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Recensioni

XXV Umbria Jazz Winter, Orvieto, 30 dicembre 2017 – 1 gennaio 2018

3 gennaio 2018 by Michele Manzotti in Concerti, Recensioni
www.umbriajazz.com

30 dicembre 2017

L’incontro di Gino Paoli con il jazz dura ormai da qualche anno. Un rapporto che si è consolidato grazie alla figura di Danilo Rea. Infatti se c’è un pianista che si muove perfettamente a suo agio nella forma canzone questi è proprio Rea. Una capacità confermata anche dell’appuntamento di Umbria Jazz Winter che li ha visti insieme sul palco del teatro Mancinelli. L’intesa è ormai consolidata, tanto che Paoli può permettersi talvolta di derogare dalla linea melodica (come ne L’albergo a ore) e di avere Rea sempre pronto a sorreggere la struttura del brano. L’ora di musica ha preso a piene mani da un songbook vasto tra i classici di Paoli, brani francesi protagonisti dell’ultimo album del duo, standard della canzone italiana. Tra queste Il nostro concerto di Umberto Bindi e la selezione Endrigo-Lauzi-De André affidata al solo Rea. In alcuni brani (Sassi, Una lunga storia d’amore) il concerto è stato impreziosito dalla tromba di Flavio Boltro per esecuzioni in trio che fanno bene alla musica.

Il primo set della serata è stato affidato a Maria Pia De Vito e al suo progetto Cuore/Coração. Una visione della musica brasiliana trasformata nell’anima napoletana grazie all’incontro con il chitarrista Guinga e soprattutto con Chico Buarque. Sono proprio i brani di quest’ultimo i protagonisti principali del concerto (ricordiamo Construção e Vocé Vocé) in cui la cantante è affiancata da Huw Warren al piano, Gabriele Mirabassi al clarinetto, Roberto Taufic alla chitarra, Roberto Rossi alla batteria. De Vito ha confermato la sua grande vocazione melodica ma ha aggiunto parti tecniche e virtuosistiche fondamentali per brani dal ritmo veloce. Progetto interessante e ben realizzato dal vivo.

Un’altra voce di livello è quella di Jazzmeia Horn, che si è esibita nella sala dei 400 del Palazzo del Popolo. La cantante di Chicago è stata presentata come una delle star di questa rassegna, forte della vittoria dei premi dedicati a Thelonious Monk e a Sarah Vaughan. Jazzmeia mostra una tecnica di altissimo livello nell’ambito di un registro medio alto, presentando brani originali costruiti per questa voce. Maestra dello scat, dà maggiori emozioni quando vira verso sonorità soul. Ottimi i musicisti che la affiancano, il pianista Victor Gould, il batterista Henry Conway III e soprattutto il contrabbassista Barry Fitzgerald.

31 dicembre 2017

Cinquanta minuti ininterrotti seguiti da quattro fuori programma. La proposta di Giovanni Guidi nel concerto di piano solo ha confermato come il pianista di Foligno sia una realtà consolidata del panorama jazz internazionale, tanto da essere entrato a pieno titolo nel roster dell’etichetta Ecm. L’appuntamento al Museo Emilio Greco durante Umbria Jazz Winter ha rappresentato una lezione di classe: non solo Guidi ha dimostrato ciò che vale in questo momento, ma ha fatto intravedere una voglia di ricerca e di esplorazione che è tipico dei musicisti di razza. Nel brano che ha caratterizzato in gran parte il concerto Guidi ha saputo trattare la materia melodica con molta sapienza. Nella partenza il pianista ha affrontato la cantabilità e le armonie con il pianissimo realizzando il crescendo a piccoli passi e facendo in modo che la melodia trovasse delle strade tutte sue. Una suite con temi personali e con standard: nel caso di Qui Sas la melodia è stata sorretta da armonie innovative e rigorose tanto da ricordare un corale luterano.Il finale ha mescolato i vari elementi con autorevolezza, lasciando l’impressione che il pianista avesse molto altro da dire. I fuori programma, di minor durata, hanno comunque tenuto ben alta l’attenzione del pubblico. Tra questi Moon River, una straordinaria Can’t Falling in Love With You e un’antologia di temi natalizi dove Guidi ha dimostrato di poter sviluppare più volte un’idea con assoluta sicurezza.

1 gennaio 2018

Che al chitarrista Marc Ribot piaccia sperimentare è noto tra gli appassionati di jazz. Meno prevedibile era l’idea di fare un omaggio a un periodo importante della musica americana, quella della disco music marchiata Philadelphia, fondendola con la prassi di Ornette Coleman. Curiosa anche una delle collocazioni orarie del concerto: le 1 di notte del primo gennaio, momento meno consueto per un’esecuzione jazz e più adatto ad atmosfere “dance”. Il ritmo e il volume non mancavano nell’appuntamento con Marc Ribot & The Young Philadelphians, una band che univa funky elettrico, trio d’archi e due chitarre, una ritmica e la solista del leader. Il risultato ha lasciato forse qualche dubbio, proprio per l’impasto dei generi che seppure reso bene da musicisti di livello, non ha evidenziato le tante sfumature interessanti nell’esecuzione. Tra queste ricordiamo le note del basso di Jamaladeen Tacuna, un vero funambolo del jazz-funk che sa unire linguaggio solista e momenti ritmici con maestria regalando assoli di classe. O le prove dei due violinisti Max Haft e Dabine Akiko Arendt, rigorosi nelle parti orchestrali e geniali nell’improvvisazione. Per non dimenticare Ribot che spesso ama imitare il suono di Nile Rodgers restando se stesso con momenti free inseriti in atmosfera rock. Il repertorio era curioso specialmente per coloro che avevano visuto da ascolatori il periodo d’oro del Philadelphia Sound negli anni Settanta: brani come Tsop e Fly Robin Fly erano infatti abitualmente diffusi nelle discoteche e difficilmente si pensava che potessero approdare in un contesto jazz. E’ comunque un progetto a cui si può guardare favorevolmente a patto che ci sia un maggiore equilibrio tra le sonorità. Times Square di Ornette Coleman ha poi chiuso la serata con l’augurio di un 2018 pieno di musica.

Michele Manzotti

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