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Recensioni

Petrina – Be Blind

27 giugno 2016 by pdb in Dischi, Recensioni

(Ala Bianca Group)
www.deborapetrina.com

“Ora che ho perso la vista, ci vedo di più” (Nuovo Cinema Paradiso, 1988). Quella maggiore sensibilità che sembra donare l’atto del non vedere è fascino autentico per l’umanità. Correva l’anno 1991 quando Wim Wenders presentò al mondo il suo Bis ans Ende der Welt, svelando i pericoli di una civiltà assuefatta dalle immagini. Profetico, d’avanguardia, ma allora incompreso e pretenzioso. Oggi che il termine ‘visionario’ è più che abusato, suona solo provocatoria nonché quasi ipocrita la denuncia di una realtà in cui ogni cosa è anzitutto apparenza, e il nostro occhio, imprescindibile padrone della scena, è drogato e regolarmente ingannato per ricavarne nuovo stupore, rinnovata attenzione. E quando il filtro è tale che pure il campione di National Geographic, Steve McCurry, viene pizzicato a ritoccare proprio quella realtà di cui dovrebbe essere rigoroso paladino, dove la andiamo a ricercare la verità? Be Blind è il titolo di un disco con cui un’inspirata Debora Petrina intende portare la propria esperienza, personalissima fin dalle prime note dell’opener November 10th (data legata a un intervento chirurgico alle corde vocali). Dieci brani di musica irrequieta, nervosa, che coerentemente sceglie di fare leva sul rock e sull’elettronica, rincorrendo nel tempo la new wave e le icone femminili degli anni ’90 (Tori Amos, Neneh Cherry, Björk, e altre). Le sonorità sono piuttosto debitrici di quel decennio, così come il cantato di Petrina, strafottente ‘grunge’ (Paper Debris, I Like), sciamanico (Wild Boar, Broken Embraces), penetrante e sensuale (Supercharged Machine). I temi, al contrario, sono tutti attuali: le storie d’amore concluse e le parole non dette che restano sospese per sempre; la profonda incapacità di comunicare al cuore nonostante la capillare connettività; la stessa rete come entità oracolo dalle molte facce contraddittorie; il network che ci rende evanescenti sociali, finti commedianti, sconosciuti non appena sotto la superficie del visibile; la malattia che isola degradando le nostre capacità e i nostri sensi. Ci sentiamo più smarriti pur essendo inebriati da un mondo sempre più vasto e ancor più investigabile. E se in tanta complessità bastasse quindi chiudere gli occhi per poter ‘ritrovare’ una via di fuga, per ricominciare a percepire l’essenza delle cose oltre il solo sentire? Parrebbe assurdo, ma non è vero forse che l’amore, bene primario e forza del mondo, è cieco per definizione (“Love must needs be blind” ‘twittava’ Samuel Taylor Coleridge secoli fa)? Guarda caso, la musica è allo stesso modo priva di immagini e ugualmente capace di riempirci il cuore di felicità: cosa necessitiamo davvero per vivere?

Ruggero Chiaramonte

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