcuni fu la marcia in più che permise il successo di una lunga serie di musicisti e cantautori canadesi in tutto il mondo. Non bisogna inoltre tralasciare il FACTOR (Foundation to Assist Canadian Talent On Records) che assiste e supporta i canadesi che lavorano nell’industria discografica, da artisti e cantautori a dirigenti e distributori con un fondo annuale di 11 milioni di dollari. Non mancano iniziative particolari dei media che sponsorizzano la VideoFACT e la PromoFACT che a fondo perduto creano per gli artisti siti web e video musicali.

Tra le manifestazioni musicali principali che si tengono in Canada, senza dubbio bisogna citare i Juno Awards, in pratica la versione canadese dei Grammy che rappresentano il più importante riconoscimento per i musicisti di questa nazione. L’idea nacque dall’incontro di Stan Klees e Walt Grealis, editori di Rpm, un settimanale rock di fine anni 60 che nel 1970 istituirono i Gold Leaf Awards nella St. Lawrence Hall di Toronto che servivano a premiare i dischi più belli dell’anno. L’anno dopo un lettore del settimanale suggerì di cambiare il nome in Juneau Awards come tributo a Pierre Juneau, colui che promosse il celebre Can Con ma gli organizzatori ben presto decisero di cambiare lo spelling del nome per richiamare la dea Giunone e quindi il premio prese il nome di Juno Awards, avendo in inglese la stessa pronuncia. L’importanza di questo premio divenne nel giro di pochi anni così grande che nel 1975, la cerimonia dei Juno fu ripresa in diretta dalla televisione canadese. Dello stesso anno è anche l’istituzione della Canadian Academy Of Recording Arts And Sciences che supervisiona la manifestazione. Qualche anno dopo la CARAS decise di creare anche una Hall Of Fame, per onorare le leggende della musica canadese di cui attualmente fanno parte artisti come il grande pianista jazz Oscar Peterson, icone del rock come Neil Young, Joni Mitchell ma anche le eroine del folk come Sylvia Tyson e Buffy Sainte-Marie. Tra i festival più apprezzati invece sono da segnalare il Vancouver Folk Festival, il gigantesco Winnipeg Folk Festival, l’Edmonton Folk Music Festival e il più recente CKCU Ottawa Folk Festival. Dati questi fattori, verrebbe da pensare che il Canada sia attualmente una sorta di eldorado per la musica ma dietro a questo progressivo consolidamento c’è una forte spinta comune che viene sia dall’alto sia dagli stessi artisti. Le radici nel ghiaccioThe roots of canadian music are in the ice of North Pole. The Inuit’s music are the real roots music of Canada.

Prima di addentrarci nel nostro viaggio nel tempo alla riscoperta delle diverse generazioni di cantautori che si sono avvicendate sulle scene musicali canadesi è utile comprendere se esiste davvero una musica tradizione tipicamente canadese. A proposito abbiamo sentito, Colin Linden, chitarrista e produttore di successo che ci ha detto: “Il Canada ha una forte tradizione popolare, ma non si può dire che in generale sia antichissima. La scuola dei folksinger degli anni sessanta nasce dalle influenze dei coloni europei che nel XVIII secolo giungendo in Canada portano il loro patrimonio tradizionale di matrice celtica. L’unica musica veramente autoctona è quella del Nord, la musica degli Inuit, che anch’essa nel corso dei secoli ha subito l’influsso della musica anglosassone con l’introduzione di strumenti come il violino e la fisarmonica”.



Cogliendo lo spunto di Linden, è bene precisare qualche notizia sulla musica degli Inuit, gli indigeni eskimo, che anticamente abitavano gli inospitali territori del Nord del Canada. La loro tradizione musicale, è arrivata ai giorni nostri per via orala sottoforma di canti rurali amelodici, interpretati in modo eccellente dalle donne con un particolare stile vocale detto, katajjaq. Questo stile vocale è ancora oggi diffuso nel Quebec e nell’isola di Baffin e consiste in una sorta di tenzone musicale in cui due donne si dispongono l’una di fronte all’altra con i due nasi in contatto e intonano canti gutturali che suonano come gioiosi esercizi vocali che anticamente erano usati per invocare gli spiriti, per semplici ninna nanne o ancora per augurarsi la buona sorte. La musica degli Inuit ha dunque suscitato non poco interesse tanto in Canada e tanto all'estero come un vero e proprio fenomeno musicologico. Nel 1956, Nettle un etno-musicologo, aveva evidenziato alcune caratteristiche specifiche dalla musica inuit nel canto recitativo, nella complessa struttura ritmica, nell’estensione melodica limitata ed aveva evidenziato l’importanza di terze maggiori e seconde minori, con movimento melodico ondulatorio. Con l’arrivo dei colonizzatori europee, i canti tradizionali degli inuit si trasformarono così in gighe e reel. Qualche anno dopo nel 1961 con l’inizio delle trasmissioni del Canadian Broadcasting Service dalla stazione radio di Iqaluit, si ebbero i primi esempi di cantautorato “rurale” e così giunsero ad un pubblico più ampio le canzoni di Charlie Panigoniak, considerato ancora oggi una vera e propria star della musica Inuit e popolare fisarmonicista. Strettamente legata alla tradizione musicale degli Inuit è la musica di due cantautrici Susan Aglukark, vera e propria paladina dell’organizzazione Inuit Tapirisat Of Canada per la difesa dei diritti degli indigeni, e Tanya Tagaq Gillis. Entrambe negl’anni 90 hanno contribuito con le loro canzoni alla diffusione della cultura di questo popolo. Meno famose sono poi le Tudjaat, un duo femminile formato da Madeleine Allakariallak e dalla cugina Phoebe Attagotaaluk, che cantano sia in inglese sia in inuktitut rielaborando la tradizione con una eccellente sperimentazione elettronica. Il loro obbiettivo è sostanzialmente quello di far giungere la cultura e la musica Inuit ad un pubblico molto vasto, così sfruttando l’accattivante appeal dell’elettronica, possono permettersi il lusso anche di salire sul palco con abiti molto simili a quelli dei loro antenati. Le Tudjaat si sono ritagliate uno spazio nella storia del rock partecipando alle registrazioni di Contact From The Underworld Of The Red Boy di Robbie Robertson.



Proprio Contact From The Underworld Of The Red Boy, di Robbie Roberson (figlio di un'indiana Mohawk), è l’ultimo capitolo votato all’elettronica di una sorta di trilogia discografica dedicata alla musica dei nativi d’America, cominciata nel 1991 con Storyville e proseguita con il Music For The Native Americans. In questi dischi, Robertson scava nelle sonorità bucoliche dei nativi americani, sottolinea con l’elettronica le danze propiziatorie e condisce di grande passione i suoi brani autografi che trovano il loro vertice nella ballata Ghost Dance, una preghiera al grande “spirito” pellerossa ucciso dall’uomo bianco. Tornando a ripercorrere la creazione dell’identità musica canadese, è bene dunque tenere ben presente l’apporto della musica di matrice europea, giunta in Canada grazie alle colonizzazioni francesi, irlandesi e scozzesi. Una volta giunti sulle coste canadesi, i coloni si trovarono ad affrontare un clima ed un territorio assolutamente difficile da gestire e furono costretti a darsi da fare per la sopravvivenza. E’ per questo dunque che sulla Costa Est, grazie al maggior isolamento geografico, le tradizioni scoto-irlandesi ed anglosassoni si sono conservate in modo molto forte. A proposito è interessante un recente progetto di Colin Linden che ci rivela in anteprima: “Al momento sono al lavoro con Jimmy Rankin, dei The Rankins, ad un disco sulle canzoni tradizionali della Nova Scotia, è stato molto emozionante entrare in contatto con questo materiale e soprattutto lavorare con Jimmy. Questo disco sarà sicuramente una sorpresa dato che arrivare al grande pubblico con un così particolare repertorio è una cosa molto coraggiosa. Ovviamente si tratta di materiale molto vicino alla tradizione irlandese e gaelica a riprova del fatto che la musica canadese ha uno strettissimo rapporto con quella anglo-sassone”. Negl’anni non sono mancati altri esempi di rielaborazioni delle tradizioni musicali, è il caso dell’arpisa e cantante Loreena McKennitt, o della violinista Natalie MacMaster, nipote del leggendario fiddler Charles MacMaster, che come Jimmy Rankin, anche la MacMaster ha trovato nella musica della nativa Nova Scotia un luogo di grande ispirazione raccogliendo un consistente residuato di tradizione celtica. Da Paul Anka al college rock degli Squires di Neil YoungFrom Paul Anka to the college rock of bands like Neil Young’s Squires, here there are the roots of Canadian rock scene. Se il Nord del Canda è stato segnato dalle tradizioni rurali mescolate e la costa Est dagli influssi musicali di matrice scoto-irlandese, le zone meridionali negl’anni cinquanta videro, come già detto, l’inizio di un processo di assorbimento delle esperienze musicali statunitensi. Il Canada dunque si poneva come primo recettore degli stimoli culturali provenienti dagli States ma con un approccio del tutto particolare. Esempio ne è Paul Anka, nato ad Ottawa nell’Ontario nel 1941 da genitori di origine Libanese proprietari di un ristorante, che a metà degl’anni cinquanta mentre in Canada spopola Perry Como, sulla scia dei successi di Frankie Avalon e Ricky Nelson mette a segno una lunga serie di successi tra cui spicca uno dei singoli più venduti di tutti i tempi, Diana, brano che scrive quando ha solo 14 anni. Paul Anka arriva al successo in una fase particolarissima del rock ‘n’ roll, ovvero tra la fine degl’anni cinquanta e gli inizi degl’anni sessanta, in quel periodo infatti si afferma il concetto di pop, inteso come musica per le grandi masse, una musica che mettesse d’accordo tutti. Non è dunque errato considerare Anka come il grande rinnovatore del pop, o meglio come colui che riuscì ad emergere in un momento in cui in Canada ma anche negli States, spopolava l’high school rock, fatto di band che duravano giusto il tempo di un singolo di successo e per lo più guidate da sedicenti manager senza scrupoli. In questo fermento continuo di band che si alternano nelle prime radio del college e fanno da sfondo ai primi amori giovanili dei ragazzi di liceo, Anka da alle stampe il suo primo singolo I Confess pubblicato su etichetta Riviera, sussidiaria della RPM di Jules e Joe Binari. Subito dopo il suo traferimento a New York arriva una lunga serie di brani incisi per la Atlantic e tra questi meritano una citazione citazione le famosissime You Are My Destiny e Crazy Love entrambe entrate nella Top 20. Anka scrive anche l’ultimo hits di Buddy Holly, It Doesn't Matter Anymore e con Let's Rock e Girls Town salì anche lui sull’onda del successo dei film rock ‘n’ roll dell’epoca. Il successo arriva anche in Italia con Piangerò per te ma soprattutto con Ogni volta presentata al Festival di Sanremo nel 1964. Recentissimo è Rock Swing, il suo apprezzato come-back album pubblicato dalla Verve, in cui rilegge alcuni “insospettabili” classici della musica rock in una originale chiave swing. (Di questo disco avete sicuramente letto la bella recensione di Rinaldo Prandoni su queste pagine). Gli adolescenti canadesi, attratti dai primi incontri con il rock ‘n’ roll con le apparizioni di Elvis Presley all’Ed Sullivan Show, cominciano a imbracciare gli strumenti e a cercare di emulare i propri idoli musicali sempre con maggiore frequenza. Tra questi uno in particolare, farà una lunga strada, ed è un giovanissimo Neil Young che a 14 anni, colpito fortemente dalle programmazioni musicali delle radio americane ed in particolare da gruppi come gli Shadows, i Vetures e dagli Everly Brothers, decide definitivamente che la sua vita sarà il rock ‘n’ roll. L’attesa di esibirsi davanti ad un pubblico è lunga ma poi all’improvviso si ritrova sul palco del caffè della Kelvin High School ad eseguire It Won’t Be Long e Money dei Beatles. Dopo diverse esperienze con altri gruppi locali e formazioni costituite con compagni di scuola quali Jades, Esquires, e Stardusters. La svolta arriva nel 1963 quando Neil Young alla chitarra e due suoi compagni di classe Ken Koblun al basso e Jack Harper alla batteria, danno vita agli Squires, un trio formato che suonava esclusivamente musica strumentale nei piccoli club di Winnipeg come The Cellar, The Twilight Zone e The Town & Country Club. Dopo un breve periodo di cover con un repertorio che andava dai Tornados a Del Shannon passando per i Premiers e Jean & Dean, Neil comincia a dar vita alle sue prime composizioni ispirate al twang, ovvero il trade mark degli Shadows di Hank Marvin (al cui tributo parteciperà anni dopo suonando con Randy Bachman Spring is Nearly Here), con tanto di chitarre infarcite di tremolo e riverberi. Grazie all’interessamento di Bob Brandburn, un lungimirante Dj dell’emittente locale CKRC, il 23 luglio 1964 gli Squires entrano in studio e registrano due brani strumentali che andranno a formare il singolo uscito per la V Records The Sultan/Aurora (oggi un vero must per i collezionisti younghiani). A sentire oggi questi brani sono sicuramente quanto di più lontano possa esserci dall’idea che il grande pubblico si è fatto di Neil Young, ma probabilmente questi due brani rappresentano uno dei migliori e più realistici esempi della scena rock canadese nei primi anni sessanta. Alla causa degli Squires da il proprio appoggio anche il chitarrista Randy Bachman che li riesce a far esibire anche fuori dall’area di Winnipeg, ma c’è ancora un'altra sorpresa dietro l’angolo. Il 2 aprile 1964 gli Squires rientrano in studio di registrazione e con la guida del produttore Ray Dee incidono Mustang, uno strumentale e la prima versione di I Wonder il primo brano cantato da Neil, in novembre incidono poi una nuova versione di I Wonder e una ballata I’ll Love You Forever. Nel 1965 sulla scia del nascente folk rock anche gli Squires si adattano arrivando addirittura a cambiare nome in The High Flying Birds fino a sciogliersi poi di li a poco. Nello stesso anno Neil, dopo una breve parentesi a New York dove incide un demo per la Elektra, comincia a frequentare il locali folk e lì incontra per la prima volta Stephen Stills, Richie Furay e Joni Mitchell. Dopo pochi mesi insieme a Bruce Palmer, anche lui canadese e proveniente dagli Sparrows (che poi diventeranno Steppenwolf) e a Ricky James Matthews (più tardi noto come Rick James) forma The Mynah Birds, la prima band bianca ad essere messa sotto contratto con la Motown. Malgrado fossero state incise diverse canzoni, l'album non vede mai la luce (sembra che Young abbia sborsato milioni di dollari per riavere le incisioni dell'epoca). Il gruppo si esibisce pochissimo e finisce la sua corsa perché James viene arrestato per aver disertato il servizio militare. Il 1966 è un anno cruciale per la storia musicale di Neil, infatti insieme a Bruce Palmer, delusi dalle scarse opportunità di successo in patria decidono di partire per gli States e da lì prenderà vita in pochi mesi la storia dei Buffalo Springfield. Più o meno dello stesso periodo è significativo un episodio davvero particolare riguardo al successo di una delle tante band che con l’avvento dei Beatles si reciclarono come imitatori dei Fab Four. Una di queste, Chad Allan & The Expressions, spacciandosi per un gruppo del Merseybeat, riesce ad avere un grosso successo con una cover di Shakin’ All Over, poi un giorno all’improvviso arriva il contratto per pubblicare un intero album. Così decidono di non usare il loro nome originario, e spiazzando tutti, si rivelano come canadesi con il nuovo nome di Guess Who. Nella loro storia il clamoroso successo di American Woman e tanta popolarità. Una di quelle tante college band, era riuscita ad uscire dall’anonimato dei singoli one shot.



Più o meno nello stesso periodo in cui muove i primi passi Neil Young, nella zona di Toronto, una gruppo di amici già attivi dal 1958, comincia a farsi conoscere come Ronnie Hawkins & The Hawks. Il primo nuclo di questa band nasce nell’Arkansas, lo stato dei fondatori Hawkins e Levon Helm, poi durante la loro lunga permanenza in Canada, gli Hawks cambiano velocemente line up prima con l’inserimento di Robbie Robetson, come bassista, poi di seguito con quelli di Rick Danko e di Richard Manuel al piano. Sono i primi vagiti di quella straordinaria esperienza musicale passata alla storia come The Band, la band per eccellenza. Di lì a poco, vi entra anche Garth Hudson, un organista di chiesa che porta in dote al gruppo tutto il suo background di musica classica. Con questa nuova formazione Ronnie Hawkins, comincia ad annusare il profumo del successo, nella loro musica il rock ‘n’ roll si mescola con il blues, con il folk, il pubblico nonostante l’ondata del college rock e del pop, apprezza e così la band acquisice sempre più consensi. Ronnie Hawkins, decide sul più bello di mollare ma i ragazzi non si perdono d’animo e ripartono prima con il nome di "Levon and the Hawks e poi con quello di The Canadian Squires. Da qui parte la storia di un mito di una band, fuori dal tempo che in un momento in cui impazzava la psichedelia ridette luce alla musica povera come quella degli Appalachi, rileggendola secondo la sensibilità che da sempre ha caratterizzato i musicisti canadesi, quella sensibilità che permette di confodere il nuovo e il vecchio in un indefinito senza tempo. Dopo alcuni 45 giri e una breve collaborazione con il bluesman Sonny Boy Williamson, e una ben più sostanziosa (tre dischi e vari concerti) con John Hammond Jr, si ritrovano in procinto si partire con Bob Dylan per quel tour che tra il 1965 e 1966 che cambiò per sempre la storia della musica. E’ lo stesso Dylan, compreso il loro grande valore, a decidere che il loro nome deve essere The Band, la band per eccellenza. La scena folk canadese degl’anni sessanta: Ian & Silvia, Buffy Sainte-Marie e Penny LangThe first step of canadian folk revival with Ian & Silvia, Buffy Sainte-Marie and Penny Lang.


Mentre nelle radio dei college imperversano le meteore dell’high scholl rock, nelle coffee house canadesi prende vita una vera e propria scuola di folk revival autoctona, che vede nel duo composto da Ian & Sylvia Tyson, uno dei perni fondamentali. Con la splendida Four Strong Winds del 1964 (incisa poi anche da Neil Young in una magnifica versione molti anni dopo su Comes A Time), Ian & Silvia diventano una delle voci distintive del folk revival canadese trovando ampio riconoscimento anche negli Stati Uniti. L’apporto di questo duo cambia radicalmente gli stereotipi musicali dell’epoca e per la prima volta vengono in rilievo le autentiche voci dei grandi spazi liberi. I loro primi dischi per la Vanguard sono un eclettica commistione di canzoni tradizionali e folksongs contemporanee, cantate tutte con una purezza e una chiarezza insusuale all’epoca. In questi dischi oltre alla già citata Four Strong Winds, trovano posto perle come Northern Journey, You Were On My Mind di Silvia (portata al successo in Italia dall’Equipe 84 nella versione in italiano Io Ho In Mente Te) e Someday Soon. A guardare le fotografie dell’epoca con Sylvia che suona l’autoharp e Ian la sua chitarra, si viene per un attimo trascinati nell’era delle coffeehouse, per ascoltare invece una esaustiva retrospettiva sulla loro carriera è bene affidarsi al box set quadruplo della Vanguard, Ian & Sylvia: The Complete Vanguard Recordings. L’importanza di Ian & Sylvia non è però solo artistica perché questo duo è stato per altri due connazionali come Gordon Lightfoot e Joni Mitchell un vero e proprio trampolino di lancio verso il successo, loro infatti portarono al successo brani come Early Morning Rain, For Lovin' Me e The Circle Game. Dopo il divorzo sia artistico sia personale di Ian e Sylvia, entrambi intrapresero carriere separate, se il primo si è distinto con diversi dischi di discreto valore, la seconda ha diluito moltissimo la sua attività musicale e il suo ultimo disco, per altro molto bello You Were On My Mind risale al 1996.


Il vento del folk revival risveglia un forte senso di appartenenza anche nei Nativi Americani, in questo senso particolarmente interessante è la produzione di Buffy Sainte-Marie, nata in una riserva Cree a Qu’Appelle Valley. Buffy da piccola viene adottata da una famiglia del Maine e durante i suoi anni alla Massachussets University dove studia Fine Arts inizia a scrivere canzoni. suoi brani su strutture musicali anglosassono ma allo stesso tempo nei suoi testi si ritrovano le voci e i racconti dei Nativi Americani a cui vi unisce una serrata protesta contro il loro olocausto e più in generale assumono i distintivi tratti delle protest songs. Se il suo più grande successo degl’anni 60 è la vibrante ballata anti-militarista Universal Soldier (che raggiunse i vertici delle classifiche discografiche nella versione cantata da Donovan), successivamente il suo stile si è trasformato in un crossover tra folk, country, rock e psichedelia che trova il suo vertice nei brani, A Soulful Shade Of Blue e Summer Boy, che ben evidenziano la complessità del suo talento. Tuttavia della sua produzione non si può fare a meno di ci tare veri e propri anthem come Now That The Buffalo's Gone e My Country 'Tis Of Thy People You're Dying, le sperimentazioni nella futuristica He's A Keeper Of The Fire, e soprattutto le divagazioni country di l'm Gonna Be A Country Girl Again e Take My Hand For A While. Il disco però che la vede più vicina alle tipiche atmsofere del nativo Canada è She Used To Wanna Be a Ballerina, che con due brani in particolare, Helpless di Neil Young, di cui avremo modo di parlare in seguito, e The Partisan in una versione che mescola l’originale francese e la traduzione di Leonard Cohen, completa un quadro fatto di spaccati di pura poesia mescolata ai temi sociali. Nel corso della sua carriera Buffy Sainte-Marie lambì anche il pop prima con la colonna sonora del film del 1974 Soldier Blue di Ralph Nelson e qualche anno dopo, nel 1982, la canzone Up Where We Belong, interpretata da Joe Cocker e Jennifer Warnes, colonna sonora del film An Officer and a Gentleman che le vale tra l’altro un Academy Awards. A ben guardare nonostante la fortissima matrice pop, proprio in Up Where We Belong, la metafora centrale del brano diventa l’occasione per offrire uno spaccato del paesaggio candese, tuttavia dopo questo brano la Sainte-Marie sparisce dalle scene per un po’, per dedicarsi alla sua nuova passione per la computer graphics, per tornarci solo negl’ultimi tempi insieme ai Bible di Boo Hewerdine con cui ha inciso alcuni ottimi dischi di cui putroppo si è parlato poco.


Non meno significativa è inoltre la storia di Penny Lang, che nel 1963 passa appena ventenne dal fare la segretaria dell’YMCA di Montréal al suonare per 5 dollari a sera al Cafè Andrè vicendo quasi per caso un audizione. Da lì nasce una vera e propria icona del folk canadese, che da pochi anni è ritornata sulle scene dopo aver vissuto per anni quasi da eremita in una baita nelle foreste del Quebec settentrionale, da allora ha inciso diversi cd tra cui l’affascinante Gather Honey del 2001, in cui sono contenute alcune delle significativa cover di songwriter canadesi. Influenzata dai di schi di
Pete Seeger e Odetta, dai folksinger come Bob Dylan, Tom Paxton, Phil Ochs, e Buffy Sainte-Marie, le canzoni di Penny Lang, come dimostrano i suoi primi dischi, nascondo una sensibilità infinita fatta di quadretti naturali, passaggi di poesia semplice ma soprattutto di tematiche introspettive di rara intensità. Leonard CohenLeonard Cohen, is one of most important Canadian songwriter. His carreer starts as poet and after he become a songwriter of successes with some masterpiece like Songs Of Leonard Cohen and Song From A Room. This is the a short story of a musical poet.

Facendo un passo indietro nel tempo e spostandoci nella zona francofona, troviamo Leonard Cohen, uno dei più influenti cantautori di tutti i tempi che si pone sulla scia del folk più tradizionale stravolgendolo con la sua commistione perfetta di poesia e musica. Pur ponendo l’accento sempre sui testi e abbandonandosi a melodie semplici e toccanti, Leonard Cohen, insieme a Bob Dylan è colui che ha meglio sfruttato la musica come veicolo per la sua poesia. Tuttavia rispetto a Dylan nella sua carriera ha inciso molto meno dischi e ha fatto molto meno concerti ma questo non ha mai intaccato la sua arte da sempre fuori dal tempo e da ogni legge di mercato. La poesia di Cohen è nettamente slegata dalla cultura americana ma piuttosto si avvicina alla tradizione degli chansonnier francesi come Brel, Trenet e Brassen ed è stata sicuramente influenzata tanto dai suoi studi classici quanto dalla cultura ebraica. E’ per questo che i suoi dischi sono stati considerati commercialmente una anomalia e non è nemmeno un caso che Fabrizio De Andrè ne abbia seguito dall’Italia per un certo periodo le orme sulle ali della sua sconfinata passione per il cantautorato canadese. Nonostante si sia trasferito a New York subito dopo la laurea, Leonard Cohen, ha mantenuto fortissime sia le sue radici ebraiche sia quelle canadesi e se ne trovano tracce nella sua prima raccolta di poesie Let Us Compare Mythologies del 1956 e nel suo romanzo The Favorite Game del 1963. Ad incoraggiarlo a mettere in musica le sue poesie fu Judy Collins che dopo aver letto nel 1966 un’altra raccolta delle sue poesie, Parasites Of Heaven, ne fu conquistata. A convincere definitivamente Leonard Cohen ad intraprendere la via del cantautorato furono invece i dischi di Bob Dylan e nonostante avesse già 33 anni trova un contratto discografico con la CBS che nel 1968 dà alle stampe il suo primo album, Songs Of Leonard Cohen. Il disco nonostante la bellezza intrinseca viene accolto in modo molto tiepido, la sensazione generale è quella di una versione candese di Donovan e in effetti i due in comune hanno senza dubbio l’appeal molto vicino ai cantastorie medioevali. Successivamente però compreso il background profondissimo che nascondevano i suoi testi, la critica lo pose come l’unico che poeticamente poteva concorrere con l’arte di Bob Dylan. Rispetto al primo Dylan, quello di Freewheelin’ per intenderci, Cohen, è assolutamente fuori dal contesto sociale, e il suo pacifismo mai dichiarato apertamente ha senza dubbio una valenza astorica. Infatti più che indagare sui grandi temi la sua poetica trae spunto dalle problematiche individuali. Allo stesso modo mentre Dylan ha elevato a lingua colta un linguaggio visionario, Cohen fa l’opposto porta la lingua classica alla pari con il linguaggio corrente. Le sue melodie rispecchiano a pieno la profondità dei suoi testi, mentre la sua voce sembra l’unca in grado di dare una senso ai suoi temi. E’ difficile giudicare Cohen, senza essere entrati all’interno della sua poetica, proprio il suo primo album sembra più pamphlet poetico che un disco in quanto tale, il susseguirsi dei brani infatti ha il ritmo di una lettura visionaria. Si passa dall’acquerello poetico di Suzanne, al crescendo Sister Of Mercy, passando per lo spaccato quasi tex-mex di So Long Marianne fino alla struggente Hey That Way To Say fino a giungere alle visioni apocalittiche di Stories Of Streets, quest’ultima ha l’aria di una Desolation Row molto più amara di quella Dylaniana. Leggermente diverso è invece Songs From A Room del 1969, un disco dalla poetica molto più astratta e metafisica che trova i suoi cardini nella biblica Story Of Isaac, nella struggente Seems So Long Ago Nancy e nell’ode anti-militarista The Partisan, in cui Cohen affronta il disagio dell’uomo difronte alla distruzione della guerra. Vertice del disco sono però Bird On A Wire e You Know Who I Am, in cui all’ode alla solitudine per un attimo si sostituiscono spaccati di ricerca della libertò. Da Songs Of Love And Hate del 1971, la poetica di Cohen diventa sempre più attenta all’impianto drammaturgico dei singoli brani e più che meditativi assumono più nettamente i contorni del racconto come dimostrano Dress Rehearsal Rag e Joan Of Arc. Discorso un po’ diverso per Famous Blue Raincoat dove il paesaggio invernate di una città canadese diventa la metafora dello struggimento interiore raccontato nella storia di un amico tradito. I dischi successivi di Cohen, non mantentengono più tale livello qualitativo, seppur tutti vibranti di grandi spunti poetici, è il caso di New skin for the old ceremony del 1974, che segna una netta caduta artistica nonostante la struggente Chelsea hotel #2, dedicata a Janis Joplin, ma anche dello sperimentale Death Of A Ladies’Man del 1977 inciso con la collaborazione di Phil Spector. Qualche piccolo segnale di ripresa viene da Recent Songs del 1979 ma per ritrovare il Cohen dei tempi migliori bisogna far riferimento a Various Position del 1984, inciso con la collaborazione Jennifer Warnes e che vanta un capolavoro come Hallelujah, in cui il canadese ritorna a suoni più spartani e a tematiche più profonde come l’introspezione spirituale e la riflessione religiosa. Viceversa I’m Your Man del 1988, ripropone uno sperimentalismo sonoro che poco si addice a Cohen, e nonostante abbia fatto di tutto per seppellire i brani con una sovrapproduzione selvaggia non si possono non apprezzare brani come First We Take Manhattan (che sia Joe Cocker sia i REM renderà molto meglio anche se con obbiettivi differenti), Tower of song e la title track, dove addirittura fa capo un sintetizzatore in pieno stile Pink Floyd. Di ben altro spessore e molto più meditati sono poi The Future del 1992 dove Cohen approda ad un dance-folk che ricorda Stan Ridgway e i suoi dischi più recenti il fascinoso Ten New Songs del 2001 e Dear Heather del 2004 entrambi realizzati con Sharon Robinson dopo una lunga pausa dalle scene vissuta in un monastero zen. Gordon LightfootGordon Lightfoot is father of Canadian Songwriter scene. His songs were singed by a lot of artists like Ian & Silvia and Bob Dylan and he. His songwriting share influence by folk revival to country.


Parlando della grande importanza rivestita da Ian & Silvia nel dare il la alla scena cantautorale canadese, avevamo citato Gordon Lightfoot, del quale il duo aveva portato al successo la magnifica ballata Early In The Morning Rain. Gordon Lightfoot, può essere considerato come il primo canadese a diventare una star internazionale, infatti nella sua musica pur strettamente legata alla matrice folk confluì l’appeal tipico sia del country che del pop con il risultato di un genere molto soffice, meditativo e pieno di eleganza che esalta le sue storie e le sue tematiche ed incornicia magnificamente i suoi scenari naturali. Ciò che lo rende unico è il suo stile chitarristico dai toni molto raffinati dato all’uso di un gradevole flatpicking suonato tanto con la sei tanto con la dodici corde. Nonostante avesse cominciato sin da piccolo a suonare sia il piano che la chitarra il suo primo album, Lightfoot, riuscì a pubblicarlo solo a 28 anni. In questo disco si avverte già una grande maturità artistica ed in particolare lo si evince dalle sue ballate dai sofferti e delicati toni country, su tutte Early Morning Rain e Ribbon Of Darkness. Poi nel giro di tre anni, la sua vena artistica ha un impennata eccezionale, dal 1968 al 1970, realizza i tre dischi che lo consacreranno definitivamente ovvero nel 1968 The Way I Feel che contiene l’epica Canadian Railroad Trilogy, nello stesso anno Did She Mention My Name e nel 1969 Back Here On Earth, chiude il lotto il magnifico If You Could Read My Mind del 1970 che cristallizza la sua vena elegiaca. Entrando negl’anni settanta il suo songwriting si assesta su alti livelli con Summer Side Of Life del 1971 che con la title track e il trittico Nous Vivons Ensemble, Same Old Loverman e Cotton Jenny, mette in luce il suo lato più crepuscolare. Se Don Quixote e Old Dan's Records, sono considerati i suoi dischi più introspettivi, dati gli arrangiamenti scarni ed essenziali lo stesso non si può dire di un altro suo grande successo, Sundown del 1973 che lo avvicina al country di Kenny Rogers con tanto di tematiche che inneggiano alla libertà e al fatalismo come dimostrano l’orecchiabile title track, Carefree Highway e le sempreverdi High And Dry e Circle Of Steel. Da metà anni degl’anni settanta comincia anche per lui un lento declino, e seppur ancora capace di regalare grandi emozioni come con Rainy Day People da Cold On The Shoulder del 1975 e Wreck Of The Edmund Fitzgerald da Summertime Dream del 1976, dai suoi dischi emerge chiaro un senso di decadenza della sua vena poetica. Rispetto ai suoi contemporanei, Lighfoot non ha mai smesso di fare dischi, e nonostante diverse prove incolori dal 1978 in poi, è riuscito a crearsi uno zoccolo duro di appassionati. Gli anni novanta segnati da Waiting For You del 1993 e Painter Passing Through del 1998, sembrano far bene anche a lui e non è un caso che questi due dischi siano considerati come i migliori dopo quelli degl’anni settanta. Di pochi anni fa è Beautiful, uno splendido disco tributo alla sua musica, prodotto da Colin Linden e che vede la partecipazione di un foltissimo gruppo di cantautori e band rigorosamente canadesi. Si va da uno dei veterani e contemporanie di Lighfoot come Jesse Winchester a Bruce Cockburn, passando per i Cowboy Junkies, i Blackie & Rodeo Kings e il ritrovato Murray McLauchlan. A riguardo è interessante ciò che ci ha raccontato Colin Linden intervistato in esclusiva per questo speciale: “Quando abbiamo deciso di fare questo tributo alle canzoni di Gordon Lighfoot, eravamo certi di celebrare uno dei più grandi cantautori canadesi. E’ difficile dire quali siano le canzoni venute meglio, perché ogni canzone che abbiamo scelto ha qualcosa di magico. Io se dovessi esprimere un parere sceglierei l’interpretazione dei Tragically Hip, che sono riusciti a dare un volto del tutto nuovo al brano che avevano scelto. Sono contento che questo disco sia stata l’occasione per rimettere insieme i Black & Rodeo Kings, ma soprattutto sono stato contento di ritrovare un altro grande cantautore canadese come Murray McLauchlan”.
Un ringraziamento particolare a David Essig e Colin Linden per le interessanti interviste, e a Stefano Frollano per la collaborazione.

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