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Special

A tutto (Italian) Swing!

8 aprile 2017 by pdb in Special

Da qualche anno il variegato mondo della “swing culture” sta conoscendo un rinnovato interesse. Il riflesso musicale è evidente: un proliferare di progetti e proposte con interessanti derive e punti di eccellenza. I due dischi che presentiamo di seguito sono produzioni italiane e si abbeverano alla stessa fonte musicale, sebbene con modalità differenti. Come spesso succede nel contesto nostrano, la diffusione ufficiale è purtroppo limitata per lo più al formato digitale – anche a dispetto di una qualità che meriterebbe altro trattamento. Per chi fosse interessato al supporto fisico, è comunque possibile contattare direttamente le band tramite i siti web.

BOB JAY & ABC SWING BAND

Italian & American Swing Songs

www.facebook.com/bobjay.abcswingband

Prima che il corpo musicale di “Italian & American Swing Songs” prendesse forma definitiva, le intenzioni del musicista pistoiese Roberto Uggiosi (in arte Bob Jay) erano semplicemente quelle di incidere un pugno di canzoni atte a proporre la sua swing band dal vivo. Quelle prime sessioni di registrazione devono essere state particolarmente soddisfacenti, dal momento che i pezzi sono diventati ben 15 e godono di arrangiamenti ottimamente curati ed insieme sobri. Lo stesso leader – che si sa essere valente chitarrista – è piuttosto discreto nell’uso dello strumento, preferendo lasciare gli interventi solisti ai fiati (il sax di Emiliano Tozzi, il trombone di Stefano Ciampi) ed il piano di Daniele Biagini. Questa ed altre sono scelte funzionali ad un’idea di swing ben precisa: una rilettura quasi cantautoriale di grandi classici, italiani ed americani appunto. Una sorta di orchestra tascabile capace di approcciare sia materiale più tradizionale (“On The Sunny Side Of The Street”, “It Don’t Mean A Thing”), sia cose al limite del genere (c’è una intermittente vena latina, ben rappresentata dalla caraibica “Honey Love”, o dalla bossa nova di “Só Danço Samba”) – una versatilità consentita dalla sezione ritmica formata dalla batteria di Gabriele Lai, il contrabbasso di Leonardo Tozzi, le percussioni di Pedro Bonome. Non mancano un paio di episodi prettamente strumentali (tra cui la celeberrima “Take Five” – dove Bob si sbottona un po’ e lancia un felicissimo assolo di chitarra). Nella parte italiana del repertorio è lecito aspettarsi qualcosa di Buscaglione, che puntualmente arriva in quantità e purezza (“Buonasera Signorina”, “Carina”). La vera sorpresa è piuttosto nella rivisitazione squisita di “Le Semplici Cose”, la versione in italiano del classico di Chavela Vargas già proposta da Vinicio Capossela: perennemente in bilico tra spensieratezza e malinconia, come tutto il disco.

 

THE JAZZ LAG ORCHESTRA

Life Goes Swing”

www.jazzlag.it

L’orchestra Jazz Lag – di provenienza brianzola – frequenta la materia swing da anni (almeno dal 2004), avendo tenuto duro in periodi in cui il genere non godeva dell’appeal che possiede oggi. Una tenacia che li ha premiati in termini di competenza e sensibilità, come è evidente durante l’ascolto delle 11 tracce del loro ultimo “Life Goes Swing”. Sebbene si propongano come un collettivo musicale con diverse soluzioni di organico, per l’occasione i Jazz Lag si presentano al gran completo: un’orchestra di almeno 10 elementi (tra cui spiccano tre squisite voci femminili) perfettamente coesa ed incisiva sia sul versante ritmico che nei vari solismi. Nello sterminato panorama di riferimenti e colori che definiamo “swing”, il Jazz Lag sound può essere pensato sinteticamente come l’incontro tra una vocalità che deve molto alle Andrews Sisters (ma non solo) ed uno stile orchestrale particolarmente vicino all’eleganza e pulizia di Glenn Miller. Una cifra musicale che dà coerenza ed integrità ad un repertorio piuttosto vario: si passa dai classici d’epoca made in USA (“In The Mood”, “On The Sunnyside of The Street”) ad interpretazioni di vecchi successi italiani (“Torpedo Blu”, “Ho un Sassolino nella scarpa”). Qua e là fa capolino un suono un po’ più moderno (il bel solo di chitarra alla Wes Montgomery in “Why Don’t You Do Right”, graziata da un ottimo arrangiamento), sempre nel segno di una particolare finezza sonora. Una qualità che rimane intatta – per esperienza diretta di chi scrive – anche nelle esibizioni dal vivo.

Pietro Rubino

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