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FATE SCHIFO!
(Zucchero docet)

Ogni artista che sia tale, famoso o sconosciuto, con seguito stellare o limitato all’ambito famigliare, deve avere in sé una carica di esibizionismo che lo spinga a cercare il pubblico e a riceverne il contatto.
Chi vuole apparire modesto, dimesso, desideroso di rimanere nell’ombra e non farsi notare, finge e mente sapendo di mentire.
Infatti lo scopo primo del cantante, del musicista, dell’attore e di qualsiasi persona che ha studiato una musica o una parte è quello di dimostrare, in casa per gli amici, sul palco di un teatro o in uno stadio davanti a una folla di centomila sconosciuti, che non ha sprecato il suo tempo e che è bravo a fare quello che fa, a qualsiasi livello e in qualsiasi dimensione si collochi la sua performance.
Se poi qualcuno afferma: “Lo faccio solo per passione, per me e per mia soddisfazione personale” ed è convinto di ciò che dice, significa che intimamente non è un vero artista e farebbe bene a trovarsi un altro hobby.
Il pubblico è la cartina di tornasole di ciò che si è studiato, imparato e affinato, cercando di metterci dentro il meglio di quel che si sa e facendo risaltare i lati migliori della propria personalità, sia nelle interpretazioni che nella scelta del repertorio.
E non importa se a volte il risultato è disastroso e gli ascoltatori rispondono male: può essere l’occasione per pensare a un altro tipo di proposta, oppure ci si può consolare con la convinzione che “quel” pubblico non capisce, non è all’altezza o non è adatto alla circostanza.
L’importante è che questo benedetto pubblico ci sia e ascolti, ecco, ascolti davvero e faccia sapere, con applausi o con fischi, cosa ne pensa.
L’indifferenza e il disinteresse sono letali per chi si esibisce e purtroppo a tutti gli artisti, prima o poi, capita di trovarsi davanti a persone che, invece di ascoltare, parlano dei cavoli loro, alzano la voce e ridono come se fossero sul divano di casa.
In questi casi l’interprete si sente frustrato, una pezza, umiliato da gente che, solo perché ha pagato il biglietto o la consumazione, si sente in diritto di ignorarlo e sotto sotto, se potesse, lo farebbe smettere per poter parlare senza interferenze.
A questo proposito, anche se la cosa non è più d’attualità, sembra giusto riferirsi come esempio a quello che è capitato a Zucchero in Sardegna a metà agosto.
Mentre lui, i suoi musicisti e i suoi tecnici si impegnavano e davano l’anima per offrire uno spettacolo degno del calibro e dell’importanza dell’artista, della band e dell’organizzazione, una parte del pubblico tranquillamente snobbava lo show chiacchierando, vociando e rispondendo al cellulare.
Zucchero, chi lo conosce lo sa, è di indole terragna e, nel bene o nel male, spontaneamente e senza stare a pensarci troppo butta là quello che gli passa per la testa, senza stare a preoccuparsi delle conseguenze: deve dirlo e lo dice.
Se, come i quotidiani hanno riportato, a un certo punto ha urlato: “Ricchi, fate schifo!”, il suo non è stato di sicuro un capolavoro di diplomazia: la frase è pesantemente qualunquista e tira dentro anche la maggioranza che non c’entrava e magari seguiva attentamente la performance.
Tuttavia, togliendo la parola “ricchi”, tanto i maleducati ci sono anche fra quelli che di soldi ne hanno pochi, il “fate schifo!” ben si adatta a coloro che assistono ad uno spettacolo e sembra che siano lì da soli, loro e i loro amici, permettendosi ogni libertà, inclusa quella di mancare di rispetto verso chi in quel momento sta mettendocela tutta per trasmettere emozioni e sensazioni.
Allora la frittata si rovescia e Zucchero, da individuo indegno e grossolano come da qualcuno è stato dipinto, diventa il Masaniello degli artisti, capopopolo di una categoria che, se in certi casi è osannata e venerata, è spesso sottovalutata, a volte addirittura vituperata e umiliata da gente senza educazione che non capisce e non ha nessuna intenzione di capire, avendo come unico fine di passare una serata bevendo e parlando allegramente con gli amici.
Si potrebbe, per ovviare, in una immaginaria legge sullo spettacolo inserire come priorità l’obbligo di insegnare al pubblico il rispetto e l’educazione verso chi si esibisce: solo così si riequilibrerebbero le parti e gli artisti finalmente avrebbero l’attenzione che meritano, con applausi o con disapprovazioni a ragion veduta che come effetto contribuirebbero a migliorare il livello delle rappresentazioni.
Ma, è chiaro, questa è pura utopia.

Rinaldo Prandoni


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