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The state I'm in

In memoria di Marco Lamioni

17 giugno 2017 by pdb in The state I'm in

Fu un pomeriggio di tanti anni fa, all’interno degli studi TV della RAI dove si registrava la trasmissione DOC, che vidi per la prima volta Marco Lamioni. Io ero tra il pubblico e lui sul palco, in piedi sulla destra alle prese con un sintetizzatore, una figura eterea ma slanciata, occhiali e sguardo concentrato sullo strumento e sul centro del palco. Mi colpì l’apparente distanza col resto della band, i coinvolgenti ed energici Hypnodance di Ernesto De Pascale e Massimo Altomare, con i quali condivisi anche io il palco negli anni a seguire. Una distanza che dava un tocco di classe in più al gruppo, Marco non sembrava infatti un semplice elemento aggiunto (alle tastiere sulla sinistra c’era anche il pianista Alessandro Galati), piuttosto un produttore, arrangiatore, direttore d’orchestra, deus ex machina delle note e dei ritmi che sentivamo. In poche settimane scoprii che Lamioni era proprio tutto questo e di più, anche se non specificatamente per gli album e i live della band fiorentina. In macchina a Firenze con Ernesto De Pascale – era il 1990 – tra le decine di cassette jazz funk rock con cui venivo sfamato e a me ancora in parte sconosciute c’era spesso un momento di pausa. Ernesto mi diceva: “Ti ricordi del Lamioni? L’hai conosciuto a DOC. Senti che musica fa…” Ed ecco che partivano sonorità e partiture complesse, spesso orchestrali, sempre calde, acustiche e si affacciavano qui e lì ritmiche bossa che mi facevano pensare subito al Brasile e alle grandi soundtrack italiane dei ‘60’s. Come sempre con Ernesto nulla era buttato lì a caso e nel giro di altre poche settimane un mio demo molto scarno al pianoforte diventò, nelle mani di Marco Lamioni, un malinconico e toccante brano (“Ponti”) per il nuovo album del cantante Massimo Altomare, impegnato nel seguito de Il Grande Ritmo Dei Treni Neri. Ritmica bossanova, archi scritti con Tom Jobim ben piantato in mente, dettagli di stile così apprezzabili da esser costretti a riavvolgere il nastro più volte a fine ascolto. Altomare scrisse il testo e la canzone uscì all’interno dell’LP Un Ora Di Libertà. Erano i miei giorni fiorentini, tra i convulsi tour con gli Hypnodance e le giornate in studio – Gas prima, Planet Sound e Larione 10 poi -, tutto scorreva veloce e i fugaci incontri con Marco mi suggerivano di rimandare nostre nuove collaborazioni a tempi più comodi. Come quando inizi a leggere un bellissimo libro ma non vuoi andare avanti, come si dice, a pizzichi e bocconi perché sai che il contenuto merita tanto tempo a disposizione per essere fruito al meglio. Ecco perché il mio ricordo successivo di Marco Lamioni è proiettato più avanti di circa 15 anni, quando – in occasione di una data fiorentina con la mia band – nasceva la proposta di una collaborazione musicale a 360° sui rispettivi progetti del momento. Così, dopo qualche compilation e qualche remix scaturito spontaneamente – come quello per i Mondo Candido, ottima realtà pop lounge prodotta dallo stesso Marco -, ecco che davanti a una tazzina di buon caffè mi trovai a chiedergli di collaborare artisticamente a un intero album di Gazzara. Lì per lì non la chiamammo neanche “produzione”, tutti ci sembrava naturale, scambio di pareri, consigli sugli strumenti da usare, punti di riferimento musicale. Per alcuni mesi, lui nel suo studio a Firenze e io nel mio a Roma, ascolti paralleli e proposte di percorso. Pian piano mi resi conto che questo è il vero spirito della produzione, mostrare una via all’artista, condurlo per mano senza mai costringerlo a rinunciare al proprio viaggio creativo. Solo alla fine, quando i brani avevano preso forma, entrammo nel dettaglio e lo convinsi a imbracciare le sue chitarre per dare il tocco finale all’album. Brother And Sister (2006) e il successivo My Cup Of Tea (2009), i due album di Gazzara co-prodotti da Lamioni, rimangono per me un valido testamento dell’arte musicale e produttiva di Marco, un’oasi dello stile, dove le beghe discografiche passano subito nel dimenticatoio quando due artisti si confrontano e si cimentano solo con quello che veramente piace a entrambi. In seguito ci fu anche il tempo per successivi incontri dal vivo, in cui Marco era sempre generoso e in vena di consigli. Un esempio di come fosse efficace in questo senso furono i suoi commenti privati a un nostro live, forse prematuro ed affrettato, in occasione dell’uscita del primo dei due album da lui prodotti. Lamentava la grossa differenza tra le versioni in studio e l’atteggiamento e le imperfezioni del gruppo dal vivo. Mi consigliò, con dettagli specifici, di rimboccarmi/ci le maniche. Così feci e quando venne qualche mese dopo a rivederci era entusiasta per come ci eravamo capiti al volo, al punto da stimolare in me una maggiore consapevolezza circa le reali capacità acquisite del gruppo sul palco. Marco inoltre era una persona di grandissima sensibilità e calore umano, proprio l’opposto di quell’immagine apparente che avevo avuto quando lo vidi la prima volta a DOC. Ricordo come se fosse ieri – e purtroppo questa è un’immagine che mi è tornata subito in mente appena ho saputo della sua scomparsa – quando seppe che il suo amico e collega Hector Zazou era in fin di vita. Lo apprese al telefono mentre stavamo parlando nel suo studio, si scusò con me visibilmente commosso, in lacrime, ma mi invitò ad andare avanti con i nostri discorsi e lavori. Mi fermai chiedendogli di raccontarmi più cose su Hector, sulla loro collaborazione, e Marco diventò subito un fiume in piena. Stessa cosa il nostro ultimo incontro, nel gennaio del 2015, dopo il mio concerto al Teatro del Sale, in cui ho eseguito il repertorio dei Genesis al solo pianoforte. Lamioni mi invita per un drink in tarda serata e snocciola alcune perle sul suo rapporto con il progressive rock e le esperienze di gioventù. Non solo, va oltre e decodifica la mia intera operazione musicale sui Genesis, consigliandomi di andare avanti soprattutto perché quelle “sono musiche che hai sentito e apprezzato per la prima volta quando avevi 13 anni…ti faranno compagnia per tutta la vita e ti daranno nuove soddisfazioni”. Parole sante, di un mostro della musica. Grazie Marco, siamo e saremo solo polvere, ma quello che tu hai lasciato, sia nelle tue note che in quelle arrangiate insieme, rimane scolpito nei nostri cuori.

Francesco Gazzara

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