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Ian Anderson’s Jethro Tull, Musart Festival, Piazza SS. Annunziata, Firenze, 24 luglio 2018

25 luglio 2018 by Michele Manzotti in Concerti, Recensioni

www.jethrotull.com

Foto di Alessandro Fagioli

Prima traccia del primo album. My Sunday Feeling da This Was, anno di grazia 1968. Dovrebbe essere un attimo magico, di festa per i 50 anni di una formazione. E l’attacco strumentale lo è, perché riconosciuto da molti nel pubblico. Poi arriva la voce e l’effetto è imbarazzante. Che Ian Anderson, fondatore e leader dei Jethro Tull, avesse avuto problemi in passato con il canto non era un mistero per chi segue il gruppo da tempo. Ma un conto è l’usura degli anni che è un fatto naturale, un altro è il tentativo (vano in moltissimi casi) di inseguire con gola e testa una linea melodica che è necessariamente variata rispetto all’originale. Un aspetto che ha pesato non poco nell’ambito di una serata premiata da un grande afflusso di pubblico. Il quale comunque non ha lesinato il proprio consenso nei confronti di una storia, di un’icona, piuttosto di ciò che un musicista dava sul palco in quel momento. Perché non va dimenticato di cosa Ian Anderson e i Jethro Tull hanno dato alla musica: rock, ma anche blues e folk riveduti e corretti con un’alchimia unica e affascinante a partire dal già citato 1968. E poi, se della voce abbiamo parlato, il flauto di Anderson è sempre un punto di riferimento per un suono inconfondibile anche in questa occasione.

Fortunatamente, e la scaletta in fondo al pezzo lo dimostra, sono stati scelti molti pezzi di richiamo dai primi album. Ma c’è un altro però ed è relativo alla formazione: dei quattro compagni di avventura di Anderson solo il bassista David Goodier ci è sembrato di livello accettabile, anche se lontano dalla qualità dei suoi predecessori. John O’Hara (tastiere) e Scott Hammond (batteria) si sono limitati a un compito di routine mentre il chitarrista Florian Opahle è stato protagonista di un altro momento imbarazzante, ovvero la Toccata e Fuga di Johann Sebastian Bach affrontata alla Steve Vai, ma con un risultato incerto a voler essere generosi. Sullo spettacolo l’idea di fondo ci è parsa buona all’inizio: sullo schermo sono apparsi filmati d’epoca a sottolineare i pezzi storici e saluti di ex componenti e di musicisti come Joe Bonamassa e Slash. Chi conosce il gruppo sa bene però che ci sono state omissioni: Glenn Cornick (scomparso nel 2014) unico membro della prima originale non ricordato da Andeson e Martin Barre assente dai saluti (John Glascok, morto nel 1978, almeno ha avuto l’onore di inquadrature in primo piano insieme ad Anderson durante Too Old To Rock’n'Roll). E gli ospiti virtuali che hanno cantato in Heavy Horses e Aqualung chi erano? E non potevano magari fare parte dello show dal vivo? Serata in agrodolce dunque. Perché comunque restano brani geniali, e per questo immortali, e un grande showman fino che ne avrà la forza fisica. Per ciò che ha scritto e rappresentato Ian Anderson avrà sempre ragione, ma i 50 anni della sua creatura potevano essere festeggiati in un altro modo.

Michele Manzotti

Setlist

My Sunday Feeling
Love Story
A Song for Jeffrey
Some Day The Sun Won’t Shine For You
Dharma for One
A New Day Yesterday
Bouree
My God
Thick as a Brick
Too Old to Rock’n'Roll, Too Young yo Die
Songs from the Wood
Pastime with Good Company (King Henry’s Madrigal)
Heavy Horses
Toccata e fuga in re minore (da Bach)
Farm on the Freeway
Aqualung

Locomotive Breath (bis)

Michele Manzotti

 


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